ESTETICA

Do un’occhiata alla TV e delle grosse macchine si stanno inseguendo da ormai 5 minuti sulle strade di Chicago, Los Angeles, N.Y.C…..insomma qualche fucked città americana. I primi 2 minuti di un inseguimento possono essere anche divertenti, scontri, auto rovesciate, auto in fiamme, auto contromano, ma dopo subentra una noia mortale.
Gli Americani sono noiosi. Brutti. Volgari. Grossolani. Ignoranti.
I canoni estetici di quest’ epoca sono qualcosa di indecente; forse è improvvisamente calata a tutti la vista.
Induzione massificata al brutto, al peggio; indurre le masse a farsi piacere ciò che è volgare, pacchiano, dozzinale, mediocre, grossolano e, soprattutto, superficiale e approssimativo.
Vediamo sfilare modelle, in passerella, molto più simili a marionette che ad esseri umani.
Dobbiamo educare la vista a cose gradevoli.
La Venere di Milo è bella, non Carla Bruni. Simone Cristicchi aveva anche scritto una canzone dedicata alla signora Sarkozy; molto ironica, molto irriverente.
Modello. Dal dizionario: “L’oggetto o il termine atto a fornire un conveniente schema di punti di riferimento ai fini della riproduzione o dell’imitazione, talvolta dell’emulazione.” Gesù!
“Punti di riferimento ai fini della riproduzione” , ma ci rendiamo conto??
Siamo messi malissimo.
Beh, io ho ben altri modelli.
La Grecia classica
“E’ solo a partire dalla Grecia classica (V sec. a.C.) che si affermano veri e propri canoni estetici. Per il periodo precedente si può solo prendere atto, attraverso le fonti documentarie, di come tra i popoli più antichi le donne cercassero di rendere più gradevole il loro aspetto fisico.
All’idea di bellezza gli antichi Greci associano i concetti di grazia, misura e soprattutto proporzione: un corpo è bello quando esiste equilibrio, simmetria ed armonia tra tutte le sue parti e tra ciascuna di esse e la figura intera.
Visto che la maggior parte delle opere d’arte dell’Antica Grecia mirano a tradurre in forme concrete l’ideale di massima bellezza, è attraverso lo studio di tali opere che possiamo farci un’idea dei canoni di bellezza vigenti all’epoca. Sono soprattutto le statue raffiguranti Venere che ci permettono di conoscere gli standard estetici del tempo, infatti Venere è la dea dell’amore, e quando gli artisti raffigurano questa divinità si ispirano alle donne considerate più belle e affascinanti.
Il corpo femminile, visto attraverso l’arte greca, è un corpo di grande bellezza e armonia, le cui proporzioni ottimali ne fanno ancora oggi un ideale di perfezione.
Il fisico femminile più apprezzato è morbido e formoso, con fianchi larghi, seno e glutei non troppo pronunciati, ma rotondi e sodi.” E’ tutto.
QUI E ORA

Diciamo tu sia sei nella situazione in cui la tua vita è un casino, come tanti ,del resto, anche se appaiono splendidi e luccicanti, e parti da qui. Vedi la tua vita come un completo disastro, non sai neanche qual è il primo passo per raccogliere i cocci e metterli insieme ok. Capisco. Ah. Hai anche una pila di piatti da lavare, della sera prima. Ok. Capisco anche questo. Bene.
Il prossimo passo è questo: quello che devi fare nella vita ora, il tuo obiettivo tassativo, è lavare quei “fottuti piatti” sporchi. Subito e bene. E’ l’unica cosa che conta. Certo, ti è concesso distogliere ragionevolmente l’attenzione dal tuo obiettivo se il tuo idolo o partner ideale chiunque lui sia, passi di lì per caso e ti chieda di prendere un caffè insieme. Ok . Ti è concesso. Stesso dicasi se devi spostare la macchina ed evitare la multa di 250 euro di rimozione coatta. Qualsiasi altra scusa che non sia una questione di vita o di morte e che ti distolga dall’obiettivo lavaggio piatti, è appunto una scusa. Non ascoltare quella vocina nel cervello. Non aprire facebook. Non aprire l’email. Lava solo quei fottuti piatti sporchi. Potrai pensare: questo mi promette felicità e soddisfazione in 24 ore e mi sta dicendo di lavare i piatti?
Ti garantisco che finito questo compito (metaforico, si applica a qualsiasi compito simile), la tua autostima aumenterà di una frazione di punto percentuale. Assolutamente insufficiente per ritenerti una persona migliore e che avanza nella vita in cerca di una direzione. Certo. Ma un inizio.
KURT COBAIN

Io non sono Kurt Cobain. Io non sono Kurt Cobain. Io non sono Kurt Cobain.
Odore di spirito adolescenziale. Quando il professore ti costringeva a scrivere 100 volte una frase correttamente. Metodo un po’ del cazzo; di sicuro non ha impedito a tanti di suicidarsi in squallide camere d’albergo, quasi sempre a Parigi. Il biondino scatenato sul palco, ha tanta di quella energia da illuminare una città di medie dimensioni, ma, se guardi bene, nei suoi giovani occhi vedi le paure, le fragilità, le incertezze che abbiamo tutti noi. Stanno ballando tutti, come selvaggi, mentre il biondino stupra la chitarra , senza pietà. Così come, senza pietà , il mondo ha trattato lui. E adesso la rivincita: una folla in delirio, adorante, siamo ai limiti dell’idolatria; solo per Jim Morrison ho visto scene simili. Anche lui trovato senza vita in un hotel di Parigi. Ogni volta che sono andato oltralpe mi sono chiesto, oltre l’ evidente bellezza e la magia, che cosa abbia quella città da attirare i maggiori autolesionisti della scena rock mondiale.
Il biondino continua ad urlare nel microfono tutta la disperazione, tutta la paura, tutta rabbia di chi sta chiedendo aiuto. A quanto pare, nessuno era in ascolto.
“ E dimentico solo il motivo per cui ho un sapore” . “ L’ho trovato difficile, è stato difficile da trovare”. “ Mi sento stupido e contagioso”.
Una voce potente, stridente e calda, inconfondibile.
“Ci vorrebbe una smentita. “
Ho scelto il periodo meno adatto per smettere di fumare; si, lo so, è la classica battuta da film, me è tristemente vera.
La mia Ceres è ancora fresca, uno dei pochi vantaggi dell ‘ Inverno. La TV col volume a zero, al solito, trasmette immagini opache, di mezzo busti opachi, in studi opachi, che danno notizie opache, oltre che palesemente false.
Il biondo, oltre che bravo, è decisamente bello: lineamenti delicati, femminei, tratti del viso perfettamente proporzionati. Come suol dirsi: bello e bravo. E “maledetto”.
Sto cercando un confronto con qualche rapper nostrano…. e non so se ridere o piangere. Bambini ai quali è stata scodellata la pappa, con mamma e papà ad incoraggiarli, fino al debutto nel “talent” dove hanno preso molti applausi e i complimenti di una giuria di incompetenti totali, ancora più scadenti dei partecipanti giudicati.
“sarà la musica che gira intorno, quella che non ha futuro”….
“e sommersi soprattutto da immondizie musicali”…. il pensiero di due giganti della musica leggera italiana.
LINGUAGGIO

“Ki 6? xché? Keffai?Cmq” No, non è Aramaico, è ciò che dovete aspettarvi da un sms scritto da un ventenne.
II linguaggio evolve… a volte involve, i posteri decideranno.
Provo ad immaginare una persona che sia stata in ibernazione negli ultimi 20 anni e adesso torna a navigare in Internet: “hai letto il mio ultimo post?” “Perché non hai risposto al mio tweet?” “Ehi, ti ho taggato su quella foto” “Ci facebookiamo?” Il tipo si chiederà dov’è finito.
Qualcuno ha detto che i cambiamenti epocali avvengono quando cambia il modo di comunicare. Bene.
La cultura orale, basata sulle memoria, la scrittura amanuense, la tipografia, ed ora…..questo. Una scrittura rapida, immediata, contratta. E io mi trovo a vivere in modo rapido, immediato, a volte “contratto”. Si sono contratti i tempi. Non faccio in tempo ad assorbire un concetto che ne devo imparare subito un altro. Non solo, ma oltre ad impararlo devo esprimerlo in modo rapido, immediato…. Etc,.etc.
Molte Cassandre stanno prevedendo la fine della scrittura tradizionale, la fine delle penne, la fine dell’inchiostro, la fine del libro cartaceo. Tranquilli, un giorno, forse, succederà, ma non domani. Sentiremo ancora il profumo della carta stampata, la consistenza delle copertine dei libri, ancora utilizzeremo penne a sfera e pennarelli. Può darsi che sparisca la Grafologia, ma tanto, io, non ci ho mai creduto
Dimenticavo: comunicare deve essere soprattutto semplice. Tutto deve essere semplice. Mi sembra di vivere in un enorme unico spot pubblicitario: veloce, dritto al punto, comprensibile da tutti. Non posso più permettermi di dire: “Se mi capiscono bene, altrimenti chi se ne frega”: con questo modo di ragionare verrei tagliato fuori, non solo dal Mercato ma dalla vita sociale stessa, dalla Comunità. Ad essere sincero io amo la semplicità; ma se in nome di questa dobbiamo rinunciare ai contenuti, beh….siamo sulla strada sbagliata.
Ho fatto un sogno. Ero in classe e la maestra diceva: prendete penna e calamaio, tutti ce li avevano ma io avevo solo una tastiera un monitor ed uno strano aggeggio a forma di topo ed ero disperato.
Mentre i miei compagni si accingevano a scrivere, macchiandosi le mani, sul mio monitor comparve una pagina bianca ed io “seppi” subito cosa fare. Iniziai a scrivere con la tastiera, andavo veloce e, cosa fantastica, ogni errore di battitura potevo cancellarlo in un istante e tornare a scrivere. Intanto il mio compagno di banco si affannava con la gomma da cancellare, aveva quasi bucato il foglio.
Le mie mani correvano veloci sulla tastiera e le idee seguivano alle idee. Potevo cambiare il carattere, potevo mettere in risalto una parola o una frase, il tutto con una freccetta sul monitor, che muovevo usando il topo grigio accanto a me. Il mio compagno di banco sembrava non essersi accorto dello strano strumento in mio possesso: meglio.
La maestra finì di dettare e cominciò a ritirare i fogli dai banchi; ancora panico: il mio dettato era sul monitor, non avevo nessun foglio da consegnare. La maestra arrivò da me ed io la guardai titubante, ma lei mi fece un sorriso rassicurante: “Tesoro, dai, stampa quello che hai scritto” ed improvvisamente sulla cattedra si materializzò un altro strano congegno; io spinsi un bottone con scritto “stampa” e dal congegno sulla cattedra uscì un foglio di carta con il mio dettato.
Prima del suono della campanella, la maestra mi si avvicinò dicendomi:” perché ogni volta ti sorprendi, sai bene di essere molto più avanti dei tuoi compagni” e sorrise.
Mi svegliai contentissimo e subito accesi il mio PC.
LENTEZZA

La felicità non si lascia trasportare, è lei che porta noi. E’ lei che comanda il nostro agire, quando ci tocca.
E’ per questo che non riusciamo mai a farla durare a lungo. Non ci vogliamo abbandonare al suo tempo, al suo ritmo.
No, noi e la nostra malattia mortale, la superbia che ci fa pensare di essere al centro del mondo, vogliamo che lei si adatti al ritmo assurdo della nostra vita infelice.
Non riconosciamo la nostra debolezza, quella che dipinge di nero il sole della nostra vita, abbiamo paura di perdere il nostro potere sul mondo, lasciandoci prendere e governare da un altro al di là di noi stessi.
Ed eccoci così a sbranare con frenesia i brevi attimi della nostra felicità, consumandoli e triturandoli nell’ingranaggio frenetico che ci domina, quello del dolore, quello dell’invidia, quello della nostra vita infelice, che ci trascina in un vortice sempre più incontrollabile.
In questa specie di chiocciola assurda noi crediamo di catturare la gioia, ma la sua forza è immensamente superiore alla nostra, la forza centrifuga della sua tranquillità aumenta ad ogni giro della spirale, fino a quando è la felicità stessa a decidere che è giunto il momento di abbandonare la noia di questo girare attorno al buco nero della nostra ignoranza.
Se ne va, nel breve buio che accompagna un battito di ciglia, senza nemmeno salutarci.
Non ce lo siamo meritati neppure stavolta il suo sorriso.
“Alla prossima” si limita a sussurrare tra sé.
GRATITUDINE

Le note di “Creep” dei Radiohead, sullo stereo , si insinuano tra i clackson e il rumore del traffico di questo pallido, pigro, mercoledì pomeriggio.
Mi squilla il cellulare:
“Si? –
“Pronto? Il signor Marco? – Mi fa sempre ridere quando mettono “signor” davanti al nome proprio
“si, chi è? –
“Guardi, chiamo per l’annuncio sul giornale. E’ lei che fa assistenza domiciliare? –
Il tipo ha una voce giovanile, cordiale, e mi spiega che avrebbe bisogno di assistenza, che ha la sclerosi multipla ma è autosufficiente, un lavoro “facile”.
Il giorno dopo, alle 16:00, mi trovo davanti ad un cancello, di una villetta monofamiliare nel quartiere Alessandrino.
Conosco Gianni, la moglie ( che da subito non mi ispira simpatia) e i 3 figli.
Prendiamo accordi per l’orario: dalle 07:30 alle 10:30
Il lavoro è davvero poco pesante, lo aspettavo da un pezzo.
Così comincia il mio rapporto con Gianni e, naturalmente, con Stefania. Quando lavori con un disabile, hai sempre a che fare con l’intero nucleo familiare, è inevitabile.
La cosa notevole è che mi fa subito il contratto a tempo indeterminato. Incredibile. Che culo!
Il primo mese, fila tutto liscio, poi, giorno dopo giorno mi accorgo delle tensioni, neanche troppo sottili, tra lei e il figlio maggiore, che non lavora e frequenta una ragazza che alla madre non piace.
Premetto che Stefania è veramente “coatta”, una borgatara di prim’ordine, nata e cresciuta in un pessimo ambiente. E ha da ridire riguardo le frequentazioni del figlio. Vabbé.
Poi, in seguito, le tensioni crescono anche tra lei e Gianni. Lei lo accusa (dopo 20 anni di matrimonio), di non averla fatta vivere come si aspettava, perché in tutti questi anni ha sempre dovuto badare solo a lui e non ha mai potuto pensare a sé stessa.
Gianni, in tutto questo ha un atteggiamento remissivo, si sente in colpa, arriva addirittura a darle ragione (!)
“Ma Stefaniuccia, non ti sei mai lamentata, e lo sapevi che sono malato, che ti aspettavi ? –
“Beh, si lo sapevo, ma adesso me so’ proprio rotta il cazzo! Io voglio vive’! –
“E chi te lo impedisce? –
La situazione comincia ad essere imbarazzante, decisamente imbarazzante.
“Sono 20 anni che ti faccio da serva! Ora basta! –
“Ma, tesoro….. –
“Tesoro un cazzo! Io vado da un avvocato! –
Stefania comincia a fare molto tardi la sera e a frequentare un altro uomo; poi racconta tutto al marito.
La mattina trovo un uomo distrutto, che non ha dormito, che mi racconta, tra le lacrime, di come, improvvisamente, sia cambiata la moglie.
A un certo punto, Stefania, comincia a prendersela pure con me.
“Ma non hai visto il lavandino che perde??!”
“Si, infatti ci sarebbe da chiamare un idraulico…. –
“Ma che idraulico, che ci vuole?! –
Questa sbarella proprio.
Mi attacca, ma, al contempo, si confida, dicendomi quanto la faccia stare bene il tipo che frequenta adesso.
Non so quanto resisterò.
Una mattina, arrivo e non la trovo a casa. Gianni, in lacrime, mi dice che se n’è andata dalla madre (un classico).
Io non sono un assistente sociale, non so proprio che pesci prendere; cerco di consolare Gianni, ma con scarsi risultati.
A fine Luglio si trasferisce alla casa al mare.
Mai più rivisti.
MANSIONI

Autoradio “a palla”, Baglioni che canta “Via”.
La lancetta del serbatoio è al di sotto del “rosso”; lo faccio notare a Barbara, che non si preoccupa più di tanto:
– Una volta, in queste condizioni, ho fatto trenta chilometri. –
Appoggio, sconsolato, la testa al finestrino:
– Siii… –
Sono le nove di sera, la strada che percorriamo è costellata di distributori, ma gli unici “24 ORE” sono sull’ altra carreggiata.
Dopo un’inversione ad “U” al limite del ritiro della patente, affianchiamo la pompa di benzina.
Il ragazzo dalla pelle scura si avvicina sorridente, Barbara gli porge le chiavi:
– Venti euro. –
Il tipo “armeggia” con il tappo del serbatoio: è decisamente in difficoltà:
Lo faccio notare a Barbara:
– Dici sempre che è difettoso, perché non scendi a dargli una mano? –
– Ma stai scherzando? E’ il suo lavoro! –
IL SUO LAVORO!?
Sono decisamente perplesso.
– Ma, poverino, cosa vuoi che ne sappia? –
Niente. Lei è assolutamente convinta che la cosa sia di sua competenza.
Il ragazzo riesce ad aprire, fa benzina e tenta di riavvitare il tappo che proprio non ne vuol sapere; dopo un po’ la sollecito a scendere per dargli una mano.
La scena è desolante: Barbara forza, con rabbia, il tappo del serbatoio, la chiave è incastrata, l’extracomunitario la guarda con un sorriso imbarazzato; lei è ormai imbestialita, suda e impreca all’indirizzo del tappo.
Il ragazzo non ha dismesso quella maschera un po’ tesa e sorridente che ha dall’inizio della vicenda.
Scendo, lancio un’occhiata rassicurante al ragazzo e provo a richiudere il maledetto tappo del serbatoio: niente da fare.
Comincio ad innervosirmi anch’io; poi, Barbara mi spintona via indelicatamente, infila il tappo con decisione, lo chiude e risale in auto.
Sorrido. Allungo un euro al ragazzo di colore che lo afferra come qualcosa alla quale aveva ormai rinunciato.
Barbara parte, un po’ alterata:
– Non capisco come possano essere così incompetenti! E poi, perché gli hai dato la mancia? –
Il dubbio, che prima mi aveva solo sfiorato, è ormai una certezza!
Voglio solo una conferma:
– Con che cosa credi che campi? –
– Ma come?! Con lo stipendio, no? –
La fisso un lungo istante: non c’è un’ombra di incertezza in quello sguardo.
– Ma quale stipendio?! – E comincio a ridere.
– Lo stipendio che gli dà il benzinaio per stare lì la notte. – Sto soffocando dalle risate, è troppo divertente per fermarla.:
– Il benzinaio, eh? –
– Certo. –
– E perché diavolo il benzinaio dovrebbe pagarlo? –
– Perché c’è un sacco di gente che rinuncia ad usare i self-service, perché non è capace o non ne ha voglia… –
E’ assolutamente irresistibile; sono piegato in due.
– Ma che hai tanto da ridere? –
Tra le lacrime cerco di spiegarle il reale meccanismo della faccenda.
– Ma dai, veramente? Io ho sempre creduto…. –
– Guarda che è verde. – indicandole il semaforo.
Ingrana la prima e….si riparte
FLAUBERT

Nei suoi “Pensieri”, Gustav Flaubert ci dice che la poesia è una pianta selvatica, cresce dappertutto senza essere stata seminata. Il poeta è solo un paziente botanico che s’inerpica sulle montagne per andare a raccoglierla. Se la poesia esiste vuol dire che è necessaria alla nostra vita. Non c’è nulla, proprio nulla di inutile sulla terra, e nel cielo. Ogni cosa serve a un’altra. La poesia si troverà sempre in natura, almeno fintanto che ci sarà qualcuno disposto a cercarla. E fino ad oggi, malgrado le mille calamità della storia, i poeti non sono mai mancati. La poesia serve agli uomini, come gli uomini alla poesia. Anche nel cuore del più brutto dei mondi si trova qualcuno che si arrampica nel silenzio del vento, e va a scovare i profumi della nostra esistenza autentica, fatta di sensibilità e di immotivate emozioni. I versi sono musica, e perchè dovremmo ascoltare, come direbbe Voltaire, la musica dell’anima?
Difficile rispondere a questa domanda. Forse solo i bambini hanno la risposta, solo loro vivono di eterne sorprese. Ma non hanno ancora l’abbecedario. Diventeranno grandi e scopriranno che i ricordi più belli sono quelli che abbiamo dimenticato, e stanno scritti nella poesia.
SCIALLA

Il fatto positivo dell’intera vicenda è che posso (anzi, devo) uscire due ore prima dall’ufficio.
In realtà, ce ne sarebbe anche un altro: 60 euro per poche ore di lavoro, ma non mi fido molto di Rino, che chiamo al telefono: “ Ohi, Greg, io sono pronto…” “Si, Marco, tranquillo, tra poco arriva Alessio con due amici suoi; sa già tutto lui; tu andrai a P.zza del Popolo.” Ecco fatto. Sono riuscito ad evitare il “volantinaggio” per anni, ed ora mi hanno incastrato…. vabbé.
Alle tre Alessio si presenta puntuale in ufficio, con un “rasta” ed una ragazzina che non ha nulla da invidiare ad un elfo.
Fatte le presentazioni, ci accingiamo ad uscire e ci dividiamo le “zone”: io e l’elfo a P.zza del Popolo.
Prima di partire, le ultime raccomandazioni, ma il rasta mi blocca:”Ok, ok, SCIALLA”. Bene. In 10 minuti mi son “beccato” già 4 “SCIALLA”….non capisco il gergo giovanile, mi sento vecchio.
L’elfo è simpatico e disinvolto: mi dice “scialla” anche lei, un paio di volte, mentre ci appropinquiamo alla metro. 1500 volantini nella busta: non ce la farò mai!
“Forse dovremmo darli all’uscita della metro”. L’idea dell’elfo non mi convince e, per fortuna, anche lei ci mette un attimo a capirlo. Usciamo sulla piazza, non proprio affollata, a quest’ora. L’ elfo comincia a tentare di piazzare alcuni volantini, e ci accorgiamo subito che sarà una cosa lunga e dolorosa: gente che si volta dall’altra parte, gente che cambia percorso, gente che si scansa “schifata”; l’elfo mi guarda, smarrita:
“Ma perché?? Perché non li prendono?? Certo che la gente è cattiva!” Ci siamo! La ragazzina che ho di fronte, di 19 anni, minutina, biondina, dai lineamenti delicati e con gentili occhi azzurri, comincia a prendere contatto con il mondo REALE: la gente è CATTIVA.
Si, ragazza mia, le persone, anche poco prima di Natale, non sono esattamente degli angeli.
Prendiamo posizione: lei, inizio Via del Corso, lato cinema, io dalla parte opposta.
Inizio Via Del Corso, 20 Dicembre, passano decide di persone, di ogni età, ceto, razza e credo religioso, ma hanno tutti in comune una cosa: l’indifferenza; a volte, il sospetto :” Che vorrà questo tipo da me?? Che mi vuole vendere??”
Comincio ad allungare il braccio per mettere il volantino praticamente nelle mani dei passanti e a questo punto succede di tutto: alcuni cambiano traiettoria, altri ritirano in fretta la mano come se il volantino scottasse, altri ancora mi guardano con malcelato disprezzo.
La gente non è cattiva, ragazzina, è solo stupida……che è peggio.
STENDHAL

Proprio ieri un amico, mi rammentava una frase di Stendhal” La bellezza è una promessa di felicità”
Questa frase significa , in poche parole, che c’è nel mondo qualcosa che si stacca dal circostante perché ha in sé la promessa di renderci felici.
La bellezza può decidere la nostra felicità, ci pensi?
Tante azioni che quotidianamente facciamo sono giudizi di gusto: le scarpe che compri, il vestito che metti, il libro che leggi ( anche se lo compri e non le leggi …) , il vino che bevi, il gesto di cortesia che fai, il film che vedi… ecc.
Tutto parla di te, di quello che sei e che pensi.
Le scelte estetiche hanno a che fare con il piacere o dispiacere che viene provocato in noi dal semplice presentarsi sensibile di cose o di persone.
CONSISTENTE SCOPERTA

“La più consistente scoperta che ho fatto è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare” Jep Gambardella
Mai sentito un’ affermazione più vicina al mio essere. Davvero, non posso più perdere tempo.
“Si vede che te lo puoi permettere” …..col cazzo!
Tutte le volte che ho detto “no”, ogni volta che ho preso una strada decisamente scomoda ma affine alla mia anima, ogni volta che ho fatto come mi è parso e piaciuto, ogni volta ho pagato, duramente, sulla mia pelle.
Ho pagato costi altissimi, sempre, ma la leggerezza del mio spirito non ha prezzo; riuscire, ancora una volta ,a evitare insensati compromessi dà un senso di libertà, di ebbrezza, impagabili.
AMBIGUITA’

– Possibile che con te non si possa mai fare un discorso serio? –
Ridacchiando, getto un’ occhiata al bicchiere della mia Harp strong, dimezzato; mi schernisco:
– Ma non è vero, Sandra, tu ed io non abbiamo avuto molte occasioni per parlare, così, a quattr’ occhi, e poi, con questo casino, che discorsi seri vuoi fare? –
Il pub, effettivamente, è affollato: militari rumorosamente in cerca di compagnia, Inglesine con la stessa intenzione, ma più discrete, Irlandesi ubriachi lerci.
– Guarda che sei stato tu a dirmi “ ti porto in un pub carinissimo dove spillano la birra più buona di Roma “ –
– Ma infatti. Perché, non ti piace questa birra? – non riesco a non ridere.
– Stupido! Ecco, lo vedi? –
– D’ accordo, d’ accordo. Parliamo seriamente. Parlami di te. – trattenendo a stento il riso con i denti.
Lei comincia a parlare, intermezzando disavventure sentimentali a lunghe sorsate di birra.
Io mi accendo una sigaretta, distratto.
Va bene che a Roma non c’é quasi più nessuno, che alla TV non c’ era un film accettabile, che avevo una sete impellente, ma proprio questa idiota dovevo chiamare? Che caspita ci faccio io, qui, adesso?
E mi chiede pure di essere serio!
Beh, ormai la cazzata l’ ho fatta, stiamo al gioco.
Sandra continua a parlare, la voce sempre più “strascicata”, le pause sempre più lunghe; poi, con un’ espressione maliziosa:
– Però, lo sai che non è affatto male, questa birra! – e giù a ridere a crepapelle,
così, all’ improvviso; come davanti ad una smorfia di Toto’.
Io mi guardo intorno, un po’ imbarazzato.
– Ehi, tutto bene? – avvicinandomi.
– Si si. Sai, avevi ragione, questa birra è proprio … – e giù un’ altra risata.
Solo adesso mi accorgo che della sua “media doppio malto” non ne è rimasto che un dito.
– Va bene, adesso andiamo, su… – aiutandola ad alzarsi.
– Si andiamo… – con gli occhi lucidi e ammiccanti: – Guidi tu? –
Puoi giurarci!
– Si, non preoccuparti. – Devo sorreggerla per quanto barcolla.
Lasciamo il locale tra mille occhi divertiti.
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– Senti, ma tu mi trovi ambigua? –
L’ auto è parcheggiata in una viuzza tranquilla, al riparo da sguardi indiscreti.
Sandra sembra aver smaltito la sbornia.
– Ambigua? –
– Si, mi trovi un tipo ambiguo, che so, negli atteggiamenti, o… –
Meglio sbronza: se non altro aveva l’ alibi di uno stato di coscienza alterato; ma come fa ad infilare tante idiozie una dietro l’ altra?!
– Qualcuno ti ha detto che hai degli atteggiamenti ambigui? –
– Si, il dentista. –
Il dentista?!
– Il tuo dentista? –
– Si; durante una seduta, qualche giorno fa. –
Durante una seduta?!
Ma quanto può essere ambiguo, un premolare?!
– Sai, ha cominciato ha fare strani discorsi, su certi miei atteggiamenti… –
Terrificante! Davanti a delle ganasce spalancate, con il gorgoglio del tubicino che risucchiava saliva, gengive sanguinanti, quell’ uomo riusciva a pensare agli “atteggiamenti ambigui” di questa cretina!
Un eroe!
Lei continua a raccontare, ( annichilendo Stephen King ), mentre, con una mossa ben studiata, ruota su se stessa, appoggiando la schiena allo sportello, mettendomisi di fronte, alzando appena la gonna, già corta.
Il mio disagio è ormai evidente.
– Ma cos’ hai, sei nervoso? –
– No, sai, i dentisti mi mettono sempre in agitazione… –
– Su, piantala… vieni qui. – mi prende per le spalle e, con agilità sorprendente
allarga le gambe, mi adagia sul sedile e comincia a massaggiarmi il collo.
– Dio quanto sei teso! –
Altro che teso! La situazione è ad un punto di non ritorno e io, che oltretutto non sono più neanche brillo, non ho nessuna intenzione di arrivare al solito, naturale epilogo di ogni circostanza simile.
Capisco che devo dare fondo a tutte le mie risorse; torno a sedere al mio posto, la guardo tenero e serissimo:
– Sandra, ti ho mai raccontato quello che mi è successo a Beirut? –
– Beirut?! Quando sei stato a Beirut? –
– Nel momento peggiore… – qui mancava solo un “baby” alla fine ed era perfetto.
– Sai, tra l’ ottantadue e l’ ottantaquattro sceglievano alcuni militari di leva,
a caso, e li mandavano in Libano. –
Ma che sto dicendo, questa non sa neanche dove sia, il Libano.
– Nel Libano a fare che? –
E infatti! Ma con chi diavolo sono uscito, con una ragazzina di “non è la rai” ?
Cerco di mantenermi calmo.
– Senti, hai presente l’ Ucraina? –
– Certo! Dove credi che viva, sulla luna? –
Ora la picchio!!
– Beh, stessa cosa: anni fa, nel Libano c’ era lo stesso casino; a dire la
verità il casino c’ è ancora, ma tra i giornalisti è passato di moda.
Comunque: il nostro Governo decise di mandare un contingente di pace;
così sono partito anch’ io: tre mesi a Beirut … – lo sguardo perso nei ricordi:
– … e lì c’ era la guerra, quella vera! – Bogart sarebbe fiero di me.
– Davvero?! –
Presa! Ormai nulla potrebbe distrarla o farla dubitare del racconto.
Libero ogni freno:
– Beh, è chiaro che non eravamo in prima linea; siamo andati come supporto
ai “caschi blu”, te l’ ho detto; comunque, le bombe ti assicuro che le sentivamo.
Un giorno… un brutto giorno eravamo in perlustrazione, un po’ distanti dal
Campo; io mi sono allontanato per qualche metro e ad un tratto…
… l’ esplosione! Il proiettile del mortaio sarà caduto ad una decina di metri; ricordo solo un fischio, un bagliore accecante… poi il buio. –
Sandra sta trattenendo il fiato, non riesce più neanche a fare domande.
Così posso continuare, serissimo:
– Ho perso conoscenza per un paio d’ ore. All’ ospedale del Campo, i medici
mi hanno visitato a lungo, hanno fatto tutti i controlli possibili: nulla; non mi
sono fatto neanche un graffio. –
– Fiuuu… meno male… – riesce a sussurrare.
– Aspetta a dirlo… – qualche secondo di suspense è d’ obbligo.
– Quando sono tornato, finito il militare, mi sono fatto visitare dal mio medico:
era tutto normale… tutto tranne… –
– Cosa?! Dài, non tenermi così! Cosa!? –
– Beh sai, all’ inizio pensavo fosse ancora lo shoc, ma dopo qualche mese ho
cominciato a preoccuparmi… –
– Piantala! Vuoi dirmi che cos’ hai? –
Un profondo sospiro, le sfodero il mio sguardo più vittimistico, e:
– Da allora non riesco più ad avere un’ erezione! –
– Oddio! – e si copre il viso con le mani.
Ho un istante di rimorso; forse ho esagerato… no! Se lo merita!
Lei mi sta guardando, amorevolmente imbarazzata:
– Mi dispiace, mi dispiace veramente; non pensavo… –
– Che vuoi farci. Ho provato di tutto, farmaci, psicoterapia… niente, non
c’è niente da fare.
Comunque, poco tempo fa, mi sono rivolto ad un bravissimo neurologo che
mi ha dato qualche speranza; sto facendo una terapia… vedremo.
Senti Sandra, mi accompagneresti a casa? –
– Certo, tesoro. –
Mette in moto e partiamo.
MATURITA’

“ ….e sii uomo, per una volta!”
“ Non esistono uomini, solo bambini cresciuti in altezza.”
“ Ecco, tu neanche quello.”
Oggi mi è tornato in mente questo scambio, con Alessandra, molti anni fa.
Non ricordo la situazione, non ricordo quale fosse l’ occasione per cui
Io dovessi comportarmi da uomo….l’ho rimossa, ovviamente, mi fa comodo rimuoverla.
Anche questa faccenda di “essere uomo”, ma che vuol dire, esattamente??
Essere maturo; quand’è che siamo maturi? Quando cadiamo dall’ albero? Non so
Leggo su FB : “ Maturità è quando hai la possibilità di ferire una persona ed eviti di farlo”.
Bella definizione, ma poco convincente.
Naturalmente, quando Ale dice: “ Tu neanche quello” si riferisce al mio metro e sessantasei cm.
“ Mr John Keats, un metro e cinquanta”; neanche lui era altissimo e il paragone col Poeta mi fa stare subito meglio. Un gigante (Keats, non io, ); il più grande dei Romantici.
E comunque rimango convinto: non esistono uomini,
solo bambini cresciuti in altezza
DANIEL PENNAC

Quando un professore di lettere si mette a scrivere romanzi possono accadere due cose: o ci ammorba con sterili esercizi di stile (non tutti si chiamano Quenau) o
esprime il meglio di sé, cosa che in aula non gli è permesso.
Pennac rientra decisamente nella seconda categoria.
Fine ed intelligente pedagogo, raccontando storie, ci spiega cosa vuol dire “formare” i ragazzi e trasmettere la conoscenza. La trasmissione della conoscenza, in questi tempi molto “tecnici” e veloci, assume un ruolo fondamentale ed è sottovalutata.
Quando “la tribù Melaussène”, priva della TV, si ritrova unita, la sera, ad ascoltare le storie di Benjamin, ci riporta ad una “tradizione orale” ormai perduta.
Benjamin Melaussène deve mantenere uno stuolo di fratelli minori, ognuno con caratteristiche quantomeno particolari: Therese ha provate doti di veggenza, “il Piccolo” soffre di incubi, il cane Julius è epilettico…..
Di professione fa il “capro espiatorio” : geniale! L’intelligenza e la sensibilità di Ben lo inducono ad un’empatia verso il prossimo che non ha eguali.Il “nostro” viene a trovarsi sempre al centro di complicate situazioni poliziesche: bombaroli, serial killer, vecchietti drogati, maniaci di ogni genere. Per una serie di circostanze rocambolesche, da buon “capro espiatorio”, tutti gli indizi lo indicano come il colpevole. Da ciò nasce uno strano rapporto con il commissario di zona, uno “sbirro” stranamente intelligente, che, contro ogni evidenza, si convince dell’innocenza di Ben.
La famiglia Melaussène vive a Belleville, il quartiere arabo di Parigi e Ben (la cui madre è sempre in giro per il mondo con l’ultima “fiamma”) è stato “adottato” da
un gruppo di arabi che hanno un ristorante sotto casa. Il rapporto con Hadouch, Amar e gli altri ha qualcosa di “poetico” e Pennac ci offre un anacronistico esempio di “integrazione”. Ci regala uno spaccato della saggezza dell’Islam….ma questo è un altro discorso…..
Due parole meritano gli uomini del commissario Rabdomant: gli ispettori Van Thian e Pastor: il primo è Tonchinese, anziano, minuto e con una mira infallibile; l’altro è giovane, indossa dei larghi maglioni di lana su una faccia d’angelo, ed è famoso per gli interrogatori ai quali nessuno resiste: ha un metodo.
Dopo ogni interrogatorio, portato a termine con successo, Paster è “sfatto”, cadaverico e il vecchio collega gli racconta una barzelletta per “tirarlo su”.
Ed è con una di queste che termino il profilo.
“C’è un alpinista che cade, precipita, precipita. La corda si spezza e si attacca con la punta delle dita ad una piattaforma di granito coperta di ghiaccio, sotto di lui: duemila metri di vuoto. Il tipo, dopo un attimo, con una vocina sottile, domanda:” C’è nessuno?” Niente. Ripete, più forte: ”C’è qualcuno?!”
Una voce profonda sorge dal nulla: “Si, ci sono io, Dio!”
L’alpinista aspetta, col cuore che batte e le dita congelate.
La voce riprende: “Se hai fiducia in me, molla quella fottuta piattaforma. Ti mando due angeli che ti prenderanno in pieno volo!”
Il picolo alpinista riflette un attimo, poi, nel silenzio di nuovo siderale, domanda: “C’è qualcun altro?”
VINTAGE

L’ altro giorno, mio nipote ( 10 anni), mi ha chiesto :
“ Zio, cosa vuol dire “vintage” ?
“ Ben fatto”, gli ho risposto.
“Ah, ecco”. Mi è sembrato soddisfatto.
Ho mentito? No; quando si dice ciò che si pensa non si mente mai.
Il problema si porrà quando farà la stessa domanda a qualcun altro.
IL bambino è sveglio e intelligente, ma non mi è parso il caso di spiegargli il concetto
di “obsolescenza programmata”. Vediamo cosa riporta la nostra Wiki:
“ L’obsolescenza programmata o pianificata in economia industriale è una strategia volta a definire il ciclo vitale di un prodotto in modo da limitarne la durata a un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile dopo un certo tempo”
Esatto; in parole povere, il frigo di mia nonna durava 40 anni, uno di oggi ne dura 10, se va tutto bene.
“ In definitiva, che cosa siamo?”
“ Siamo consumatori”
“ Esatto! Siamo solo consumatori” Una scambio tra Brad Pitt ed Edward Norton in Fight Club
Ciò che consumiamo è diventato per molti aspetti l’elemento più importante della vita moderna. Le nostre economie vivono o muoiono in virtù di quanto spendiamo e spesso tendiamo a definire noi stessi in base a ciò che possediamo.
Mi nipote ha, ovviamente, fortunatamente, una miriade di sogni, nella testa e non sarò
certo io ad infrangerli.
ANIMALI DOMESTICI

In radio sta passando “La gatta”, grande successo di Gino Paoli. “Una vecchia soffitta vicino al mare”…e questo risveglia un ricordo molto simpatico, un bel periodo.
Ci eravamo appena sposati e Lucia si è trasferita a Roma. Prima di allora, io, da scapolo, giravo per stanze improbabili prese in affitto. Situazione disperata ma non seria.
Ora la situazione era davvero seria, perché cercare casa in affitto, a Roma è un percorso di guerra.
Ne abbiamo viste di tutti i colori, dall’ Open Space, enorme , ma gelido e senza allacci per luce e gas, alla stamberga nel condominio di un quartiere turbolento, al tugurio un culo alla luna.
Ma c’è un episodio che entrambi ricordiamo con allegria, tanto era grottesca la situazione
Il bimbo nella carrozzina riposa tranquillo, nonostante gli scossoni della metropolitana; le carrozze sono nuove, ma i binari, ahimé, no.
Il bimbo sembra decisamente sereno, a differenza di noi, che abbiamo gli occhi fissi sullo schemino delle fermate; un conto alla rovescia, un po’ ansioso, intermezzato dai neon del tunnel e le performances di artisti di strada un po’ cialtroni.
Lo slavo finalmente smette di massacrare “Autumn sleaves” con la sua malconcia fisarmonica, il bimbo apre gli occhi, si stiracchia e noi scendiamo a Numidio Quadrato.
Lucia mi sorride, mentre usciamo a rivedere la luce di questo tardo pomeriggio di tarda estate. La luce è incerta. Noi anche.
Via Tuscolana è sempre lì: larga, gonfia di automobili, densa di traffico e costellata di vetrine appariscenti.
Via dei Sulpici: la nostra meta; prima di uscire di casa ho dato una frettolosa occhiata allo stradario ed ora non ho la più pallida idea di dove possa essere….mi guardo bene dal dirlo a lei, che, seguendomi fiduciosa, azzarda un “perché non chiediamo”?
Mai! Con passo deciso raggiungo Via dei Consoli e le nebbie cominciano a diradarsi: dobbiamo tornare indietro.
Per la stragrande maggioranza delle persone i punti cardinali sono quattro; per me sono DUE: “l’ho trovato” e “mi sono perso”.
Torniamo sui nostri passi e Lucia nota qualcosa che le è familiare (lo nota lei!, che vive a Roma da due mesi):
“Ma qui non è dove abita Carmela?” alzo gli occhi e leggo: Via Livilla; si! Qui abita Carmela, e lei l’ha subito notato…..metto a tacere l’orgoglio che lascia il posto ad un piacevole e sottile senso di conforto: siamo sotto casa di un’amica che, all’occorrenza, può sempre soccorrerci.
Mi scuoto e riprendo saldamente in mano la situazione: entro in un negozio di ottica e chiedo al proprietario; il tipo è gentile, esce in strada e, con uno strabismo evidente, ci indica la via, con fare sicuro.
“Hai visto? Bisogna sapere a chi chiedere!” Lucia mi restituisce il solito sguardo carico della pazienza che bisogna avere con i bambini testardi e un po’ ottusi.
Via dei Sulpici è stretta, tortuosa, abbastanza trafficata pur trovandosi distante dalla confusione della Tuscolana.
Sulla sinistra vediamo dei bei palazzi alti, non vecchissimi e con delle facciate perlomeno dignitose; sulla destra ci sono una serie di catapecchie in muratura, gialline, vecchie e trascurate: il civico che cerchiamo è sul lato DESTRO.
Ho una brutta sensazione e ne faccio partecipe lei, che continua a camminare semi fiduciosa.
Ecco il N° 68. In assoluto il più brutto di tutti quei fatiscenti edifici; ci troviamo di fronte ad un cancelletto semi aperto che dà su un “giardino” (al telefono avevano sottolineato il fatto che ci fosse un giardino) pieno di pezzi di ricambio di auto, vasi rotti, e rottami dall’origine incerta.
Ci viene incontro una signora in vestaglia, anziana, bruttina, sciatta e trascurata, perfettamente mimetizzata con l’ambiente: “Venite, vi faccio vedere l’appartamento.”
“Appartamento” è l’ultimo eufemismo che la mia mente registra prima di entrare in quella catapecchia.
Passiamo velocemente davanti la “cucina” e entriamo nella camera: un bella camera, pulita, con il letto e la mobilia nuova; quello che MacLuhan definirebbe “contro ambiente” (qualcosa che è talmente in contrasto con il resto dell’ambiente, che non puoi fare a meno di notare).
Lasciando in pace il povero Marshall, lancio un’occhiata al bagno: un buco, senza bidet, con la doccia praticamente al centro; ovviamente sporco.
Lancio un’occhiata a mia moglie che glissa chiedendo alla signora della cucina.
Già: la cucina. Altro buco, con un lavabo per nani e due fornelletti del gas, con la bombola.
“Ma è per voi due?”
“SI è per noi due”
“Avete figli?” con tono decisamente preoccupato
“No”
“Cani o gatti??” la voce carica d’ansia
“No”
“Se vi interessa dovete parlare con mio marito” (non ci penso nemmeno!)
Ci defiliamo con una scusa. Gatti.
Penso con nostalgia a Cagliostro: il suo passo elegante, il suo sguardo perplesso, i suoi gusti raffinati…..in questo posto non resisterebbe due ore!
TALENT

Oggi la noia la fa da padrona; sabato sera, italiano; troppo anziano per la discoteca, troppo giovane per mettermi a letto alle 9 di sera.
Prendo il telecomando, lo impugno stretto, come una “calibro nove parabellum”, e il paragone è perfetto, dato che ci sarebbe solo da sparare alla nostra televisione.
Zapping furioso, ma, all’improvviso, mi fermo : una trasmissione, di successo, molto apprezzata, come ogni cagata; sul primo canale, dove personaggi, più o meno famosi, si misurano in una terrificante gara di ballo, con tanto di nastrini e paillettes e una giuria (vabbé) di 5 individui. La cosa fantastica è che su cinque persone, solo una è un’ex ballerina. Qui siamo decisamente oltre il trash, siamo già in discarica. E’ l’ultima puntata, devono nominare il vincitore. A questo punto, dato che manca poco, decido di farmi male fino in fondo e vedere a che punto arriva lo schifo.
….e chi vince? Rosalba Pippa! E questo dice già tutto, niente altro da aggiungere. Nomen Omen.
Se vince una pippa, tutto è possibile.
Questo è il livello della nostra TV. Questi programmi dove ci si cimenta con il ballo, con il canto, soprattutto con il canto. I talent. . Per carità, non tutti tutti; per esempio non ho nulla contro X Factor, che un paio di cose carine le ha sfornate.
Ma, per la maggior parte esistono cose tipo: “Amici”, condotto dalla, moglie mascolina di un notissimo giornalista italiano, scomparso da poco, , molto più grande di lei. In realtà lei (unica in questo desolante panorama) è brava, intelligente, molto, conduce anche altri programmi con una professionalità sconosciuta ai più.
Quindi, dicevamo, i Talent Show, che vanno per la maggiore, non solo da noi. Riguardo la danza, non posso dire nulla, non me ne intendo; forse giusto un appunto, essendo stato 5 anni con una ballerina professionista. Esiste la danza classica e la danza contemporanea. Nessuna via di mezzo. Si sono inventati la Danza moderna. Non esiste alcuna danza moderna. Insomma: o Carla Fracci o Daniel Ezralow.
Per quanto riguarda la musica, in tutta immodestia, penso di poter dire la mia. A 6 anni poggiavo per la prima volta le mie piccole dita sul pianoforte, e ne scaturiva “Per Elisa” ( tutti cominciano da lì). A 10 anni ascoltavo Elton John, a 12 i Deep Purple, a 13 Pink Floyd e Genesis…e così via.
Quest’ anno, a “conoscenti” partecipa anche un figlio d’arte, il padre è un famoso cantante napoletano, grazie a Dio non neo melodico. Ma, a quanto pare, il talento non si trasmette tramite DNA.
Praticamente queste sono palestre, per gli “artisti” di domani.
La vera tragedia è che questi ragazzi, passano direttamente da questi programmi ( i più bravi, ovviamente) alla casa discografica che li produrrà.
Si salta a pié pari la gavetta. Si la famosa gavetta, sarò anche retorico, ma tutti dovrebbero fare parecchia gavetta. C’è una canzone carina di Memo Remigi, del grande Memo Remigi, che recita:” Ma dove vai se non hai fatto il piano bar”. Ecco: il piano bar, “le piazze”, i tour nei paesini più sperduti. E solo dopo andare a bussare a tutte le case discografiche con il tuo bel Demo.
Altrimenti avremo il solito colosso (si fa per dire) con i piedi d’argilla.
VENTENNI

Che tu abbia 20 anni, o 60, e non sai ancora cosa fare da grande, non preoccuparti: innanzitutto manda al diavolo chi ti critica. Non si tratta affatto di un peccato grave. E’ una situazione assai diffusa e per lo più creata dalla nostra cultura, che fin dall’infanzia ci bombarda di messaggi fuorvianti. Innanzitutto i nostri genitori hanno la tendenza, giusta a loro modo di vedere e in assoluta buona fede (forse) , di desiderare qualcosa per i propri figli. Frasi come “Paolo da grande vuole fare l’avvocato”, oppure “Sarai un ottimo ingegnere”, o ancora “Tutto come il papà, sarai un grande musicista”, sono, non a caso, luoghi comuni assai diffusi. Non è una critica, le intenzioni di una madre e di un padre sono le migliori possibili. Questo non significa che, a volte, diciamo spesso, si possano fare danni anche con le migliori intenzioni.
La televisione ci spinge inoltre a voler essere divi del cinema, tronisti, modelli, sportivi che guadagnano un sacco di soldi e circondati da macchine di lusso, veline, modelle . Non ho nulla personalmente contro questi desideri, sia chiaro, purché nascano dal cuore e non dal condizionamento e bombardamento quotidiano che sistematicamente subiamo.
Il nostro cervello è un sistema, che reagisce a ingressi e produce uscite. Specie quando è ancora terra vergine, ossia in tenera età, è facile da plasmare e condizionare. Il desiderio naturale di un bambino è un pallone e un campetto di calcio. Mettetelo di fronte ai cartoni animati, e come per magia, dopo qualche tempo, desidererà il
giocattolo più pubblicizzato o quello più comune tra gli amichetti. Si tende a desiderare ciò che si dà in pasto al nostro cervello. Anche i comportamenti compulsivi, derivano da una serie di scelte infinitesimali, ma continue, ripetute nel tempo. E alla fine il cervello risponde con uscite che sono della stessa natura degli ingressi.
La nostra cultura inizia subito la suo funzione di plagio. Se credi di essere immune, nel bene e nel male, all’immersione culturale, come reagiresti se vedessi un uomo che si aggira nudo per strada? Be, in alcune culture, la stranezza sarebbe esattamente il contrario: il vederlo vestito. Alcune culture si cibano di carne bovina, in altre è considerato un sacrilegio. Così come quella suina del resto. Gli orientali hanno prelibatezze a base di insetti, noi occidentali troviamo la cosa repellente. La religione dominante in Italia è per il 95% quella cristiano-cattolica, in Arabia saudita è quella musulmana per percentuali ancora maggiori. E’ frutto di una scelta libera? Sarebbe un’offesa alla nostra intelligenza; di libero non c’è nulla assolutamente nulla. E’ lapalissiano che subiamo forti condizionamenti culturali fin da piccoli. Nel bene e nel male, nessun giudizio, solo consapevolezza della cosa.
E’ del tutto umano e naturale sentirsi disorientati in questo contesto. Sono ben poche le persone che sono in grado di sapere, genuinamente, cosa vogliono dalla vita, e di essere in grado di prendere delle decisioni serene e durature in tal senso.
Se qualcuno ti dà del fallito, mandalo a quel paese. Chiunque esso sia. Punto. Ti ripeto: sono pochissimi coloro i quali sanno esattamente cosa fare nella vita. E questo vale tu abbia 20 anni, o 60.
ANNI ’80

Raf sta intonando “Cosa resterà”. Gli anni ’80, i magnifici, i luccicanti anni ’80.
La fine della crisi, la ripresa, il benessere per tutti.
Tre nomi sintetizzano l’epoca: Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Bettino Craxi.
Cominciamo da lui, dalla “Milano da bere”. La Milano della Moda.
I grandi stilisti ingaggiavano ragazze bellissime: la Schiffer, Naomi Campell, Eva Herzigová. Le ragazze comuni vedono sfilare queste donne e, specchiandosi, cominciano a pensare che il loro corpo non è quello “giusto”. Non hanno quei lineamenti, quei capelli .
Da li, il corpo è messo al centro dell’attenzione. Devi essere come loro se vuoi stare in mezzo alla gente, devi avere un corpo scultoreo se vuoi che i tuoi compagni ti accettino e non ti bullizzino. E’ così che inizia l’era del vuoto assoluto. Non importa essere, basta apparire. Le ragazze cominciano diete serrate: un esercito di anoressiche.
L’apparenza è tutto. Che ti frega di studiare? Devi comprarti la maglia Best Company, il Moncler, i Ray Ban la borsa Mandarina Duck sei vuoi essere “figo”. Questo negli anni ’80 ma oggi non è cambiato nulla se non qualche marchio, anzi “brand”: Guess, Louis Vuitton, Nike, ecc. Gli oggetti hanno preso un valore inestimabile, uno status symbol. Amiamo gli oggetti e usiamo le persone: non dovrebbe essere il contrario? Oggetti che vengono riconosciuti dalla maggior parte delle persone, come indice di appartenenza a una classe socio-economica elevata.
E arriviamo al dunque. Una ricchezza diffusa, uno spendi e spandi generale. La ricchezza va esibita, sempre. Se non hai abbastanza soldi per comprare qualcosa di bello, cominci a fare debiti. Debiti su debiti. Le persone seguite a ruota dagli Stati. Non occorrono 4 Master in Economia per sapere che se non c’è oro nei caveau delle Banche Centrali, le banconote sono carta straccia.
E’ fantastico, siamo riusciti a spendere soldi che, in realtà, non c’erano.
E infatti, puntuale, è arrivato il 2007 e ha rimesso i conti in ordine. Il sogno è diventato incubo.
Niente più certezze, neanche nel mercato immobiliare, colonna portante dell’economia, soprattutto americana. Boom!
Crollo delle borse, crollo dell’economia reale.
E’ crollato tutto, il castello di carte è durato fin troppo.
Il re è nudo, gli Yuppies sono nudi. Gli anni ’80: economicamente un disastro, politicamente una beffa, culturalmente un deserto.
Dopo gli anni di piombo, gli anni di merda.
PASSI FALSI

Allo sbando.
Il sole ruminò l’orizzonte.
La luna tergiversò.
Il gatto saltò. Rotolò. Ronfò.
Il sorriso ruppe le labbra.
L’ironia inventò la sera.
Lo specchio indagò. Interrogò. Indugiò.
Il pomeriggio diluì entusiasmi.
La dinamo mortificò prospettive.
La sveglia suonò. Pazientò. S’indignò.
La noia sorprese i minuti,
l’universo immalinconì.
LA PROVA

Apro gli occhi un istante prima che la sveglia cominci a suonare.
Sette del mattino. Cristo! Il pensiero che dovrò cominciare a farlo tutti i giorni mi schiaccia sul materasso: lo allontano saltando fuori dal letto, fin troppo rapidamente: inciampo sul comodino e la seconda bestemmia della giornata mi accompagna fino in bagno.
Prima di uscire do una sbirciata allo specchio: capelli corti, ben rasato, camicia stirata… sì, ho decisamente l’aria del bravo ragazzo. Sveglio e volenteroso.
Più che altro volenteroso.
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L’autobus è affollato, ma le tre ragazze ROM riescono ugualmente a salire; tra i passeggeri cominciano i primi borbottii e “arricciamenti di naso”.
Davanti la porta centrale, una signora, grassa e volgare, mi guarda con acida complicità:
– Potrebbero starsene a casa loro! –
Ma quale casa, se sono nomadi, IMBECILLE!
– E poi vengono qui, a sporcare e a rubare, no? –
Convinta dei suoi argomenti, mi guarda aspettando un mio assenso; io le rimando un’espressione assolutamente NEUTRA.
Prima di scendere, non soddisfatta, vuole la mia approvazione, mi ripete:
– No? –
Io la fisso a lungo; poi le rispondo un “NO” secco e scendo dall’autobus.
Sono le nove meno cinque quando entro nell’androne del vecchio palazzo, in centro Chiedo al portinaio l’interno dello studio del Dottor Piccirilli.
L’ascensore è guasto, per fortuna lo studio è al primo piano.
– Ho un appuntamento col Dottore. –
La ragazza che mi ha aperto è alta, porta capelli lunghi e gonna corta; ha dei grossi occhiali quadrati in montatura rossa:
– Prego, si accomodi; un ATTIMINO che avviso il Dottore. – e pigia un tasto dell’interfono sulla scrivania.
Da una porta sul lungo corridoio, esce un corpulento signore che mi viene incontro sorridente:
– Marco! Che piacere rivederti! Tu non puoi ricordarti, l’ultima volta avrai avuto sei anni! –
– Ehm… già. Come sta? –
– Benone, benone! Quelli durante i quali ho collaborato con tuo zio, sono stati i più begli anni della mia vita. Senti, ti dispiace attendermi solo un istante? –
– Ma si figuri! –
Il tipo rientra nella stanza.
Squilla il telefono, la ragazza risponde:
– Si? Si, un ATTIMINO solo. –
E DUE!
La osservo, dietro la scrivania, e mi domando se, per le segretarie, gli occhiali siano richiesti quale requisito indispensabile per l’assunzione.
Suona l’interfono, lei si alza e, incamminandosi per il corridoio, mi sorride:
– Mi scusi un ATTIMINO. –
E TRE! La terza volta che lo ripete. Quanto reggerò?
Nel frattempo entra un ragazzo. Avrà circa ventidue anni; indossa un completo blu, camicia azzurrina e cravatta bordeaux; la ventiquattr’ore stretta nella destra, il “cellulare” nella sinistra, (quando si dice raggiungere il proprio equilibrio…).
La segretaria, tornando, lo accoglie con un largo sorriso, (troppo largo, perfino per quella bocca); lo fa entrare nella stanza di Piccirilli.
Poi sembra ricordarsi della mia presenza:
– E’ questione di un ATTIMINO. –
E QUATTRO!
Dopo cinque minuti mi alzo:
– Senta, dica al Dottore che ripasso… –
– Ma no, aspetti… –
– No, non fa nulla. Lo richiamo io. Arrivederci. –
Sto per aprire la porta quando mi blocco, ritorno indietro, le sorrido amabilmente:
– Senta, me lo farebbe un favore personale? –
– Ma certo, dica pure. –
– Potrebbe NON dire: UN ATTIMINO?! –
Lei mi fissa stupefatta mentre guadagno l’uscita, defilandomi.
Appena in strada tiro un sospiro di sollievo.
Che dirò a zio?
Beh, quando mi chiederà spiegazioni, gli risponderò che devo pensarci…
…UN ATTIMINO.
VIAGGIAMO TUTTI SOTTO FALSO NOME


IL VIALE

Un Novembre pietoso e mite
Ci regalava tiepide serate
di una quinta, neutra stagione
in vena di compromessi.
E noi camminavamo lungo il viale
delle parole
che non avremmo più ritrovato
perché le avevamo perdute
in discussioni stracciate.
E così abbiamo imparato
a spegnerci reciprocamente i pensieri
FAUNA D’ AGOSTO

Stregoni andini nei miei sogni,
rose di vetro alla finestra,
ombre cinesi alla mia porta,
cavalieri di cenere alla parete:
dammi due note di fiato,
un lembo del tuo sorriso.
C’è polline tra i miei capelli,
c’è noia nei miei passi,
c’è gelo sulle mie labbra,
c’è polvere sulle mie ciglia.
Danzanti regine d’avorio,
eleganti paggetti di bronzo,
gioiosi folletti di giada,
fugaci elfi d’inchiostro.
Non cercarmi nei tuoi sistemi,
non amarmi coi tuoi parametri,
non pensarmi nei tuoi labirinti.
La sabbia di Macondo,
i tetti di Babilonia:
memorie circolari,
spirali di dolore
Agosto 1987
IMMIGRATI

C’ è uno splendido post che circola in rete in questi giorni: “ i dati ci dicono che gli immigrati si stanno integrando e sostituendo ad autoctoni nella filiera produttiva”. Curioso modo di esprimersi, che chiede di essere commentato. Scorgo due curiosi lapsus.
Intanto – partiamo dal primo – sia consentito sollevare il dubbio che possa darsi un’automatica e irriflessa identità tra integrazione e inserimento nella filiera produttiva; ché, se così fosse, anche gli schiavi ai tempi dello schiavismo americano e perfino Spartaco e i suoi compagni di sventura dovrebbero a rigore dirsi “integrati” in quanto parti attive della produzione. Integrazione, forse, dovrebbe dire qualcosa di diverso e di più alto, credo: ad esempio, riconoscimento di diritti civili e sociali; ma poi anche dignità del lavoro e integrazione culturale.
Nel frattempo dal mio lettore MP3 è partito un pezzo di musica etnica rilassante, africana….vedi, alle volte….
Ciò che, ovviamente, non si vede sotto il cielo. Il sistema della produzione, che parla la neolingua buonista per nascondere le proprie politiche spietate, ha bisogno dei migranti e sempre li elogia, ma non per integrarli (se non secondo la discutibile identità di cui sopra), bensì per sfruttarli come nuovi schiavi; non mira a dare loro diritti, ma a togliere anche a noi i pochi diritti superstiti; insomma, si sa, aspira a produrre l’ennesima guerra tra poveri e insieme, a usare i più poveri per abbassare al loro livello i meno poveri.
Insomma, il sistema mondialista della produzione fa credere agli italiani poveri che la loro povertà dipenda da chi è ancora più povero (mai dal potere, dalla finanza, dalle banche, ecc.) e che, dunque, occorra prendersela con chi sta sotto, non con chi sta sopra. Ne è l’emblema la patetica retorica delle “ruspe” rivolte sempre e solo verso il basso, mai – guarda caso – verso l’alto.
Secondo lapsus del tweet: gli immigrati – si dice – si stanno “sostituendo ad autoctoni nella filiera produttiva”. La parola chiave è, naturalmente, “sostituendo”. Il re è nudo, il gioco è chiaro, l’obiettivo è palese: per la destra del denaro l’obiettivo è sostituire i lavoratori autoctoni con gli immigrati; per la sinistra del costume, questo si chiama “integrazione” ed “emancipazione”.
Insomma, emancipazione e integrazione significa far lavorare i migranti nelle filiere della produzione a prezzi stracciati e senza il giusto riconoscimento dei diritti. Significa sostituire la manodopera che ha diritti sociali e una residuale coscienza di classe oppositiva (scioperi, ecc.) con una nuova manodopera che non ha né gli uni né l’altra, e che è disposta a tutto pur di sopravvivere. Disposta anche a fare per 3 euro all’ora ciò che la manodopera educata dalla stagione delle lotte di classe e dello “stato sociale” mai accetterebbe.
Così, vince la legge del capitale, che è sempre una sola: trovare qualcuno disposto a fare lo stesso a un prezzo più basso. Delocalizzazione della produzione e immigrazione coatta sono le due facce della stessa medaglia, sono i due movimenti simmetrici con cui il capitale sposta la produzione dove costa meno o attira lavoratori disposti a lavorare a prezzi più bassi e con meno diritti: la medaglia dalle due facce è, ovviamente, quella del conflitto di classe, che il capitale sta vincendo senza incontrare resistenza e con la piena subalternità culturale di intellettuali, sinistre, ecc. Che subito diffamano come razzista e xenofobo chiunque osi dire ciò che l’immigrazione è oggi uno strumento della lotta di classe nelle mani dei dominanti.
UNO PER UNO

Eccoli qui, i miei ricordi,
sono tutti davanti a me
come inutili lampadine bruciate
appese ai fili del tiro a segno
di un misero luna-park.
Ora li prendo di mira
uno per uno
e li colpisco,
uno per uno
senza sbagliare.
E la sbiadita ragazza
del baraccone
mi darà in premio
il pupazzo da 10 euro
che mi somiglia un po’
APOCALITTICI E ASSONNATI

Il suono petulante del citofono irrompe, ottuso, nel sogno, dileguandolo.
Imprecando mi alzo dal letto e vado a rispondere.
– Buon giorno, il signor Felici? – Il tono è forzatamente gioviale.
– Si. –
– Bene. Buongiorno, il mio nome è Rossano. –
ROSSANO?!
– Si.- Non so se ridere o piangere.
– Senta, avremo piacere di parlare un po’ con lei. –
– Parlare…. –
– Si, ma non vorremmo disturbarla, forse ha da fare. –
– Dormivo. – Sono le otto di Domenica.
– Oh, mi scusi per il disturbo, però potrebbe concederci dieci minuti per dirci cosa ne pensa della guerra delle malattie della delinquenza della droga dell’ambiente e se crede che dobbiamo rassegnarci oppure ha fiducia in una vita diversa… –
08.00 di Domenica e ROSSANO vuol sapere se ho fiducia in una vita diversa
– Si, insomma, lei crede che possa esserci una possibilità di salvezza per l’uomo, che possa essere felice? –
Potreste cominciare voi, evitando di rompere i coglioni al prossimo specie a quest’ora del mattino!
– Ascolta, Rossano, io stavo dormendo. –
– Ho capito e sono mortificato, ma non potrebbe dirmi se esiste, secondo lei, una possibilità di salvezza… –
– Sto cercando di dirti che non sono abbastanza lucido per affrontare l’argomento.-
– Beh, magari ripassiamo tra qualche giorno… –
– Si. Addio. – Torno a letto.
Ale sbadiglia:
– Chi era? –
– Rossano. –
– Chi? –
– Te l’ho detto: ROSSANO! –
– E chi è Rossano?! –
– Cosa vuoi che ne sappia… –
– Ma insomma, chi era? Che voleva? –
– Una POSSIBILITÀ’ DI SALVEZZA. –
– Cosa? –
– Lascia stare; dormi. –
MEDICI

La tangenziale è ormai alle nostre spalle; la strada che percorriamo è costellata di ragazzi che vendono sigarette di contrabbando. Anna mi chiede di controllare il foglietto dove si è appuntata le indicazioni per raggiungere Villa Valeria, dove abbiamo (ho) appuntamento con il neurologo.
Dopo un paio di indicazioni fuorvianti, forniteci dagli indigeni, raggiungiamo la zona; ci infiliamo in un vicolo largo 50 cm più della macchina; sporgendosi dal finestrino, Anna chiede della Villa ad una signora seduta davanti ad un negozio;
la tipa esibisce un repertorio di smorfie da far impallidire Jerry Lewis, poi:
– Mai sentita, signo’! –
Dopo neanche dieci metri ci troviamo di fronte alla clinica, la scritta “Villa Valeria” è di dimensioni impressionanti.
Suoniamo al citofono.
– Ma avete un appuntamento? – la voce femminile ha un tono ostile.
– Si, con il Dottor Russo. –
– Dottore? (F.C.) Dice la signora di avere un appuntamento con lei, è vero? –
Mi chiedo se siamo in un centro diurno per handicappati, come ci avevano informato, o davanti ad una base del Pentagono.
– Va bene, entrate… – il tono ancora sospettoso.
Il “tono sospettoso” assume le sembianze di un ‘ infermiera sulla sessantina, con zoccoli bianchi e atteggiamento marziale ma gentile:
– Accomodatevi che il Dottore arriva subito. –
Nel cortile assolato transita un tipo dall ‘età indefinibile, lo sguardo vuoto, mormora una litania tra sé e sé ripetendo di continuo un gesto rituale; osservandolo, mi convinco che l ‘aver lasciato l ‘ “assistenza domiciliare” è stata una scelta saggia.
L’ infermiera ci viene incontro:
– Venite, vi accompagno dal Dottore. –
La stanza è grande, fredda, spoglia: squallida. Un tipo sui “quaranta”, radi capelli ricci,
camice sbottonato, è seduto dietro una scrivania che sembra una banco preso in prestito da un istituto tecnico industriale; quando entriamo, alza appena lo sguardo:
– Buongiorno, ha avuto difficoltà a trovare la strada? – rivolgendosi ad Anna.
– No, nessun problema, come sta? –
– Bene, grazie. –
– Beh… questo è Marco. –
La reazione del medico è inesistente. Anna esce dalla stanza.
Mi siedo mentre il tipo continua a fissarmi con occhi assenti, l’ atteggiamento finto-rilassato.
– Bene, qual ‘ è il problema? –
Cazzo! Mi vengono in mente almeno sette battute “da film” contemporaneamente, prima fra tutte: “ è lei il dottore! ”. Invece rispondo:
– L ‘ ansia. – come se fosse il sintomo la causa e la cura in una volta.
– E QUANDO è ansioso? –
Adesso senz ‘ altro, coglione!
– Mah… sempre… –
– E PERCHE’ è ansioso ? –
Ora mi alzo e me ne vado!! –
– Beh… non saprei… –
Soltanto adesso il dottore comincia a pronunciare frasi oltre una proposizione di
primo grado… e mi chiede della mia infanzia!
L ‘ uomo che mi sta di fronte è giovane, intelligente, dinamico eppure sta dicendo una serie di idiozie che pensavo sepolte con Pavlov. Sembra che gli ultimi quarant ‘ anni di ricerche psichiatriche, neurologiche e, soprattutto, psicologiche, gli siano scivolati addosso senza scalfirlo.
Provo a intromettermi dicendo che forse, la bioenergetica….
Scansa l’ argomento come un insetto fastidioso, mettendo Lowen alla stessa stregua del Vudù haitiano.
Squilla il telefono. Dev ‘ essere un collega, cominciano a parlare di AUTOMOBILI!
Lui è entusiasta di un recente acquisto, l’ ultimo modello di non so cosa!
Io non sono snob, non molto perlomeno, ma Cristo: automobili!!
Se non fosse che sono qui perché ho dei problemi reali, mi starei divertendo parecchio.
Riaggancia.
– Lei è depresso. – conclude, lapidario.
Mi consiglia un ‘ analisi Junghiana e mi prescrive degli antidepressivi.
Mi accompagna alla porta mentre Anna ci viene incontro; non vuole assolutamente essere pagato. “ e ci mancherebbe!! “ penso, mentre insisto debolmente.
– Com ‘è andata? – mi chiede Anna
– Bene. – mento io.
La farmacista legge la ricetta con attenzione, cerca tra gli scaffali, mi restituisce ricetta e una scatola verde e bianca:
– Quarantotto euro. –
La Vera Medicina, l’ unica Medicina: la Medicina Ufficiale!
Quarantotto euro.
CIANFRUSAGLIE

Formiche di vetro danzano sul mio letto,
mentre abbraccio cuscini di marmo,
la testa mi pesa così come il cuore,
un paio di slip straripa dal cassetto,
la lavatrice funziona ad intermittenza,
ragazze di latta mi lusingano con
etichette fosforescenti.
Il caos mi sorprende durante
una masturbazione emotiva;
“è tutto in ordine!”
continuo a ripetere l’orsacchiotto
sul mobile impolverato;
e intanto Flora concede le sue gambe,
Lorenza è sempre più ambigua,
Alice è scomparsa
ed io… io non riesco ad
assettare più né i pensieri
né le abitudini
e mi perdo, mi perdo…
nell’immobilità di questa estate,
di queste note, di queste mura,
di queste… cianfrusaglie d’inchiostro.
Agosto 1987
TECNOLOGIA

Quante volte abbiamo pensato: “Ho proprio bisogno di staccare la spina”. Bene. Fatelo.
Intendo “letteralmente”; io, tempo fa, l’ho fatto. Niente PC, né cellulare, per una settimana.
Lunedì – Di solito, mi addormento con la radio. Che, però, è digitale, perciò proibita. Risultato: dormo malissimo e alle 6 di mattina sono già sveglio. Quindi, vado in palestra per la prima volta in tre anni e quando torno a casa, realizzo che non posso usare il computer, così mi metto a svuotare la lavastoviglie. Oddio, che ne sarà di me?
Prendo la macchina, guido fino alla discarica e mi perdo senza il navigatore: così, per un viaggio di mezz’ora, impiego due ore. Una volta a casa, risistemo la mobilia e, appena finito, pulisco la cucina. Mia moglie mi guarda adorante: i casi sono due, o muoio di stanchezza o divento il miglior marito del mondo. Ho la netta sensazione che ci sia un’importantissima mail che mi aspetta nella mia “inbox” per propormi di recitare in un film di Hollywood insieme con Angelina Jolie e che l’offerta scadrà venerdì, ma devo essere forte.
Martedì – sistemo le tende e vado ancora in palestra. Mia moglie è così deliziata che mi chiede di raggiungerla a pranzo in un locale carino. Ci vado ma non la trovo, così vedo un telefono pubblico e faccio per chiamarla, quando mi rendo conto che non so il suo numero di cellulare, perché è nella memoria del mio cellulare, che è a casa. Spento. Alla fine, mangio da solo.
Devo scrivere un paragrafo per il romanzo e devo farlo a mano. Credo di non aver più scritto qualcosa oltre le due righe, con una penna, da almeno 10 anni e già alla quinta riga devo smettere perché mi fa male la mano. Una faticaccia !Finalmente, riesco a finire e detto il pezzo al mio editor, ma ci metto una vita perché non riesco a decifrare la mia scrittura.
Mercoledì – Vado fuori città con il treno. Sono senza cellulare e ho una serie di appuntamenti difficili da coordinare. Non posso nemmeno andare online, come faccio di solito e sono davvero annoiato. Ovviamente, il treno è in ritardo e cerco un telefono pubblico per avvisare, ma non ho la scheda né moneta e così perdo il primo appuntamento. Pranzo con un possibile cliente che ha tre cellulari sul tavolo: provo a fare la faccia scocciata, ma uno di questi è un iPhone che ha comprato a Londra e non posso non guardarlo ammirato. Durante il viaggio di ritorno, cerco di rilassarmi ma il mio vicino comincia un’inutile conversazione telefonica e mi innervosisco talmente che vorrei prendergli il cellulare e buttarglielo giù dal treno. Invece, mi faccio un whisky.
Giovedì – tolgo il mio computer portatile dal cassetto e mi metto a fissarlo. Poi lo rimetto a posto e vado a fare un giro con il cane.
Cerco di guardare i programmi pomeridiani alla tv, ma sono davvero deprimenti. Come scegliere fra il cianuro e la cicuta. All’improvviso, c’è un black-out: normalmente, andrei in totale panico; invece, leggo un libro a lume di candela e mi sento totalmente in pace. Oddio, speriamo di non diventare un uomo noioso.
La luce è tornata e ho una voglia folle di giocare ai videogames, ma scelgo lo Scarabeo.
Venerdì – Sono stato ancora in palestra e comincio a vedere i muscoli. E’ davvero una cosa eccitante. Devo scrivere un altro pezzo, sempre a mano, ma questa volta resisto un po’ di più, anche se è davvero fastidioso e mi devo fermare a contare le parole ogni volta.– Sento parlare delle code per l’iPhone fuori dai negozi della Apple e rido di queste persone così tristi e materialiste….
Sabato –Mi sveglio con la testa sgombra e una bella sensazione. Questa settimana mi sono caricato, mia moglie mi ama ancora e io mi sento davvero bene. Mi rendo conto che internet mi succhia tutto il tempo libero. Ok, serve quando per esempio sono sul treno, ma forse da lunedì, quando tornerò ai miei gadget, dovrei cominciare a limitare il tempo in cui navigo.
Sono stato in palestra e ho svuotato la lavastoviglie, e pulito la camera da letto Mia moglie inizia a parlare di rinnovare i nostri voti. (sigh!)
Domenica ore 24.00– Finalmente sono online. Ho 38 richieste di “amici” su Facebook che mi porterà a superare quota 500, ma non sono così eccitato come pensavo. Ho 112 mail, la maggior parte delle quali mi suggerisce un modo per allungare il mio organo sessuale. Non ce n’è una davvero importante e sono sconcertato. Decido perciò di riorganizzare i miei gadget: di certo, computer e telefonino mi sono utili, ma tutti gli altri non sono che una distrazione, così stabilisco di limitarne l’uso da lì in avanti a mezz’ora al giorno. Salvo la tv digitale solo perché adoro un programma giapponese e la radio perché posso ascoltare tutti canali della nazione. Ho anche bisogno del mio iPod, visto che c’è dentro tutta la mia musica, e di certo mi servirà il commutatore di voce nel caso in cui venissi rapito… Forse, però, pensandoci bene, potrei sbarazzarmi della penna che traduce. Qualche offerta?.
Lunedì ore 10.30– Mi sono comprato un iPhone. Ragazzi, è stupendo!
BAGLIORI CREPUSCOLARI

Tracce di pensiero
nei miei papiri
rischiano di inciampare ad
ogni virgola, e
scivolare nell’infido
pantano della prosa.
Ho dato asilo a quel
gracile menestrello cui
una luna un po’ sporca
ha rubato la voce in
in questa notte distratta.
Ho sbriciolato sentimenti in
occasionali e frettolosi amplessi.
Ho accudito l’esile fiammella di
buon senso rimastami
resistenti al vento della
demenzialità dilagante.
La coscienza si espande nel
perlage di questo vino per
… “affinità gassose”.
Dal fondo della mia stanza
osservo attonito:
disilluso testimone degli
ultimi bagliori di questa
civiltà al crepuscolo.
Agosto 1987
SEI ABBASTANZA SOCIAL ?

Fantastici i Social network, perché non li hanno inventati prima?? Facebook che ora è per i più “vecchi”, instagram, twitter, whatsApp, Tik Tok. Chi non è potuto entrare nel trash della TV e farsi ospitare in qualche trasmissione del momento per parlare delle nuove extension che si sono applicate, o della ricostruzione delle unghie o ancora meglio mercificare i propri sentimenti in trasmissioni strappalacrime che parla di sentimenti, o di rapporti interrotti, o di ricerca dell’amore, o di tradimenti, o su come ricostruire il rapporto di coppia, talent show o reality show allora si può essere presente nel social. Si, perché sei ora vuoi esistere nella società “Circo “del momento devi esistere e per esistere la gente deve vederti. E allora via con i video della tua vita, mentre mangi, mentre ti trucchi, mentre fai shopping, mentre sorridi a bocca di culo con la tua amica del cuore. Durante la pandemia tutti si sono sbizzarriti: a chi faceva meglio il pane, a chi inscenava sketch sulla nuova pandemia, oppure a chi si dava alla ginnastica fai da te. Così con i social sono nate anche le nuove professioni dei giovani: gli “influencer”. Quindi, una volta rifatta, hai una buona immagine, tante persone ti seguono? Ecco fatto, puoi diventare l’influencer per eccellenza. Vieni pagato per sponsorizzare qualsiasi cosa. L’importante è che stai li tutto il giorno a fare le “stories” e riprenderti per far vedere che crema ti spalmi, oppure il migliore outfit da mettere per la serata dove farai da testimonial. Evvai!, il baraccone dell’inutilità; ma così importante per i ragazzi che ormai sono telefono dipendenti e il telefono è veramente l’appendice della mano. Quindi c’è una massa di gente in cerca di migliorare il suo aspetto, in cerca dell’ultimo oggetto di moda uscito, che guarda un cellulare per non perdersi l’ultima gift del reality o l’ultima stories del suo amico. E non è ammesso pensare. Sei talmente preso da questo vortice che non hai il tempo di pensare che tutto questo è folle!
HATERS

C’è una canzone di Sirya che si intitola “Canzone d’odio”. Ovviamente è una canzone d’amore, una canzonetta come un’altra; ma, a questo proposito: chi naviga sul web e frequenta i social network si sarà imbattuto più di una volta nei cosiddetti “haters”. Nascosti sotto nickname improbabili, questi utenti avvelenano le discussioni con i loro commenti improntati a un odio violento e immotivato. Non si tratta di qualche post particolarmente virulento, ma di un atteggiamento costante di disprezzo e provocazione, che inquina le discussioni on line.
L’odio online può avere forme e obiettivi diversi. Si può parlar male di singole persone, partiti politici o intere classi sociali. Una recente indagine condotta da Vox, Osservatorio italiano sui diritti, ha stilato una mappa sull’intolleranza. Il risultato? Su oltre 6 milioni di tweet analizzati uno su 13 conteneva un linguaggio d’odio.”
Gli HATERS
Sicuramente il 90% di questi individui incazzati è formato sul serio da frustrati, sessisti, razzisti, e, soprattutto, falliti.
Io vorrei spendere una parola sul restante 10%. Si, perché tra tutti quelli che si incazzano sul web e sui social, c’è qualcuno che semplicemente è ancora dotato di PENSIERO CRITICO; si, lo so che è in via d’estinzione ma ci sono ancora sacche di resistenza. Persone non allineate e coperte, non assoggettate al Pensiero Unico, non assoggettate all’ Ideologia Dominante. Persone che non guardano Fazio e, invece di leggere Augias, magari leggono ancora Marcuse, Habermas, Chomsky, per fare qualche nome.
Persone perfettamente in pace con sé stesse ma che ancora si incazzano quando leggono idiozie, idee condivise da tutto il gregge; esseri pensanti, insomma; che pensano in proprio. Tutto qui
IL MURO

Le ho scavate io
con mani sanguinanti,
le ho levigate io
in mille notti insonni
tutte le durissime pietre
con le quali ho costruito
il fragile muro
del mio insensato orgoglio.
FACCIAMO A CAPIRCI

Io posto qualcosa che mi convince; tutti i miei amici hanno la possibilità (anzi, ben vengano) di dissentire, dato che non stiamo in TV né alla Camera quando presiedeva la Boldrini. Ora, io, per qualche stranissimo motivo, mi sento in diritto di contro replicare; a questo punto che succede? il mio amico che mi ha criticato il post……s’ incazza… così, improvvisamente, come fosse stato punto da un’ape.
Sinceramente penso di essere sempre stato pronto al confronto, anche duro (la politica è passione).
Capisco che, da tempo, all’interno di un certo partito, la parola “confronto” suoni blasfema, ma non è un problema mio.
Il punto (se parliamo seriamente) è che i simpatizzanti e gli elettori del suddetto partito sono così abituati ad ingoiare tanta di quella merda che ormai non ne riconoscono più neanche il sapore. E sono altresì abituati a farselo mettere in quel posto, che comincia a piacergli (altrimenti non si spiega).
La mia fortuna è che anche quando votavo PCI, non ero proprio convintissimo, perché, grazie al cielo, ho sempre avuto forti simpatie anarchiche, il che mi fa ancora riconoscere la merda, quando la vedo e accorgermi quando stanno cercando di fregarmi.
Ripeto: è un problema vostro.
Quello che però mi fa incazzare è quando si confondono cause ed effetti e, soprattutto, quando le cose non vengono chiamate con il loro nome.
Faccio un esempio: un colpo di Stato io lo chiamo: colpo di Stato (anche se ben mascherato).
Non lo vedete? Cazzi vostri (ma purtroppo sono anche cazzi miei), però NON ROMPETEMI I COGLIONI se siete diventati ciechi e sordi.
Grazie
VELOCITA’

In America sono anni che esistono Psicologi specializzati nel riparare i “guasti” e le dipendenze date dalla Rete, e noi, ancora qui a chiederci perché siamo così incazzati col papà che non vuole imparare a caricare le foto dal cellulare. Veloci nel cooptare ma lenti nel capire.
Giorni fa stavo chattando con un’amica su un social network, mentre controllavo la posta, rispondevo ad alcuni sms e scrivevo una mail; la tipa se ne accorge e mi fa: io vorrei tutta la tua attenzione! Prego?? “Attenzione” è una parola grossa.
La frenesia di vedere il dopo non mi permette di godermi il presente perché il presente deve essere incastrato e sezionato per non sprecare spazio. Non parliamo di visitare una mostra o un museo, sono cose già viste. Passo da un’opera all’altra nel giro di pochi click…..ehm… secondi.
Percorro strade, piazze, parchi, vicoli illuminati e figure in ombra. Sono sempre in ombra Vedo bambini che giocano e anziani sulle panchine e tutto mi sembra inutile, tutto è “come sempre”. Mi chiedo che vita ha vissuto quel vecchio. Cosa diventerà quel bambino. Mi piacerebbe sedermi vicino a quel vecchio ad ascoltare le storie che ha da raccontare… ma mi squilla il cellulare:” Ehi, ma che fai, dormi? Sei in ritardo, cazzo!” L’incantesimo è rotto.
Sono anni (forse secoli) che continuano a farci credere che il punto sia: quantità vs qualità. Smettiamo di raccontarci palle! E’ un falso problema. La domanda che continuamente mi pongo è: quanto ci metterò per farlo? Ho sempre pensato che una cosa è agitarsi, altro è agire e sono sicuro di far parte del secondo gruppo…Ma sono poi così sicuro? Anche le parole hanno perso di significato; attorno a me sento persone che parlano, parlano, parlano e non dicono niente. La velocità, a cominciare da quella fisica, è inebriante, continue scariche di adrenalina (vedere correre Bolt è uno spettacolo). Pensare velocemente mi dà un vantaggio sugli altri, ma tradurre il pensiero in azione richiede tempo e butta nel cesso la bellezza di quello che faccio. Bolt che corre è poesia perché dietro a 100 metri ci sono migliaia di ore di allenamento e di gesti ripetuti all’infinito.
Mi ricordo quando, a scuola, ci davano da fare “La Ricerca”. Terrore negli occhi ed ore a cercare tutti i libri a casa riguardo l’argomento assegnato e il tormento ai genitori affinché mi aiutassero. Adesso, qualunque sia l’argomento: copia incolla da Wikipedia e …oplà, il gioco è fatto. Fine del pensiero critico, ma, soprattutto, fine della curiosità., prima vittima dei nostri giorni.
Oggi un bambino di 10 anni, dopo la scuola ha: il doposcuola, la piscina, il corso d’Inglese, il corso di teatro il corso di danza…..ma porca miseria! Possibile che non gli vengano concesse due ore per rompersi le palle?? La noia è la seconda vittima e se vi siete persi la prima forse leggete troppi tweet. 160 caratteri sono pochi per descrivere la realtà; a meno di non chiamarsi Ungaretti, ovviamente.
Quest’era ha perso il senso del riposo. Kant:” La mollezza dei costumi, l’ozio, la vanità, danno origine al sapere.”
Molte persone finiscono per vivere la velocità non come una dura legge imposta da circostanze esterne, ma una specie di valore assoluto ed auto evidente.
Anche consumare un pasto è diventata una perdita di tempo, per questo abbiamo inventato i fast food. E adesso ci piace lo slow food; legge del contrappasso o solo un altro modo furbetto per far soldi puntando sui nostri bisogno indotti?
MULTITASKING

La realtà mi piomba addosso con ritmi più rapidi. Il multitasking si è impadronito della mia mente e dei miei movimenti. Non riesco a dare una priorità alle cose: peso male impegni, avvenimenti e (ahimé) sentimenti. Dipenderà dal fatto che io sono io e Windows è Windows?
Consumo tutto ciò che mi passa davanti velocemente e con noncuranza. La memoria mi tradisce? Che importa, il Tablet è in tasca.
Senza il mio I Phone mi sento nudo e un po’ perso. Un’intera giornata senza connessione mi fa sentire “fuori dal mondo”, non so cosa sta accadendo e mi sento tagliato fuori. Assurdo! Mi basta aprire gli occhi per vederlo, il mondo: il mondo reale.
Quante volte sentiamo ripetere:” Dobbiamo farlo per i nostri figli”?; Ecco, bene, cominciamo da loro
I bambini imparano in fretta; ma chi può dire quale danno ricavino dal dover diventare degli adulti a tappe forzate, specialmente al livello della creatività e dell’affettività?
Gli anziani, invece, sono esposti a un vero e proprio tracollo nervoso: è come se il mondo cambiasse più in fretta di quanto essi possano tollerare; come se qualcuno li costringesse a spostarsi su di un tappeto mobile che viaggia troppo velocemente. Chi non sa usufruire della tecnica, anche nelle cose più semplici, si trova tagliato fuori o è costretto a ricorrere continuamente all’aiuto di altre persone, perdendo la fiducia in sé stesso e sentendosi sempre più impotente ed inutile.
Non si dovrebbero sottovalutare gli effetti negativi di un tale stato di cose per tutti, né gli esiti discriminatori nei confronti di alcune categorie di persone: gli anziani e i malati in primo luogo; ma anche tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, stentano a tenere questo ritmo e ad assimilare le nuove pratiche tecnologiche.
Si dirà che questo è il costo del progresso, e che è inevitabile che la società evolva sempre più in fretta; e, inoltre, che quanti non sono in grado di adattarsi alle nuove situazioni, prima o poi scompariranno, come sono scomparsi gli animali e le piante del passato allorché non seppero adattarsi ai mutamenti climatici e geologici. Si dirà che, se così non fosse, non vi sarebbe progresso, e la civiltà si fermerebbe. Vi prego di non equivocare il Progresso con l’avanzamento tecnologico.
Parole diverse per concetti diversi per “cose” diverse.
Il progresso, cari miei, è l’innalzamento della media della qualità della vita di tutti.
Gira e rigira, si ricade sempre lì: nel darwinismo sociale. La vita è una lotta.
Chi sostiene questo tipo di ragionamento afferma, in buona o cattiva fede, un determinismo sociale di matrice biologica, di una vera e propria «naturalizzazione» dei fenomeni sociali. Dimenticando o ignorando, però, che non è affatto un «destino» quello che spinge la società in una determinata direzione piuttosto che in un’altra, bensì il risultato di un insieme di meccanismi economici e di scelte politiche.
La logica del «progresso» è subalterna all’idea dello sviluppo illimitato, ossia alla follia più tipica della modernità: la persuasione che tutto si possa incrementare all’infinito: la produzione, il consumo, il profitto, perfino il sapere; e che il risultato di questa crescita esponenziale debba essere, chissà mai per quale trucco da prestigiatore, un aumento (illimitato anch’esso) del benessere e, chissà, magari anche della felicità.
ATTIMI SEGUENTI

Prima che il piatto
sia freddo e
l’ultima nota consumi
il solco e l’emozione;
prima che il sole
sia pallido e
il bimbo abbandoni
il cortile del sogno.
Prima che il cielo
Sia chiaro e
l’amante rinneghi
le membra e i silenzi;
prima che la traccia
sia persa e
il soffitto gravi
sul labbro e lo spirito,
trattieni il fiato,
sospendi il gesto,
ferma l’istante.
Febbraio 1991
EPISTASSI

La voce calda, raschiata di Kurt Cobain, sparata negli auricolari; parla di qualcosa che riguarda una ragazza….
La TV col volume a zero; Carlo Verdone e Margherita Buy si scambiano opinioni e ansiolitici in un film del secolo scorso.
Fa freddo, ma il medico dice che è un bene per la mia epistassi….epistassi, suona bene, la lingua batte due volte sugli incisivi. Sangue dal naso. Sono mesi che la notte mi alzo col sangue che mi esce dalla narice, corro in bagno per evitare che le lenzuola ricordino un film di Dario Argento. La cosa seccante è che una volta sveglio, non so se mi riaddormenterò o meno. Tamponi di ovatta purpurei, accantonati sul lavandino. La paura di non riaddormentarmi, il sangue se ne frega e continua a scorrere.
Ma riavvolgiamo il nastro. Bernardo e Camilla (la Buy e Verdone, ricordate?), cominciano a frequentarsi regolarmente; i rapporti fondati sull’ ansia sono quelli più solidi, parlo per esperienza.
Ormai le amicizie non si reggono più sul piacere della compagnia, di una piacevole conversazione, sul divertimento; no, ormai i rapporti si mantengono sul fatto di avere problemi in comune, grossi problemi. Condivisione di catastrofi annunciate.
Negli auricolari è subentrato Clapton (Layla); invecchiato. Lui si, ma il brano è inossidabile.
Nel film, Verdone interpreta uno scrittore di musica Rock, con i suoi miti, le chitarre distorte, le urla nel microfono e i cuori straziati. Tutto questo…..tutto questo….risuona in una Gestalt affannata: la mia.
ARTE LOCATIVA

Il mio senso dell’orientamento è qualcosa di indecente, ancora non conosco bene la mia città, dopo anni che ci vivo. Senza il mio tom tom sarei perso, letteralmente.
Non uso spesso Google Earth, ma mi piace individuare alcune zone che conosco e vederle dall’alto, come cambia la prospettiva.
Vado spessissimo su Youtube, come tutti voi, guardo e condivido soprattutto video musicali, qualche volta pezzi di film.
Bene, vi chiederete, cos’ hanno in comune il Tom Tom (GPS), Google Earth e You tube?
Più di quanto pensiate, dato che alcuni artisti (un po’ folli) li hanno combinati insieme dando vita a quella che è stata definita “arte locativa”, qualcosa di veramente nuovo e suggestivo.
Usando le coordinate di latitudine e longitudine di un GPS, individuando un’area specifica , con Google Earth, usando un qualsiasi portatile , con un software, si collegano all’area individuata, il contenuto multimediale è gestito e organizzato all’esterno del dispositivo su un desktop standard, laptop, server o un sistema di cloud computing ,i nostri artisti realizzano delle “figure” dei “disegni” che si possono vedere solo dall’alto, con un computer. Andando sul posto non si riesce a vedere nulla, ma sul PC possiamo vedere chiaramente un disegno, una figura, un paesaggio, nei posti più impensati della terra.
La nostra percezione di spazio e luogo cambia e si rinnova costantemente attraverso l’interazione e le possibilità di comunicazione dei nuovi media. Le locations e gli ambienti possono essere alterati dal pubblico al privato e dal concreto al virtuale, attraverso le tecnologie mobili.
La produzione di contenuti e di pre-produzione sono parte integrante della esperienza complessiva che viene creato e deve essere stato eseguito con esame finale del luogo e la posizione degli utenti all’interno di tale posizione. I media offre una profondità all’ambiente là di ciò che è immediatamente evidente, consentendo rivelazioni sul fondo, la storia e la corrente i feed di attualità
E’ difficile trovare una definizione per il termine locative media in grado di comprendere
l’eterogeneità delle esperienze che si riconoscono sotto questa etichetta.
Comunque William Gibson ne parla in “Guerreros” ,uno dei suoi ultimi romanzi .E tanto mi basta.
EVASO

Braccato da minuti
esigenti,
assediato da ricordi
Danzanti,
schivando doveri
sociali,
frugando paure
tribali,
sopporto figure
banali,
sorbisco sostanze
letali.
Anima inquieta in
libertà vigilata
PRIMAVALLE 1982

Alla Radio sta passando “I Know, there’s something going on”, della fantastica Frida (ex Abba), che, insieme a Man Eater mi catapulta in quello splendido periodo che va da Ottobre 1982 a Luglio 1983.
L’ uomo nero, il Tiranno, mi ha cacciato di casa, per l’ennesima volta.
L’anno precedente ero stato in affitto in una stanza in una bella villetta a Primavalle, per l’ultimo anno di scuola.
Così torno dall ‘ Ammiraglio Pasqua, a via Pasquale II che mi ha riaccolto a braccia aperte ( come possono essere diversi i giudizi di due persone anziane riguardo un ventenne).
“L’ Ammiraglio Pasqua a Via Pasquale” fa tanto ridere zio Alfonso.
Ho giusto i soldi per pagarmi la camera, poi , per tutto il resto mi dovrò ingegnare…e in fretta.
A differenza dell’anno prima, non sono l’unico ospite della villa; oltre a me, ci vivono Laverne , una cantante lirica, nera, di Chicago e Gary, un ragazzo inglese, nel nostro Paese per imparare la lingua e, ovviamente, insegnare Inglese.
La prima sensazione, il primo effetto che mi fa pensare a quel periodo è il senso di totale libertà, di totale autonomia, di assoluta emancipazione dopo anni di tirannia.
Dopo essermi informato, sono entrato in contatto con un tizio della distribuzione del “Paese Sera”,
così comincio la mia esperienza di “strillone”….fantastico! Devo uscire di casa alle 5 del mattino, ma la sensazione di libertà è così totalizzante che non mi pesa affatto.
Esperienza durata poco, perché dopo una quindicina di giorni, Osvaldo, un mio vecchio amico, mi presenta Roberto, un argentino, completamente fuori di testa che fa artigianato.
Lavoro dalla mattina alla sera, senza Sabati né Domeniche, ma sono felice. Roberto è veramente creativo, dalla stampa su seta, con un telaio e pigmenti assolutamente naturali, a marionette di legno, a cartoline di legno. Ho parecchio da imparare.
Davvero forte: durante il giorno parlo in Spagnolo, la sera, a casa, in Inglese.
Gary ha trovato un modo, semplice e geniale, per insegnarmi l’ Inglese e imparare l’ Italiano: Topolino.
Leggiamo un fumetto di Topolino, a turno, ognuno nella propria lingua e traduciamo. Fico!
PROGRESSO…. FORSE

Ancora non si è capito che questo modello di sviluppo non è sostenibile.
Su quali basi si può ragionevolmente sostenere che un individuo sarà più felice se, invece della bicicletta, riuscirà ad acquistare un’automobile utilitaria?, se, invece di un’automobile utilitaria, riuscirà ad averne una di lusso; se, dopo averne messa una nel garage, se ne procurerà una seconda, una terza, e così via?
E su quali basi si può ragionevolmente sostenere che la nostra vita sarà migliore se riusciremo a viaggiare più in fretta («code» stradali permettendo), se potremo vedere la partita di calcio in diretta, se la lavastoviglie, l’aspirapolvere o la falciatrice elettrica dimezzeranno il tempo (e la fatica) che dobbiamo dedicare al lavoro manuale; anche se, per procurarci tutte queste cose, e molte altre che sembrano divenute indispensabili, dovremo profondere più tempo e più fatica di quanta non ne faremmo senza di esse?
Ci stiamo disumanizzando a partire dalle piccole cose di ogni giorno, e non ce ne rendiamo conto. In Giappone hanno appena messo a punto un robot che può dirigere un’orchestra sinfonica: e, ogni volta che dal mondo della tecnica ci giunge una notizia del genere, ci sembra di aver guadagnato qualche cosa, di aver realizzato un progresso. Ma è proprio così?
Del resto, non è solo dal mondo della scienza e della tecnica che avanza la disumanizzazione della vita d’ogni giorno, anche se è un ben triste spettacolo vedere un bambino, che magari ha anche la fortuna di vivere in un luogo ecologicamente ancora integro, spendere le sue ore libere, un giorno dopo l’altro, davanti allo schermo del computer o di qualche videogioco. Bisognerebbe ricordare, infatti, che scienza e tecnica esprimono l’orientamento spirituale di una data società e sono, in buona parte, l’effetto e non la causa di un progressivo allontanamento di essa dalla misura veramente umana del vivere.
Qualche cosa si è rotto a un livello ben più profondo di quello della tecnologia; e, se non riusciremo a rendercene conto, continueremo lungo la strada della crescita illimitata e del progresso materiale fine a se stesso, assistendo a un asservimento dell’uomo sempre più pronunciato: non tanto nei confronti delle macchine, quanto nei confronti della falsa idea che egli si è fatta di se stesso. E la falsa idea che l’uomo moderno si è fatta di se stesso consiste in questo: aver negato la propria dimensione di creatura finita, di creatura fallibile, di creatura ferita e bisognosa di rispetto, compassione e perdono.
C’è una ferita originaria, nella nostra condizione di esseri umani, che invano cerchiamo di esorcizzare con gli strumenti della potenza materiale, che sono – appunto – quelli della tecnoscienza; e, al centro di questa ferita, c’è la consapevolezza della nostra mortalità. Sappiamo di dover morire, di doverci separare dalle persone e dalle cose di questo mondo.
NON TI CHIAMERO’

Non ti chiamerò
ma solo per il timore
che tu mi risponda:
si, mi ricordo
perché allora perderei
la certezza
di non averti mai vista
DEDICATO

Un bambino timido, introverso, silenzioso, silenzioso fin quasi al mutismo. Un bambino che si illude che tutto ciò che di brutto ha subito sino a quel momento è abbastanza; ma non è così, a 12 anni la mazzata finale. “Finale” fino a un certo punto. Si rende conto che deve crescere, crescere in fretta, per difendersi.
E cresce, cresce nelle mani di un tiranno; l’uomo nero esiste, è reale e concreto e lui ci farà i conti per tanti, troppi anni. Il bambino lo teme, ma nello stesso tempo gli si ribella, testardamente, subendone le conseguenze. Nessuno a difenderlo. Urla, botte, per ogni disobbedienza.
Una ribellione continua contro il tiranno. Forse anche il tiranno ha paura, ma non è un mio problema, il mio problema è sopravvivere.
Poi, l’adolescenza, la famosa “età sottile”, problema per i ragazzi e per i genitori. In questo caso, il problema è solo mio, in balia dell’uomo nero: un incubo.
Finalmente la maggiore età, che non ha migliorato le cose, semplicemente, per questioni legali il tiranno può liberarsi di lui e così ad un uomo nero ne subentra un altro; assente fino a quel momento; un altro stronzo, solo che usa armi più sofisticate per ferire il mio giovane animo. Il secondo tiranno si dimostra più stronzo del primo.
Poi, finalmente, l’uscita di scena dell’uomo nero e, grazie al Cielo, una casa a disposizione, una casa mia e le cose cominciano a migliorare.
Un luogo dove vige la libertà assoluta, un luogo che comincia ad animarsi di persone, praticamente un porto di mare; gente che va a che viene a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Si, perché, anche se timido e introverso sono pieno di amici, veri amici, alcuni, conoscenti di passaggio, altri.
Ma il buco nero che mi porto dentro, rimane. Sempre un po’ depresso. Non sempre gli amici bastano, non sempre le ragazze bastano.
Per non parlare dell’insonnia; anzi, non insonnia, gli insonni dormono poco o niente, mentre io mi addormentavo tardi, molto tardi; di conseguenza mi svegliavo tardi.
Quando ti svegli alle 9 del mattino e alle 9:30 sei in giro per strada , hai la netta sensazione di esserti perso qualcosa, che “i giochi siano già stati fatti”. Non è simpatico, per niente.
Ti senti in ritardo su tutto. Anche se non hai niente da fare, non cambia nulla. “Mi hanno fregato anche stavolta” è quello che pensi. Facciamo un esempio: esci alle 7 e compri il giornale con le inserzioni di lavoro. E’ difficile, ma potrebbe esserci qualcosa di buono; chiami ed essendo uno dei primi a chiamare, ti fissano un colloquio. Poi le cose andranno come devono andare; ma qualcosa hai concluso.
Io ho un gran dono: so farmi voler bene, e questo mi ha salvato il culo molte volte. Me ne sono accorto molto tardi, prima era troppo preso dai miei drammi esistenziali.
Certo, molte “pose”: un pizzico di malinconia, un velo di autocommiserazione, la giusta dose di nichilismo. Praticamente “Il giovane Werther”. Voilà! Ci ho campato per anni. Le donne, le donne ci vanno matte, anche quelle che lo negano; le persone “solari”, dopo un po’ , annoiano.
In tutto ciò, naturalmente, sempre presente, la musica. La passione con la P maiuscola, quella che ti rapisce, ti soggioga, ti sfinisce. Fondamentale, sempre, nella mia vita.
A 7 anni, mia madre mi insegna “Per Elisa”. Il primo complessino a 14 anni, poi, le tastiere sempre più evolute. La musica ascoltata, la musica suonata, non benissimo, ma comunque la mie manine, sul pianoforte, ci scorrevano parecchio.
Com’ero ieri.
Appena uscito di scuola, chiusi i libri di Elettronica, spalancati quelli di Letteratura: Joyce, Hesse, Orwell, Kafka, Mann, Garzia Marquez e l’ iscrizione a Filosofia.
SCRITTORI E POETI

Deep Purple “ Son of Alerik”.
Spesso, riguardo grandi scrittori, quasi sempre del passato, leggiamo , o sentiamo, frasi del tipo :” Chiuso, da solo, nella sua cameretta….ha concepito…”etc.
Mi guardo intorno: cominciamo col dire che questa è una camera da letto, essendo sposato (spero che la cosa non mi danneggi per la graduatoria).
Inoltre, in questo momento sono solo (Deep Purple a parte), ma in sala c’è Barbara ,che guarda la TV.
Pessima partenza: è una camera abbastanza grande e non sono solo. Ahimé.
L’eterno dilemma: un grande scrittore deve necessariamente “soffrire” per partorire grandi opere?
In realtà, se leggiamo le varie biografie, vediamo che ognuno ha fatto la propria vita come ha creduto e ci sono situazioni tra le più disparate: l’alcolizzato, il drogato, il clochard, l’insano di mente, il piccolo borghese, con una vita piatta e il benestante senza problemi. Quindi? Quindi ogni punto di partenza è valido.
Cos’è che fa la differenza? Essere ossessionato dallo scrivere, non poter vivere senza mettere delle parole su carta, ogni giorno della propria vita. Questo.
Ora David Sylvian.
Ecco, una cosa alla quale non posso proprio rinunciare è della buona musica in sottofondo.
Essenziale.
“Tieni duro, il cielo si sta rompendo, con tutti i miei sogni più oscuri”
Questo è scrivere; sembra una frase come un’ altra: non fatevi ingannare, in questo verso c’è tutto.
Se lo capite, bene.
INCONTRI

Nel vicolo del vecchio quartiere s’insinua un vento sottile, freddo. Una giornata limpida è scivolata in questa sera cristallina. Dicembre esordisce a tinte forti.
L’ingresso della birreria è ostruito da un gruppetto di persone ferme a chiacchierare. Tommaso mi precede di qualche passo:
– Che cavolo! Neanche le dieci e già c’è ‘sto casino!-
– Considera che è Venerdì –
Un’onda calda, densa di fumo e risate, mi investe gradevolmente.
– Guarda, quelli si stanno alzando. –
Guadagniamo il tavolo che si è appena liberato e ci sediamo soddisfatti.
– Vado io; che vuoi? –
– La solita –
Tommy si alza e si incammina verso il bancone della mescita.
Adoro questo locale: tavoli di legno, sedie di legno, niente luci al neon né televisori.
Sedute alla mia destra, due ragazze, di circa sedici diciassette anni, bionda l’una, mora l’altra, stanno chiacchierando fittamente.
Criss è di ritorno con le birre.
– Scusate posso prenderne una? – la “moretta” allunga il braccio verso il mio pacchetto di Camel.
– Certo. –
Liquidate le amenità di circostanza – Come vi chiamate? Venite qui spesso? – ci inoltriamo in una piacevole conversazione.
Le “due” si destreggiano tra Jazz e Bioenergetica con estrema disinvoltura. Io, che non nutro molta fiducia nelle nuove generazioni, sono sorpreso; Cristiano è entusiasta. Troppo: conosco quel luccichio nello sguardo; mi accosto al suo orecchio, abbassando la voce:
– Tommy, non avranno diciott’anni! –
– Dici? Però sono simpatiche. –
– Saranno simpatiche ma esiste un articolo del Codice “Adescamento di minore”, se proprio devo finire in galera che sia per motivi politici o al massimo per ubriachezza molesta. –
– Ma falla finita. –
Nel frattempo la biondina sta richiamando l’attenzione di due “energumeni” appena entrati che la riconoscono e ci raggiungono.
Uno ha barba e capelli lunghi, abbigliamento anni ‘70 magro e molto alto; l’altro ha capelli cortissimi, giubbotto e “anfibi” neri, meno alto ma decisamente robusto.
Le ragazze fanno le presentazioni:
– Alfonso… Ugo. –
Non sono antipatici e la conversazione riprende, più animata di prima.
Ad un tratto mi sento urtare un piede.
Mi accendo una sigaretta e, di nuovo, qualcuno mi urta sotto il tavolo; mi sistemo meglio sulla sedia.
Osservando il gruppo, mi accorgo che Alfonso, lo Skin-head, è poco partecipe alla conversazione.
Mi sento di nuovo toccare il piede e stavolta non ho dubbi che la cosa sia intenzionale. Percepisco lo sguardo di Alfonso che ha uno strano sorrisetto sulle labbra. E’ troppo!
– Tommy, ti sei scordato l’appuntamento? –
– Cosa? Quale appun… –
– Paola, ci aspetta alle undici e mezza… – con una occhiata eloquente.
– Ah… si è vero… beh, scusateci. – e ci alziamo frettolosamente.
– Ma come, andate via? –
– Si, sapete, questa nostra amica… ce ne stavamo proprio dimenticando. –
– Ciao. –
Appena fuori dalla birreria, Tommaso mi chiede spiegazioni.
– Cazzo, erano cinque minuti che mi faceva “piedino” sotto il tavolo! –
– Ma chi, la bionda o la mora? –
– Lascia perdere… –
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VIAGGIAMO TUTTI SOTTO FALSO NOME

Questo piccolo, delizioso libro è scritto sulla strada, dove la letteratura nasce prima della rifinitura a cesello. On the road nello spirito e sulla carta, da Est a Ovest di una Route 66 immaginaria ma neanche tanto.
Un itinerario ritmico e lineare ma anche contromano, con cocktail improbabili, hippies, fotografie dei tramonti e tutti i personaggi che incontriamo nel cammino. Quelli veri, che non viaggiano in limosine ma a piedi, contando i passi del tempo che chiamiamo vita
INSETTI

La classe di Yoga è stata decisamente rilassante.
Mi vesto frettolosamente; Franca è già sulla porta della palestra pronta ad andare via. Incespicando mi allaccio le scarpe; mi sento un po’ in colpa: lei è così carina a darmi un passaggio ed io la sto facendo aspettare.
Saliamo in macchina; rabbrividendo mi strofino le mani.
– Tu hai freddo… –
– Veramente, FA freddo… – replico debolmente.
Ma come fa, questa donna, ad avere sempre tante attenzioni?!
Parte all’improvviso, senza far scaldare il motore, la guida un po’ nervosa.
– Ti accompagno fino a casa, su… –
Il tono è suadente, irresistibile.
– Noo… dai… – rispondo, senza convinzione.
– Figurati, sono solo cinque minuti in più –
E’ tardi, fa freddo e sono affamato, penso a quanto dovrei aspettare quel fottuto autobus che non passa mai… è decisamente troppo!
– Va bene, però mi secca che tu debba tornare da sola, così tardi. –
– Ho fatto di peggio, non preoccuparti. –
– Guarda che se c’è una cosa alla quale mi abituo subito sono le comodità. – le dico, ammiccante.
– Io sono un tipo a cui piace coccolare… –
– … andiamo bene… –
Strappa le marce, taglia le curve, veloce:
– Sai che una volta ho visto due cinghiali? –
– Cinghiali?! Dove? –
– Una stradina vicino la Flaminia, era tardi, loro erano in mezzo alla strada, ho dovuto rallentare.-
– Ah! E ti hanno molestata, che so.. apprezzamenti pesanti… –
– Eh? No, poi sono scappati. Io ho un rapporto tutto particolare con gli animali. Le farfalle! Non immagini cosa mi capita con le farfalle! –
Un brivido mi percorre la spina dorsale: odio le farfalle.
– Che ti succede con le farfalle? – le chiedo terrorizzato.
– Le attiro in un modo incredibile. Mi si poggiano addosso… –
Terribile! Neanche Dario Argento è arrivato a tanto.
– Sai, la prima volta che mi è successo avevo dei pantaloni a fiori, così ho pensato… –
– … certo, che quelle li avessero scambiati per fiori veri… –
– Già… –
– E avevi le gambe tutte coperte di farfalle? – le chiedo, raccapricciando.
– Cosa? –
– Beh, immagino: un fiore, una farfalla, un fiore, una farfalla…terribile! –
– Ma no! Una alla volta. – e sorride: – Esagerato!-
– No, sai… Beh, io, da piccolo, le acchiappavo ,le farfalle; mi ricordo che un amico mi insegnò una tecnica… – mi blocco; non vorrei perdere un ‘amica per degli stupidi insetti.
– … però le lasciavo libere subito dopo! – mi affretto a chiarire
– E le lucertole? – Mi chiede.
Cristo! questa donna mi legge nel pensiero: mi era giusto venuto in mente quando, da ragazzino…
– Le cacciavo. Le uccidevo, sì lo confesso! Però non soffrivano, te lo giuro! –
La guardo, sta sorridendo. Fiuuu… è andata!
Siamo sotto casa.
– Ah, senti, tra due settimane parto per la montagna quindi non potrò accompagnarti: volevo avvisarti. – Mi sento un verme: ma come fa ad essere così gentile?
GODOT SEMPRE IN RITARDO

… e come una teen ager ,
in vena nostalgica,
ascolto canzonette romantiche;
come una vecchia bagascia,
ammantata di cipria e fard,
fronteggio i danni del tempo;
come un sovrano in esilio,
senza più fili per le sue marionette,
maschero di saggezza frustrazioni latenti.
Troppo tardi per bruciare feticci,
troppo presto per la pensione
cerco tra i rifiuti,
gli avanzi di
un passato passato.
COLORI PROIBITI

Volti rock-romantici in
un viale di Soho,
occhi di settembre
limpidi negli “Uffizi”,
film bianco e nero nei
sogni autunnali di “Les Halles”,
sorrisi sicopati tra
gli avanzi di “Harlem”,
blues natalizi
ammantati d’avorio.
Cittadino del mondo con
mandato d’estradizione.
Gennaio 1991
INTERMEZZO

Diluendo gin in succo d’albicocca,
assumendo nicotina formato king size,
sorbendo fumetti nipponici entro 21 pollici.
Il tasso polveroso di questa stanza
è ormai a livelli di guardia.
…E continuano a imperversare
i bollettini sulla viabilità.
FALSI RICORDI

Falsi ricordi, creati artificialmente manipolando cellule cerebrali. Non è fantascienza: il cervello è infatti capace di generare una speciale memoria ‘ibrida’, fatta di ricordi in cui realtà e fantasia si fondono insieme. Questa singolare memoria è stata osservata in azione nei topi dai ricercatori coordinati dall’università della California a San Diego, ed è descritta in uno studio su Science.
Per scoprire come il cervello plasma il suo mondo immaginario, i ricercatori hanno provato a generare in modo artificiale un ricordo di un’esperienza non reale, bensì immaginaria. Per farlo hanno usato topi che erano stati geneticamente modificati in modo che i neuroni attivati da stimoli esterni (attraverso l’accensione di un gene chiamato C-fos) potessero essere ‘marcati’ e resi riconoscibili dalla produzione di una particolare proteina che funziona da recettore di membrana.
Nella prima parte dell’esperimento, i ricercatori hanno colpito i topi con deboli scosse elettriche ogni volta che entravano in una particolare gabbia, in modo che imparassero ad avere paura di quel luogo fisico. Questo stimolo determinava l’accensione del gene C-fos e quindi l’attivazione della proteina recettore in alcuni neuroni, generando un ricordo.
In un secondo momento, ai topi è stato somministrato un farmaco chiamato clozapina-N-ossido (CNO) che è in grado di attivare quel particolare recettore di membrana, accendendo gli stessi neuroni e scatenando così lo stesso spiacevole ricordo prodotto dalla scossa elettrica. Generando questo ricordo artificiale, i ricercatori hanno scoperto di poter di nuovo indurre nel topo la paura della scossa elettrica anche quando questo stimolo esterno non c’era perché l’animale era posto in una gabbia diversa.
Lo studio dimostra quindi che il cervello può sovrapporre un vecchio ricordo a una situazione reale, creando il ricordo di un’esperienza solo immaginaria. In questo processo i pensieri avrebbero un ruolo rilevante, e non sarebbero un semplice rumore di fondo che interferisce con gli stimoli che arrivano dalla realtà circostante
MONDO DI SUONI

nel mio mondo di suoni
maestri non ne entrano.
mercanti e parassiti
bussano alla porta.
Ed io grido di gioia
FOTOGRAFIE

Arrivo a Campo de’ Fiori trafelato, quasi correndo.
Giordano Bruno è sempre lì, lo sguardo corrucciato sotto il cappuccio.
Sono in ritardo di un buon quarto d’ora; Tommaso mi saluta sorridente, non sembra alterato. D’altronde non lo è mai: la sua pazienza è qualcosa di indecente. Sempre disponibile, sempre accomodante. Sono convinto che potrebbe uccidere qualcuno con la massima naturalezza, il giorno che gli girino le palle. E non vorrei trovarmi là.
Cerco di spiegargli, frettolosamente, il motivo del ritardo; mi dice che non ha capito… beh, nemmeno io, del resto.
Ci muoviamo verso il “Caffè delle Lettere”; solo ora mi accorgo della “Minolta” che tiene in mano:
– E quella? –
– Volevo fare delle foto… –
– Grandioso, con questa luce fantastica… –
– Volevo fare una foto ad una cosa che ho in macchina. –
– Tra poco sarà buio, quando la prendi? –
– No, la foto la voglio fare DENTRO la macchina. –
– Oh, capisco… –
In realtà capisco che è meglio lasciar perdere; mi darebbe, al solito, spiegazioni incomprensibili.
Perché diavolo con questa giornata così limpida e questa luce “ideale”, lui debba fare delle foto all’INTERNO della macchina?!
Motivi imperscrutabili.
– Così hai finalmente trovato lavoro, eh? –
– Mah. Un amico di mio padre… fa il commercialista… –
– Oh! Li conosco bene i commercialisti. –
– Già. Comunque è una buona opportunità. Ho un appuntamento lunedì.-
– Ottimo! –
– Dio, sono così TESO…. –
Nel frattempo siamo arrivati al “Caffè delle Lettere”: CHIUSO. Per l’ennesima volta un viaggio a vuoto.
– Ti propongo un ’alternativa. –
Il bello di quest’uomo è che ha, sempre e comunque, un ’alternativa pronta.
– A Viale Eritrea c’è una presentazione di libri in edizione economica. –
– Fantastico, andiamo!-
Niente di meglio che un buon libro ad un buon prezzo.
Viale Eritrea è gonfia di automobili, autobus, motorini cavalcati da ragazzine ammiccanti al di sotto dei diciott’anni.
- Perché mi capitano solo donne al di sopra dei trenta? – si lamenta lui.
- Perché mi capitano solo ragazzine al di sotto dei trenta?- mi lagno io.
Convinti che i nostri problemi con le donne siano esclusivamente di ordine anagrafico, parcheggiamo in terza fila ed entriamo nella libreria.
Appena dentro ci accorgiamo subito dell’ aria che tira.
– Tommy, ma è una sòla! –
– Infatti. –
– Queste edizioni si trovano in una qualsiasi edicola con un minimo di dignità. –
Ci infiliamo di nuovo nella “Uno” rossa, di nuovo nel marasma di Viale Eritrea.
NATALE

Avevo sei anni quando mia madre mi prese da parte e mi disse seria: “Tesoro, hai presente Babbo natale?” “Si, certo”, risposi prontamente. “Beh”, continua lei, “Non esiste. La sera del 24, appena ti addormenti , sono io che vado a metterti i regali sotto l’albero”. Nessuno choc, ma da allora ho sviluppato un fiuto particolare per chi racconta balle. Grazie, mamma!
Da anni molti di noi ,in questo periodo, non fanno che ripetersi: “ Non “sento” più il Natale. L’atmosfera di festa, le persone più gentili, un sentimento “caldo”, particolare…niente, più nulla.
Siamo noi che invecchiamo o i tempi che cambiano? Entrambi, decisamente.
Davvero la parola Natale fa rima con serenità, allegria, pace, voglia di stare insieme alla famiglia? Decisamente no. Per molti il periodo natalizio equivale all’aumento dello stress, all’ansia da prestazione, allo sforzo immenso di presentarsi felici e bendisposti verso gli altri. Mentre, in realtà, si preferirebbe saltare a pié pari tutti i giorni che vanno da metà dicembre al 6 gennaio. E ripartire da zero. «L’effetto collaterale del Natale, per molte persone adulte, è un gran senso di frustrazione che, se non ben gestito, può esprimersi in vari disturbi psicologici e anche fisici», spiega la dottoressa , docente alla scuola di specializzazione in psicoterapia Il Ruolo Terapeutico, con sedi in tutto il territorio nazionale.
Non per tutti, ma per molti, ecco puntuale ogni anno la comparsa dei sintomi tipici del Christmas Blues o depressione natalizia: «Un malessere psicofisico composto da ansia, depressione, disturbi del sonno, della digestione, con comparsa anche di alcuni disturbi somatici, dal mal di testa al mal di pancia all’aumento della pressione sanguigna», prosegue l’esperta. Si tratta di un senso di tristezza generalizzato, misto a malinconia ma ben diverso dalla depressione descritta dal DSM5 (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) come “Disturbo depressivo maggiore, ricorrente, con andamento stagionale”.
Il Disturbo Affettivo Stagionale (in sigla DAS) riguarda episodi depressivi importanti, che hanno un esordio stagionale (si presentano più frequentemente in autunno, in estate e in inverno), non è particolarmente associato ad altri fattori stressanti (come la perdita di lavoro, un trasloco, una separazione) ed è meno frequente in un determinato periodo dell’anno: in primavera, di solito, questo tipo di malessere depressivo si allevia fino a scomparire. Un tour de force che fa scattare l’ansia
Aperitivi e cene di Natale con i colleghi, gli amici, i genitori della scuola dei figli. E poi la preparazione del pranzo di Natale, la scelta dei doni con la paura di deludere chi li riceve o essere criticati, e – diciamolo – la preoccupazione di dover affrontare spese extra importanti difficili da sostenere… «Il Christmas blues o depressione natalizia è un tour de force psicologico oltre che fisico, in grado di smuovere emozioni impegnative da gestire. Ci si può sentire sopraffatti e obbligati a partecipare a un circolo vizioso di impegni e convenzioni sociali che provocano ansia, insonnia, crisi di pianto, desiderio di sottrarsi»
Il fatto che in un clima festoso ci si senta tristi o malinconici non significa che siamo “sbagliati” o che ci dobbiamo sforzare per uniformarci al contesto. Al contrario, ascoltare la nostra tristezza e cogliere il significato del nostro Christmas blues può essere per noi prezioso. Forzarsi di apparire gioiosi per sentirsi “adeguati” comporta infatti un aumento del livello di stress; confidare a persone fidate il proprio stato d’animo, parlare della propria depressione natalizia invece, ci permetterà di sperimentare la condivisione, di lenire il senso di solitudine e di sviluppare resilienza.
Rimanere agganciati al “qui ed ora”: intorno a noi ci sono cose, emozioni, persone, situazioni, delle quali non riusciamo a godere appieno, se naufraghiamo nei pensieri del passato (e di ciò che abbiamo perduto) o nelle ansie per il futuro (e di quel che potrebbe succedere);
“ Te piace o’ Presepe?”
NUOVO E’ MEGLIO

Radio accesa, è la terza pubblicità di seguito in cui lo speaker inizia dicendo :” Il nuovo…..” e poi il nome del prodotto. Deve essere sempre tutto nuovo; nuovo è meglio. Lo si dà per scontato.
Ma è proprio così?
Esiste una cosa chiamata “obsolescenza programmata”; iniziata, credo, non vorrei sbagliare, negli anni ’50. Le ditte, soprattutto quelle grandi producono oggetti in modo tale che dopo un certo lasso di tempo, abbastanza breve, si rompono; così, ovviamente, va ricomprato. Oggi un oggetto che si rompe, raramente si ripara: si butta.
Facciamo l’esempio più comune: il frigorifero. Chi ha l’età mia, o di più, si ricorderà certamente che il frigorifero che aveva in casa da piccolo, durava almeno 20 anni, minimo. Oggi ,se ne dura dieci , siamo fortunati.
Ovviamente il “nuovo è meglio” non vale solo per i prodotti di consumo. Io lo estenderei alla cultura, all’arte. Nuovo è più bello. Per quanto riguarda quest’ ultima, voi direte: è questione di gusti. No. Facciamo l’esempio che mi è più consono: la musica. Innanzitutto l’ orecchio può essere “educato” all’ascolto e può , con il tempo , arrivare a “capire” a distinguere , ciò che è bello da ciò che lo è molto meno. Rispetto ad un brano, l’utente medio dà il suo giudizio, un musicista dà il suo; se permettete mi fido più di quest ‘ ultimo. Non solo; mi si obietterà : “ ma come fai a stabilire ciò che è bello da ciò che non lo è? Non esiste unità di misura, in questo caso” . Invece si, ed è , di nuovo, il tempo. “The dark side of the moon” è nelle classifiche mondiali da 50 anni. Vi ricordate quella canzoncina “tormentone” di qualche anno fa “ Dammi tre parole”? Bene, della tizia che la cantava non se ne sa più nulla, scomparsa già l’anno dopo. Ciò che dura nel tempo, vale. Come dice il grande Ivano Fossati; “ Sarà la musica che gira intorno, quella che non ha futuro”.
I gusti li lasciamo per il gelato, magari
Per anni ci hanno sfranto le palle con la qualità del CD, perché il digitale rende molto più del vinile.
Bene, ultimamente assistiamo ad una rivalutazione del vinile, in termini di qualità del suono, come non si era mai visto prima. Si è spalancato un mercato dell’ usato, enorme, tutti alla caccia dei vecchi dischi in vinile. Ovviamente la cosa non si ferma ai dischi ma riguarda anche amplificatori, piatti, casse.
FORSE

Forse un giorno il cielo
si ricorderà di me
e di tutti i miei giorni bui
che muoiono d’ ombra
nel grande magazzino del tempo
forse un giorno il cielo
cadrà su di me
e cancellerà tutto d’azzurro
ORDINE COSTITUITO

Il poliziotto in borghese mi fa segno di fermarmi, agitando insensatamente la paletta.
Cazzo! Ho percorso più di trecento chilometri, di cui dieci a passo d’ uomo grazie ad un imbecille di camionista che ha rovesciato il suo TIR carico di farina,
sono ore che sto in macchina, sono stanco e affamato; pioviggina ed è buio da tempo. Ho appena passato il casello: solo venti chilometri mi separano da Casalnuovo e la DIGOS deve rompermi le palle proprio adesso; mannaggia a quando ho preso questa Uno bianca!
Il poliziotto si guarda bene dal venire subito vicino al finestrino; gira attorno alla macchina, si ferma dietro, consultandosi con il collega. Se pensa di innervosirmi
con questi stupidi giochetti, beh… ci sta riuscendo.
Alfine si decide a venire dalla mia parte. Gli dico “Buonasera”, lui mi risponde:
– Documenti. – Così, NATURALMENTE, come ci si può chiedere “come stai”;
quel “documenti” gli esce fuori che è un piacere, da attore consumato.
Che vuol dire “documenti”?, quali documenti, i miei, quelli della macchina, la licenza di pesca?
L’ ultima volta che mi hanno fermato erano due Carabinieri, in divisa; mi hanno salutato e mi hanno chiesto: – Patente e libretto, per favore. -.
E poi le barzellette le inventano su di loro!
Sono tentato di dargli il tesserino della mensa universitaria, poi penso che questa gente non ha il senso dell’ umorismo e gli allungo la patente ed il libretto.
Il poliziotto si allontana ed un istante dopo arriva il collega che mi chiede di scendere.
– Allora, Felici, dove abita? – con un buon accento napoletano.
Pronuncia quel “Felici” con soddisfazione voluttuaria, per farmi capire di quale preziosa INFORMAZIONE sia venuto a conoscenza così rapidamente.
– Mi sono trasferito da poco; ad Assisi. –
– Si ma dove ABITA? –
Cristo santo!!
– Sono di Roma, ma da un paio di mesi mi sono trasferito ad Assisi. –
Nel frattempo l’ altro poliziotto sta dando uno sguardo ai miei bagagli, gettati nel sedile posteriore, un po’ alla rinfusa.
– Professione? –
Diavolo d’un uomo! Se gli dico che sono disoccupato andremmo avanti con questa brillante conversazione tutta la notte.
– Studente. –
– Studente? – con un’ espressione stavolta indecifrabile.
Si avvicina il collega e mi chiede di aprire il portabagagli.
E’ finita! Ancora devo levare dei libri e l’ argenteria che sono lì dal trasloco.
Mentre apro il portellone penso a cosa succederà una volta che i due poliziotti
vedranno quei sacchetti neri della spazzatura buttati lì.
Trattengo il fiato, aspettandomi reazioni scomposte e battute demenziali; invece
nulla: i due tutori dell’ “ordine costituito” (chi l’avrà costituito, poi, quest’ ordine? ) si limitano a dare un’ occhiata e dirmi di aprire i sacchetti, cosa che non faccio assolutamente spiegando loro che si tratta di roba vecchia che non so dove mettere nella casa nuova.
Il primo poliziotto mi restituisce la patente, (naturalmente, fuori dalla custodia), e
mi saluta.
Salgo in macchina mentre la pioggia si infittisce, parto e, con le ultime gocce di energia rimastemi, mi concentro sulle indicazioni in “blu” per Casalnuovo, cercando di non pensare al fatto che, alla nostra sicurezza, sono preposti simili SOGGETTI.
DISPERATAMENTE

Disperatamente,
questo dissennato avverbio
che si nutre di un sostantivo
astratto
chiamato speranza
FLUSSO

No ma ti ricordi era che anno era 1972 73 comunque la mattina di Natale quando Natale era ancora Natale quando il bambino era bambino e tu già sapevi cosa avresti trovato sotto l’albero perché mamma mesi prima ti aveva portato dal grossista di giocattoli a Milano Marittima e ti aveva fatto scegliere lei era una rovina sorprese ma che ti frega avevi scelto esattamente ciò che volevi giochi da tavolo appena usciti santiddio ma questo proprio a due all’ora deve andare e sempre sempre davanti a me e non ha il cappello ma è il solito vecchietto senza fretta e si come se tu ne avessi sono nervi solo nervi altro che fretta e meno male che la vita di paese ti piace perché tranquilla e allora sta tranquillo cazzo ed è tornato anche il freddo ora ad Aprile il mese crudele l’ inverno del nostro scontento ho fame chissà cosa c’è per pranzo e la dieta non dieta vabbé un figurone era questo che ti interessava avresti fatto una gran figura con i tuoi amici giochi che nessun altro aveva e la mattina di Natale nessuna sorpresa ma la gioia di scartare i regali era la stessa certo ancora non potevi immaginare che sarebbe stato l’ultimo Natale con mamma e nessun analista mai riparerà questo guasto e anche adesso Barbara ti chiede cosa vuoi per il tuo compleanno e preferisci non correre rischi e trovi sempre qualcosa che ti piace non è cambiato nulla non ti piacciono proprio le sorprese le odi le sorprese e odio questo tizio che non mette la freccia qui nessuno le mette mai indicatori di direzione è il termine giusto ma a questi che gli frega girano in macchina con tutto il tempo del mondo la strada è la loro ora gli suono la vita di un piccolo centro ok va bene ma certe volte ti saltano i nervi perché non li hai lasciati a Roma insieme al traffico della Casilina un delirio proprio un delirio senza vecchietti ma scatolette incolonnate a passo d’uomo alle otto del mattino i clacson lo smog no no mi tengo i vecchietti ma che scherzi non c’è confronto ma che sto facendo non mi chiamo Joyce o Queneau e neanche Molly ancora il vecchietto non può essere quello di prima infatti è un altro ma la lemma è la stessa nessuna sorpresa ancora 5 minuti e sono a casa stasera la quinta stagione di Rocco ho sognato Giallini la gente sogna di volare e io sogno Giallini vabbé Domenica è Pasqua nessun regalo a Pasqua il caldo ecco fa che arrivi il caldo e non fare facce da fotografo
adele chasing pavements
CERCANDO

Cercando.
Siamo gattini ciechi,
aggrappati ad un suono,
forti per la fame,
rompiamo antichi sentieri
Il Mio Angelo

..e il mio angelo conterrà
la mia rabbia,
lui mi cullerà, mentre brividi
mi attraverseranno le ossa;
soffierà sul mio spirito mentre
paure sconosciute si
affacceranno ad ogni angolo.
Bacerà le mie lacrime
mentre altre ferite si apriranno
E luce sarà!
MONEY – PINK FLOYD
Adorata TV

“Bandiera bianca” , di Battiato, mi sembra davvero adatta.
Vedete bene da voi , quanto, in questi anni, siano inflazionati i programmi di cucina: a mezzogiorno con Antonellina, la cara marchigiana “fatto in casa per voi”, Masterchef, quattro ristoranti, ristoranti italiani all’estero, il caro Simone Rugiati, Zia Benedetta, Csaba che cucina, Csaba che con gli altri giudica i pranzi, Cake star, Damiano che giudica i dolcini delle pasticcerie, Giusina in cucina e chi più ne ha più ne metta. Ormai, in casa, siamo diventati tutti chef stellati. D’altro canto tutti vogliamo imparare una ricetta nuova o qualche trucco in più in cucina. E ci accontentano. Si, perché i programmi che vanno per la maggiore sono quelli in cui ci identifichiamo , ci sentiamo partecipi. E via così ; anche i reality show, dove vengono inserite una serie di persone, fra le più disparate : lo sportivo, il belloccio, la showgirl bonazza, l’intellettuale, il rimbambito, la mamma, l’isterica, l’impegnata socialmente, la modella, l’influencer. In primis perché in qualcuno di loro ti identifichi di sicuro, in secundis perché più sono diversi e più si creano “dinamiche” ad hoc; polemiche, amori, dissapori e urla. Ah, quanto ci piace vederli discutere animatamente. Quando i matrimoni o i fidanzamenti vanno a monte perché è quasi naturale che, passando 24 ore su 24 insieme, a volte in cattività e a volte in condizioni ideali, i due di turno si innamorino e tu, li a guardare, partecipe, insieme al cornuto a casa, dei tradimenti. Poi ci sono i programmi pre serali o in prima serata , anche quelli fatti con lo stampo: la giornalista carina messa di ¾ “alla Lilli Gruber” che cerca di incalzare l’ospite di turno sui problemi di politica, di attualità, di economia etc. il co-conduttore ancora più infido nel fare le domande “scomode”, che di realmente scomodo non hanno proprio nulla, a meno che l’intervistato non appartenga ad un partito inviso al direttore di rete. Il risultato è una baraonda dove l’ospite in studio si mette a discutere con l’ospite collegato e noi li a sorbirci urla inutili: tutta fuffa. Il vuoto assoluto. “Eh, ma tu hai il telecomando, puoi cambiare canale” è la contestazione che ci viene fatta. Si, certo, cambi canale e cambiano le facce, di sicuro non i contenuti. Ogni tanto capita qualche programma carino, che cerca di mettere l’attualità in chiave ironica e allora si riesce ad ascoltare un po’ di attualità intervallata da battute ironiche o imitazioni dei personaggi clou del momento. Anche se, grazie al cielo, ci sono persone, soprattutto politici, che sono “macchiette” già di loro e non serve alcun imitatore.
LA GIURIA

Il progresso ha ucciso
e distrutto
il profumo dei tigli.
ma un giorno una giuria
composta dagli ultimi
polverosi roseti
dovrà giudicarlo, un giorno.
E Dio voglia
che lo condanni
a trenta anni fa
VENTICINQUE MINUTI

La Camel che stringo tra le dita si va consumando lentamente, mentre alla TV, due imbecilli, seduti in una trattoria, scoprono di avere gli stessi gusti in fatto di acqua minerale: a lui piace frizzante, a lei, naturale: come la Gioconda. (la capiranno in pochi)
Squilla il telefono:
-Pronto Davide? – La “R” dura, “francese”, di Tommaso, mi risolleva un po’ il morale:
– Ciao! –
– Senti, ho una proposta per stasera: un teatro, venticinque minuti. –
– Venticinque minuti? –
– Si; uno spettacolo di venticinque minuti! –
– E di che si tratta? –
– Ma… non lo so, veramente… –
– Come non lo sai, Tommy?! –
– Ma che ti frega, dura solo venticinque minuti; è questo il bello! –
– Hai ragione: venticinque minuti si “reggono”, qualunque stronzata sia. –
– D’accordo allora: alle dieci esatte; dalle dieci alle dieci e venticinque. Ciao. –
La stradina è buia, vicino S.Pietro, l’ingresso del teatro, ancora più buio. Entriamo.
Sono le 22:05 : ci affrettiamo, preoccupati di aver perso ben un quinto dell’intero spettacolo. Ci accolgono due ragazzi dall’aria “alternativa”.
– E’ già cominciato? – chiede Tommy, un po’ansioso.
I due si guardano, perplessi:
– No. Veramente siete i primi. –
Lancio a Tommy un’occhiata eloquente.
Loro staccano due biglietti, riservandosi di rimborsarci qualora lo spettacolo non dovesse andare in scena.
Noi non ci perdiamo d’animo, prendiamo il programma ed entriamo nella minuscola sala.
– Se entro cinque minuti non arriva nessuno, ce ne andiamo. –
– D’accordo. –
Nel frattempo, alle nostre spalle, entra un tipo: con fare circospetto va a sedersi in prima fila, sulla destra.
Un attimo dopo arriva una giovane coppia; il tipo in prima fila si volta e li saluta cordialmente, mentre i due lo raggiungono.
Cinque persone in sala. Bene.
Il ragazzo del botteghino si affaccia e ci fa un cenno per dire: “tutto a posto.”
Lo spettacolo non è male: le “schermaglie” amorose di due giovani, nella Venezia settecentesca. In dialetto, ovviamente. Però comprensibile.
Finito lo spettacolo, ci incamminiamo verso la birreria dove ci attende Laura.
– Lunedì si avvicina, eh? –
– Non mi ci far pensare, ho attacchi d’ansia ogni mezz’ora! –
– Sta’ tranquillo, sarà una stronzata, vedrai; e poi, non è un amico di tuo padre?
– Si, però… –
– E comunque, all’inizio, qualsiasi cosa ti serva…. –
– Lo so, lo so: grazie: –
WEB REPUTATION

Cosa intendiamo quando parliamo di online reputation ?
Con la diffusione di blog e forum, la nascita di piattaforme di recensioni e con l’avvento dei social network, gli utenti stessi hanno la possibilità di creare e diffondere informazioni rapidamente ma anche di esprimere giudizi positivi o negativi su argomenti di ogni tipo. Tali contenuti e condivisioni contribuiscono a formare a loro volta l’opinione di altri utenti, esponendo aziende, prodotti e personaggi pubblici a elogi o critiche, e quindi a una vulnerabilità costante. Stessa cosa vale per il mondo dello spettacolo o dello sport. Proprio per questo, uno dei settori emergenti , in ambito web, è quello della web reputation, o, più esattamente, del Reputation Management, ovvero la pratica di analizzare ed eventualmente influenzare la reputazione on line di persone ed organizzazioni. Originato dal marketing, il Reputation Management è ormai una pratica in buona parte sovrapponibile a quella di SEO ( Search engine optimization – Ottimizzazione motori di ricerca) che, a sua volta, coincide sempre di più con l’arte di influenzare i risultati di ricerca su Google. Google spiega come oggi circola sul Web una quantità sempre maggiore di informazioni personali. Ad esempio, qualche tuo amico potrebbe menzionare il tuo nome su un social network o taggarti in alcune foto online, oppure il tuo nome potrebbe comparire in un post su qualche blog o in un articolo.
Oggi la reputazione ha un nemico in più: se stessi. Perché ogni singolo contenuto postato dal proprio account diventa di dominio pubblico e poi viene enfatizzato o trascurato, ma senza più controllo da parte dell’autore, per via del passaparola. Ed è per lo più incancellabile. Oggi, chi cerca di “farsi una reputazione” on line, lavora soprattutto sui social media.
La questione centrale è che la Rete, oltre che della trasparenza, è sempre di più il regno della mistificazione. Uno dei capisaldi dello sviluppo di internet è stato il fatto che il più grande mercato on line del mondo, eBay, fosse basato sui feedback degli utenti e, di conseguenza, sulla reputazione dei venditori. Ma si è scoperto come, tra i venditori eBay, fosse diffusa la pratica di offrire omaggi agli utenti in cambio di un giudizio positivo. Nello stesso periodo, forse non a caso, è stato coniato il termine Reputation Management ed è cominciato l’interesse verso di esso. Preoccuparsi quindi della propria reputazione online vuol dire effettuare un’attività periodica di monitoraggio della rete a verifica di cosa si dice in merito al soggetto dell’indagine, ed eventualmente porre in atto azioni correttive mirate, cioè rispetto alle criticità rilevate. Non sempre è necessaria una comunicazione correttiva, spesso è sufficiente modificare condizioni e situazione esterni alla rete ; in altre parole non sempre è utile fare contro-comunicazione laddove l’intervento efficace è solo in direzione del miglioramento del prodotto e/o del servizio offerto. Internet è un’enorme fonte di informazioni per un’azienda, per un ente, per un professionista che intendono recuperare un feedback (si parla di buzz, ovvero “mormorio”) che Clienti, Utenti o Cittadini o Elettori, istaurano e diffondono in autonomia. Il monitoraggio della reputazione online di solito prevede un’attività di ricerca ed elaborazione automatizzata, grazie ad un software (che risiede su una piattaforma) e che estrae, conta, archivia, cataloga le informazioni presenti in rete. Segue una fase qualitativa, nella quale si focalizza parte dei contenuti archiviati, per valutarne il sentiment (positivo neutrale o negativo) del messaggio.
ALVIN

La birreria è semivuota, Laura ci fa un cenno con la mano.
Tra una Guinnes e l’altra, facciamo l’una.
Usciamo. Via della Conciliazione è deserta.
All’ improvviso, un ragazzo – calzoncini corti a fiori, borraccia e macchina fotografica appese al collo – sbucato da non si sa dove, ci si para davanti.
– Parlez vous francais? –
Ci guardiamo interdetti: Tommy sta “rispolverando” il suo inglese, io ho dimenticato il mio e Laura ha abbandonato il francese da tempo.
Il ragazzo ci chiede una sigaretta, col classico gesto universale; poi, tra frammenti di inglese di Tommy e varie mimiche facciali, crediamo di capire che desidera andare in Vaticano.
– Vatican? –
– Yes! –
Non c’è alcun dubbio: non gli basta vedere S.Pietro, ben illuminata, con le fontanelle zampillanti, vuole proprio entrare in Vaticano.
Tommaso gli fa presente che è l’una di notte e ci sono due grossi Svizzerotti, con tanto di elmo ed alabarda, che non hanno un gran senso dell ’humour.
Il Francese ci guarda perplesso, evidentemente non capisce il perché di tanto “fiscalismo”. Io mi avvicino, tentando di fiutare tracce d’alcool nel suo alito, mentre questi estrae dalla borsa uno spray: – Ma io ho questa! – (in francese, naturalmente.).
Tommy e Laura sono sempre più confusi; a me basta una rapida occhiata per capire che si tratta di una di quelle bombolette spray anti-aggressione, tanto in voga in Francia ma assolutamente illegali da noi.
– Oh, – sorride il ragazzo – it’s a joke… –
Nel frattempo sentiamo delle urla: tre ragazzini corrono verso di noi. Affannata e con forte accento americano, la più grandicella si rivolge ad Ale: – Do you speak English?- Gli Americani sono famosi per capacità di centrare i bersagli!
– No. Parla con loro! – ribatte Laura, indicando noi; mentre gli altri due continuano a chiamare:
– Alvin! Alvin!… – correndo intorno, la ragazzina ci spiega che hanno perso un loro amico: grasso e con gli occhiali (i gesti sono inequivocabili). Il Francese è ancora lì con il suo spray. E’ troppo! Salutiamo la piccola folla e guadagniamo la macchina.
Dopo aver transitato per vari “sensi unici”, ripassiamo per Via della Conciliazione:
i ragazzini americani sono ancora lì che corrono tra una viuzza e l’altra.
Mi sporgo dal finestrino:
– Did you find him?! –
– No! – mi gridano di rimando.
– Beh, – rimettendomi comodamente a sedere – cercatelo meglio… –
– Alvin!… Alvin!… –
Variazioni su TRACCIA II – Gianni Nocenzi
Lido dei PIni 1

“ Nel deserto puoi ricordarti il tuo nome,
perché non c’è nessuno a darti dolore” . Gli America nella mia playlist , mentre mi cullo nel rullio del trenino diretto ad Anzio. Finalmente, dopo decenni, una vacanza degna di questo nome.
Vacanza a sorpresa, si può dire. Sono anni che, ad Agosto, Zia Lalla e zio Alfonso vengono ospitati nella casa al mare di Mariangela, amica decennale di zia, a rinfrancarsi un po’; venendo a mancare zia Lalla, zio non se la sarebbe sentita di venire da solo. Ed ecco la trovata geniale di mia cugina Roberta: “ Vai con Barbara e Davide!” Zio Alfonso entusiasta dell’idea, Barbara ha accettato di buon grado, io, dopo un’iniziale perplessità , mi sono convinto: una vera vacanza al mare….si! E con zio non ci si sarebbe annoiati di certo: alla soglia dei 90, ha più brio, verve e sense of humor di molti trentenni che conosco. Inoltre è molto attaccato a Barbara (oltre che a me, ovvio, il suo nipote prediletto)
Ed eccoci qui, a pochi minuti da Anzio, dove Mariangela e zio Alfonso ci aspettano, in macchina, per portarci a Lido dei Pioppi, ridente cittadina (come suol dirsi), sul litorale romano. Frequentata dalla media borghesia romana.
Scendiamo: io già al telefono con zio, che mi sta dando istruzioni, in modo approssimativo, per raggiungerli fuori dalla stazione.
Lui ci viene incontro con una camicia rosa e un paio di pantaloni giallo limone….ottimo inizio.
Mariangela….incredibile, sempre la stessa, da anni; sicuramente ha fatto un patto col Diavolo.
Ci tiene a farci notare che lei può permettersi di “sfrugugliare” zio Alfonso, dato che si conoscono dal ’68. Sicuramente, non scendevano in piazza a manifestare. Anzi, probabilmente, erano di quelli che bofonchiavano contro “questi capelloni”. Vabbé.
La casa di Mariangela è la classica villetta al mare, né piccola né troppo grande, con tanto di patio dove mangiare, riposare, chiacchierare e prendere il caffè. Inoltre ha una dependance per noi tre…..e qui viene il bello. Si tratta di una camera, di 3 metri per 5, con un letto singolo ed uno matrimoniale, con bagno.
Ora ecco il busillis: come prenderà , Barbara, il fatto di dover dormire con zio Alfonso? Il quale, oltretutto, insiste per averla con lui, nel matrimoniale?
Ma il bello di mia moglie , tra le altre cose, è la sua fantastica adattabilità ( questo non vuol dire che dividerà il letto matrimoniale con zio, ovviamente. C’ è un limite a tutto).
Intanto abbiamo fatto la conoscenza di Alfredo, il compagno/ amico/ convivente di Mariangela. Si, perché , al momento ,non capisco bene il tipo di rapporto che intercorre tra i due. Tralasciando il fatto che , complessivamente, mettono insieme 168 anni e quindi si possono escludere peripezie sessuali, qui vivono sotto lo stesso tetto, a Roma, no; ma si frequentano quotidianamente…..mah, vedremo.
Zio ci aveva disegnato Alfredo come un tipo taciturno e un po’ burbero. Il “ burbero”, ci accoglie con un sorriso a 37 denti, stringendoci calorosamente la mano. Vabbé. Meglio.
Dopo esserci frettolosamente rinfrescati, sistemiamo i nostri bagagli e le nostre cose nel risicato spazio che zio (arrivato due giorni prima, all’uopo) ci ha generosamente lasciato. SIGH!
Mariangela ci chiama per il pranzo…..con il gong!, proprio come negli hotel; comincio a convincermi che la settimana che ci aspetta non sarà poi così male.
Mariangela è una padrona di casa eccezionale, attenta alle necessità di tutti, nei dettagli; per quanto riguarda zio, poi, è da non credere: “ Alfonsino, quanta pasta vuoi, la frittatina la vuoi prima o dopo la carne?”…e via di questo passo. Gli sbuccia la frutta! SIGH!
Finalmente l’agognata pennichella ( Barbara ed io siamo in piedi dalle 06:00).
Ho detto “pennichella”?? Niente di più falso.
Zio Alfonso ci esprime tutta la sua gratitudine per essere andati, di quanto ci divertiremo con “quei vecchi bacucchi”, e la sua felicità.
“Mi avete salvato la vita! Mi avete salvato la vita!”
Di dormire non se ne parla, ma comincia da subito il leitmotiv di quello che sarà la settimana al mare: i racconti del giovane Alfonso, delle sue fidanzatine, e, in particolare ,di una, alla quale non ha mai smesso di pensare e con la quale , dopo 70 anni, è ancora in contatto. Questo, per tacer della giovane farmacista sotto casa, che corteggia sfacciatamente da mesi.
Bene.
Conosco mio zio, innamoratissimo della moglie, mai fatto mancare nulla alla famiglia, ma , da buon Sagittario, si è concesso qualche marachella; zia Lalla sicuramente ne era al corrente, ma lasciava correre, di buon grado : “ Tanto, ‘ndo va’?”
Fin qui, tutto bene.
Il punto è che, le stesse cose che serenamente e spiritosamente, racconta a me e Barbara, lui le racconta anche a Daniela, sua figlia, con la stessa tranquillità e senza omettere i particolari. E’ come se gli avessero dato la stura!
Ora, mia cugina è una donna fatta e finita, che conosce le cose di questo mondo, non ingenua (beh, forse un pochino sì) , ma si da il caso che sia comunque la figlia e un pochino di turbamento, ad ascoltare tutte quelle peripezie del padre, lo provi ( ed infatti, al telefono, me lo confessa).
Niente da fare , zio è un fiume in piena: Barbara ed io ci sbellichiamo dalle risate (speriamo che gli altri non sentano, o, perlomeno, non si facciano troppe domande).
Per la cena, niente gong. Ad una certa ora, chi si trova nei paraggi della tavola, apparecchia.
La scena è pressoché identica a quella del pranzo, ma per tutta la durata del pasto, si percepisce, tra i commensali, una sottile e piacevole tensione. L’ arcano è presto svelato: finito di mangiare, ci raggiungeranno i vicini, amici di lunga data, per caffè, dolcetti, amaro, ma soprattutto , si aspettano le piacevoli conversazioni, su ogni sorta di argomento; inutile dire che sono bandite tematiche futili. Il trionfo del radical chic.
Così, puntualmente, ci raggiungono, alla spicciolata, 6-7 persone; tutti riuniti attorno al tavolo, tranne Alfredo, comodamente seduto nella sua poltrona preferita.
Solitamente zio Alfonso tiene banco, ma ad un certo punto, ha delle sortite effettivamente improbabili:” Durante il conclave in cui è stato eletto Papa Giovanni XXIII, conclave molto combattuto e “discusso” ci furono, in effetti, delle gravi irregolarità”
“E ancora!” , ribatte Alfredo, “Ma come è possibile e, soprattutto, tu che ne sai??”
“Perché io c’ero.” Nessuna incertezza nella voce. Silenzio improvviso su tutta la tavolata.
Alfredo si alza e se ne va….incazzato.
“Ehi, avete visto quel geco?”
“Si , carino!”
In effetti, sul soffitto , immobile, fa bella mostra un piccolo geco; adoro questi animali, sono effettivamente innocui quanto sembrano; fanno tenerezza.
Improvvisamente tutta l’attenzione è catalizzata dall’ animaletto, su quanto sia carino, utile perché mangia gli insetti ,etc etc
Daniela mi aveva avvisato che sarebbe successo, ma devo ammettere che, la scena, dal vivo, è imperdibile. Zio ama le iperboli e le provocazioni, l’altro, decisamente meno.
Non sono ancora le 22:30 ed io ho un sonno della Madonna, Barbara mi fa capire che è sulla stessa frequenza. Siamo in un consesso di ultra ottantenni, che conversano allegramente e non danno cenni di stanchezza; probabilmente faranno l’una, e noi, 30 anni di meno, già stiamo crollando. Vergogna.
Ad ogni modo, diamo la buonanotte e li lasciamo a confabulare animatamente.
Dopo neanche 10 minuti, si presenta in camera zio Alfonso.
“Ma come, sei già qui?” gli chiedo
“ Ma non avete sentito che noia tutti quei discorsi da vecchi bacucchi? E poi non sopporto chi si sottrae ad un contraddittorio!”
“Povero Alfredo”
“ Ma che povero e povero, quando non ha argomenti validi da opporre ai miei, si defila. Che palle!”
“Ok”
Dopo alcuni, brevi commenti salaci sul gruppo serale, ci mettiamo a dormire.
Si, queste vacanze ce le meritiamo entrambi!
Eccoti Aprile

Aprile, non morire
ti prego, non morire
di tenero verde
appena approdato
sulla riva del prato
c’era bianco di neve.
No morire
di glicine aggrappato
sul muro scrostato
nel rosso mattone
incrostato
d’ intonaco.
Non morire
d’insensate parole
di chi mi vuole
così come sono
e piange
perché non sono
come mi vuole
Aprile, ti prego
non morire
del male tremendo
che si chiama domani
aprile, rimani.
Lido dei Pini 2

Ad un certo punto della notte, mi sveglio e vedo che zio si è alzato a sedere sul letto.
“Sei sveglio?” gli chiedo, sottovoce; lui mi guarda, non sembra aver sentito, ma soprattutto , ho la netta convinzione che, nonostante gli occhi aperti, stia ancora dormendo. Sinceramente inquietante. Mi riaddormento; dopo un paio d’ore, la cosa si ripete. Non so se chiamare un esorcista o far finta di niente.
Ora che ci penso, mio cugino Alessandro ed io, specie in gioventù, abbiamo passato parecchie notti insieme, in vacanza, e lui faceva la stessa cosa: nel pieno della notte, ti fissava, con occhi vacui e poi si rimetteva a dormire. Di padre in figlio. Bene.
Freschi e (quasi) riposati, ci svegliamo verso le 08:00.
“ Davide, per favore, dai un’occhiata se anche loro sono svegli e se Mariangela mi ha fatto il caffè, grazie.”
Si, perché, per Mariangela, è prioritario che zio inizi bene la giornata col suo bel caffè. Una santa.
Esco dalla stanza, e Mariangela, in cucina, mi accoglie con un gioioso “buongiorno” e mi mette in mano la tazzina con il caffè per Alfonso guai se fosse altrimenti! Però c’è da dire che è un bel rito , ed io, se c’è una cosa che amo, è la ritualità. Antropologo nell’anima.
Un altro rito è quello della pizza bianca. Nei paraggi c’è un forno dove, pare, fanno una pizza bianca inenarrabile ( a Roma saranno rimasti 4 o 6 alimentari dove poter trovare una pizza bianca buona come 40 anni fa). Alfredo, di buon mattino, va a fare la fila al suddetto forno e dopo una ventina di minuti ritorna con “pizza per tutti!”
Già al primo morso mi rendo conto che non esagerano: la pizza è fantastica e mi riporta ai sapori di quando ero bambino. SIGH! Commovente. Davvero. Un ottimo inizio di giornata.
Dopo colazione, accompagno Barbara alla spiaggia. Il mio amore, una settimana al mare (finalmente!) se la merita davvero tutta.
La lascio a contrattare, con un aitante bagnino ( se non fosse aitante, non sarebbe un bagnino, ovvio), su prezzi di ombrellone e lettino e me ne torno tranquillamente a casa.
Si, queste vacanze, ce le meritiamo entrambi!
Al rientro, trovo zio leggiadramente disteso sul letto, con indosso, solo un paio di boxer improbabili, che inizia a parlare, ancora prima che io entri in camera, al solito.
“ Ad aprire ad altre persone, si mette ai voti….”
“ Ma chi potrebbe reggere quel livello di follia, di delirio, di goliardia, un pochino di sofferenza…”
“ La follia…”
Una poesia di Bevilacqua che diceva:” matti, senza bellezza di poesia. Ma, a te, le poesie di papà, piacevano?”
“Io contro io.” “I colori del cieco. Al un cieco, gliela abbiamo letta, poveraccio e lui ci ha detto :”
Se volete sapere i colori del cieco, dovete pensare al nero, io vedo tutto nero”
“ Si, va bene, ma è una poesia….”
“ Io gli ho detto: ma è sicuro che sia nero, perché se fosse rosso, tu lo capiresti? NO. “
Fantastico!
“ ah ah ah ah ah spero che tu non l’abbia chiesto a Davide (l’ ex ragazzo di mia cugina)”
“ No, l’ho domandato a Rosanna, te la ricordi Rosanna?”
“No”
“Una delle ragazze di Daniela che cantava nel coro. Noi vediamo tutto nero”
Squilla il mio cellulare, mentre zio Alfonso entra in bagno e, puntualmente, inizia a cantare una delle sue canzoni anni ’40-’50.
E’ Ale.. Almeno una volta al giorno, lui e Daniela, mi chiamano per sapere come procede, e se zio si sta divertendo o meno. Mia cugina è la più apprensiva dei due. Io li tranquillizzo, va tutto bene, ci stiamo divertendo come matti.
Accosto il cellulare alla porta del bagno, in modo che mio cugino possa sentire suo padre che canta a squarciagola. Reazione di Ale: “ ok, è impazzito, l’abbiamo perso del tutto”
“ Ma piantala, hai un padre fantastico e lucidissimo più di te e me”
Glielo passo.
Rientra Barbara, leggermente arrossata, molto soddisfatta della sua mattinata al mare.
Ci prepariamo e andiamo a pranzo.
In realtà, zio, mia moglie ed io, non vediamo l’ora che finisca per poter andare in camera a spettegolare, su tutto e tutti, e parlare dell’amore, del sesso e dei più svariati argomenti.
“ Ma hai visto Alfredo, ieri sera, come si è incazzato? E Mario, con quella panza, fuori dalla canotta, che fa discorsi senza capo né coda. A parte Mariangela, l’ unica che si salva è Anna”…e via discorrendo.
Io gli racconto della sera in cui ho chiesto a Barbara di sposarmi e lei mi ha detto “no”, senza indugio; per fortuna ho evitato la scena dell’ anello, in ginocchio.
“ Ah, gli hai detto di no??” chiede a Barbara “ Ottima cosa, e perché ci hai ripensato?”
Questo il tenore delle conversazioni, ogni volta che ci ritroviamo in camera noi tre.
A Ferragosto ci ritroviamo a tavola in 12….a volte si dice la fortuna.
Buon cibo, ottimo vino e una bottiglia di Champagne che Alfredo si prodiga ad aprire: il tappo gli sfugge di mano (l’emozione o l’ennesima incazzatura verso zio Alfonso), e colpisce in pieno un povero geco che da una paio di giorni staziona in quella zona. La sera, ovviamente; che diavolo ci fa, il geco, a quell’ora ,sul muro della veranda?? Veramente una sfiga! Ci siamo tutti affezionati a quel geco, era diventato argomento di conversazione, ed ora è morto. Finite le osservazioni costernate e cantato il De profundis per il povero animaletto, il pranzo comincia e il buonumore regna sovrano.
Angus & Julia Stone – Heart Beats Slow
Galimberti e la scuola

Durissimo con i genitori il filosofo Umberto Galimberti, che al Forum Monzani di Modena, presentando il suo ultimo libro, dice:
Espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge.
E alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a scuola senza protezioni, lo scenario è diverso, devono imparare a vedere che cosa sanno fare senza protezione. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell’indolenza che vediamo in età adulta.
E la si finisca con l’alternanza scuola lavoro, a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? E’ folle.
Guardiamo sui treni: mentre in altri Paesi i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole? Non si pensa o si pensa poco se non si hanno le parole”.
Merenda

Un giorno ho distrutto il portico di mia nonna con la moto, ma tutto è passato in secondo piano quando gli ho svelato che dovevo ancora far merenda
Comandamenti

Tutti noi, quando da bambini siamo stati indotti – più o meno volontariamente – a frequentare le lezioni di catechismo, siamo stati indottrinati al contenuto dei dieci comandamenti consegnati – secondo la Bibbia– a Mosè sul monte Sinai, decalogo obbligatoriamente da rispettare affinché un fedele possa definirsi “Cattolico”.
Ma se vi dicessi che i dieci comandamenti che ci sono stati finora propinati sono stati quasi completamente inventati dalla Chiesa, perché nel decalogo della Bibbia originale… non esistono …la situazione come cambierebbe?
I veri dieci comandamenti, ben diversi da quelli a noi insegnatici, sono presenti nella Bibbia nei libri dell’Esodo 20: 2-17 e in Deuteronomio 5: 6-21; riportati di seguito nella tabella (a sinistra) e comparati con i comandamenti falsificati della versione ufficiale del catechismo cattolico (a destra):
Il Decalogo originale secondo l’Antico Testamento (Deuteronomio 5: 7-21): | Il Decalogo secondo la Chiesa Cattolica: |
1. Non avere altri dèi di fronte a me. | 1. Non avrai altro dio fuori di me. |
2. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla Terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perché io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano, ma usa misericordia fino a mille generazioni verso coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti | !? |
3. Non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio perché il Signore non ritiene innocente chi pronuncia il suo nome invano. | 2. Non nominare il nome di Dio invano. |
4. Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato. | 3. Ricordati di santificare le feste. |
5. Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà. | 4. Onora tuo padre e tua madre. |
6. Non uccidere. | 5. Non uccidere. |
7. Non commettere adulterio. | 6. Non commettere atti impuri. |
8. Non rubare. | 7. Non rubare. |
9. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. | 8. Non dire falsa testimonianza. |
!? | 9. Non desiderare la donna d’altri. |
10. Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo. | 10. Non desiderare la roba d’altri. |
Come è possibile constatare dalla tabella comparativa, nel primo comandamento del decalogo del Deuteronomio – il comandamento originale per intenderci – Dio comanda al suo popolo di “non avere altri dèi al di fuori di lui”, ammettendo implicitamente l’esistenza e la presenza di più dèi. Il vero motivo per cui l’ipotetico redattore della Bibbia (di certo un alto dirigente ebreo, e non Dio!) ha imposto agli ebrei questo comandamento è perché, nonostante vi fossero diversi tentativi di unificare il popolo ebraico ormai allo sbaraglio dopo la cacciata dall’Egitto, gli ebrei, infischiandosene altamente di ciò che diceva il loro dio, o di chi glielo voleva imporre, non furono mai fedeli a questa divinità dimostrando addirittura in molti casi di non conoscerla neppure, adorando ogni sorta di divinità egizia, sumera, assira, fenicia ed altre divinità di tutte le razze e religioni; tutte eccetto il dio biblico.
Per poter riparare a tutte queste chimeriche anomalie, poiché sarebbe potuto sembrare ridicolo agli occhi di un credente non ebreo che il dio Creatore dell’Universo fosse in competenza con altre divinità, la Chiesa decise di trasmutare grammaticalmente il “numero” della parola “dèi” dal plurale al singolare (dio), in modo tale da cambiare il significato all’intero contesto della frase.
Nel secondo comandamento originale Dio vieta di fare immagini, dipinti, statue e quindi ogni sorta di raffigurazioni “di ciò che è lassù in cielo, di ciò che è quaggiù sulla terra e di ciò che è nelle acque sotto la Terra”, ovvero di ogni eventuale immagine sacra e divina riguardante sia la presente religione sia le religioni straniere, alle quali era comunque vietato aderire. Nel prosieguo del comandamento lo stesso Dio, onnisciente e perfettissimo, ammette di essere un dio geloso e vendicativo, ponendo questa sua irascibilità come valido motivo per il quale agli ebrei era vietato fare immagini e raffigurazioni d’ogni genere e forma (“Perché io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano”).
Il vero secondo comandamento, insomma, vieta alla religione cristiana di essere una religione idolatra; di conseguenza – se ci si attenesse alla lettera – paradossalmente per Dio chiunque abbia adorato almeno una volta nella vita una immagine od una rappresentazione della Madonna, del Crocifisso, di padre Pio, o qualunque sorta di immagine sacra riconosciuta o meno dalla religione Cattolica e Cristiana – compreso ovviamente chi si sia recato almeno una volta nella propria vita in un edificio sacro come una chiesa – dovrebbe essere immediatamente scaraventato all’inferno! Questo comandamento deciso dal dio biblico mette anche fine ad ogni discussione sull’eventuale presenza del simbolo del crocifisso nelle aule scolastiche e di tribunale; ed opporsi a questo vorrebbe dire rinnegare e mettersi contro le stesse leggi proclamate dal dio degli Ebrei.
Inoltre come può un’entità perfetta, onnipotente, onnipresente ed onnisciente, che dovrebbe quindi esulare da ogni legge fisica e terrestre, e perciò essere una forza trascendente, dichiarare per sua stessa ammissione di essere una entità gelosa e vendicativa, e peraltro farlo in un libro scritto da lei stessa colmo di incongruenze logiche ed anacronismi storici?
Se Dio è geloso non è perfetto, se Dio è perfetto allora non è il dio della Bibbia!
Poiché il secondo comandamento del decalogo del Deuteronomio va contro ogni etica e morale del Cattolicesimo, questo comandamento viene completamente soppresso ed eliminato dal Decalogo secondo la Chiesa Cattolica.
Con la stessa furbizia ed insostituibile acribia, il cupolone del Vaticano si è anche reso conto che probabilmente i credenti odierni non avrebbero più accettato e seguito ciecamente la religione Cattolica sapendo che le loro principali leggi avrebbero proclamato ed esacerbato la schiavizzazione dell’uomo, e così si è reso necessario un altro taglio della “pia forbice Cristiana” che ha dato una bella spuntata al quarto ed al decimo comandamento, dove si diceva di non far lavorare il proprio schiavo e la propria schiava nel giorno di Sabato nel quarto, e di non desiderare lo schiavo o la schiava d’altri nel decimo, relegando in questo modo gli schiavi alla pari della merce e calpestando ogni loro più bassa dignità.
Avendo rimosso completamente il secondo comandamento originale, a questo punto la Chiesa si è ritrovata con soli nove comandamenti, anziché dieci; così, per riportare il numero dei comandamenti falsificati uguale a quello degli originali, i falsari hanno diviso in due il decimo comandamento del Deuteronomio, formando il nono dalla prima parte di esso ed il decimo dalla seconda parte, semplificandolo ed omettendo ovviamente le frasi dove venivano citati gli schiavi. Così il comandamento “Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo” viene diviso in due e trasformato in“Non desiderare la donna d’altri” del nono comandamento ed in “Non desiderare la roba d’altri” del decimo.
Questi comandamenti vengono ripresi, oltre che in parte dal codice di Hammurabi del 1750 a.C. (periodo in cui gli Hyksos conquistarono il Basso Egitto), dove si fa uso della Legge del taglione, ben nota nel mondo giudaico-cristiano per essere anche alla base della legge del profeta biblico Mosè, soprattutto dal “Libro dei Morti” egizio, supporto che serviva alla risurrezione per raggiungere il campo dei giunchi, ovvero il paradiso. Questo papiro conteneva vari artifizi per poter superare delle prove davanti agli dèi chiamate “confessioni in negativo”, che permettevano l’approdo alla porta successiva. Gli alti dirigenti egizi pensarono bene di far credere ai loro polli che, in caso di risposta sbagliata, gli dèi li avrebbero puniti per l’eternità; questo per costringerli a comprare il papiro che permetteva di ingannare, anche con l’ausilio di altri amuleti, gli dèi celesti.
Il costo di questo papiro era quasi la metà del lavoro di un anno di un artigiano, più il costo di altri amuleti che servivano soprattutto a superare la prova finale. Davanti ad ogni porta ci si trovava di fronte ad un dio, e l’uomo, o meglio la sua anima, rispondeva dicendo “io non ho rubato”, “io non ho ucciso”, “io non ho desiderato la roba (schiavi, donne, denaro, animali etc.) d’altri” e via dicendo. Superate le quarantadue porte il defunto si trovava davanti ad Horus che, attraverso la pesa del cuore, decideva il suo destino. Il defunto estraeva il suo cuore da una scatolina ed Horus lo poneva sul piatto di una bilancia, controbilanciata dalla parte opposta da una piuma. Se la bilancia si manteneva in equilibrio l’uomo andava nel campo dei giunchi, altrimenti era…l’inferno, o la sua distruzione. Il costo del papiro era di sei mesi di lavoro da parte di chi lo comprava, più altri amuleti che venivano venduti a parte per ingannare gli dèi dalle bugie del morto. Nacque così il primo merchandising religioso da parte dei sacerdoti egizi, normali uomini che, per sbarcare il lunario, preferirono vendere un prodotto molto richiesto, ieri come oggi: l’illusione della vita eterna.
La Massa

“ Massa è tutto ciò che non valuta sé stesso – né in bene né in male – mediante ragioni speciali,
ma che si sente “come tutto il mondo” e tuttavia non se ne angustia, anzi, si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri “ ( José Ortega Y Gasset)
Il sonno

Spesso ci preoccupa il fatto di svegliarci nel cuore della notte e non riuscire più a riaddormentarci – ma in realtà potrebbe essere un bene per noi. Un crescente numero sia di prove scientifiche che di reperti storici sembra suggerire che otto ore di sonno non solo sono un mito ma possono essere addirittura “innaturali”.
Nei primi anni 1990, lo psichiatra Thomas Wehr condusse un esperimento nel quale un gruppo di persone veniva tenuto al buio per 14 ore al giorno, per un mese. Inizialmente i partecipanti ebbero difficoltà a regolare il loro sonno ma entro la quarta settimana tutti i soggetti presentavano un sonno molto distinto. Dormivano prima per quattro ore, poi si svegliavano per una o due ore prima di riaddormentarsi per altre quattro ore di sonno. Anche se in ambito accademico la ricerca ha suscitato molta curiosità e interesse, nel grande pubblico l’idea che possiamo dormire in modo alternativo alle otto ore consecutive non ha certo preso piede.
Nel 2001, uno storico, Roger Ekirch, pubblicò i suoi risultati di 16 anni di studio su fonti storiche. Egli raccolse più di 500 testimonianze che indicavano la presenza di un sonno “segmentato”, a due fasi, nelle persone di diverse tribù e nazioni, comprese tribù africane, l’antica Grecia e le istruzioni per la routine quotidiana dei monaci medievali. Come nell’esperimento di Wehr, lo storico è giunto alla conclusione che il nostro sonno può dividersi in due periodi: il primo inizia nelle prime ore dopo il tramonto e il secondo, di poche ore, avviene dopo un periodo di un paio d’ore di veglia. Secondo Ekirch, non è solo il numero di riferimenti ad impressionare ma è il modo in cui essi si riferiscono a questa modalità di sonno, come se fosse conoscenza comune. Un periodo di veglia durante la notte, dichiara l’autore, sarebbe un comportamento fisiologico e naturale. Solo a partire dal tardo 17° secolo che questa modalità incominciò a scomparire con la crescente urbanizzazione e industrializzazione della società, ed entro la fine del 19° secolo, le prove di un comportamento di veglia notturna scomparirono completamente dalle fonti letterarie. L’autore arriva quindi alla conclusione che 8 ore continuative di sonno non sono solo un mito, ma addirittura qualcosa di “innaturale”.
Ora, io non credo che ci sia nulla di innaturale nel dormire 8 ore di fila ma è affascinate l’idea che possiamo “utilizzare” altre modalità di sonno, non per forza “convenzionali”, per ristorarci: ad esempio il sonno a due “blocchi”, o il sonno polifasico di Leonardo da Vinci (che ricalca lo stile dei neonati, con 4 ore di veglia seguite da un paio di ore di sonno) oppure i sonnellini pomeridiani (la siesta!). L’importante è capire quello che gli specialisti del sonno ripetono da anni, ovvero che 8 ore di sonno sono solo una convezione ed il fabbisogno di sonno varia da persona a persona. Quindi dobbiamo cercare di capire i nostri bisogni, ottimizzarli rispetto ai nostri ritmi sociali (lavoro, famiglia, amici…) e, soprattutto, non spaventarci se ci capita di svegliarci in piena notte senza riuscire a riaddormentaci: potrebbe essere l’occasione ideale per scrivere, fantasticare, fare le coccole al proprio partner o finire quel famoso libro che, da anni, dorme sul nostro comodino!
Le Orme – Sguardo verso il Cielo
Credere

Il punto non è vedere per credere, ma credere per vedere
Crisi ovvero Crescita

Se noi non riusciamo ad accettare ciò che è, non saremo nemmeno mai in grado di fidarci e continueremo invece sempre a porre resistenza, a combattere.
In realtà per superare le “difficoltà” in maniera fluida è sufficiente avere fiducia nel fatto che il nostro Io Superiore, sempre attento e presente nella nostra vita, sa sempre cosa è il meglio per noi e se noi (egoici) glielo permettiamo egli ce lo manifesterà senza dubbio sempre.
Ogni “crisi” non è altro che un’ opportunità di crescita spirituale, che il nostro io superiore ci procura all’unico scopo di portarci ad essere felici su questa Terra. Questo è l’allineamento.
E la prima conseguenza dell’allineamento dell’ essenza è il diverso approccio alla valutazione degli eventi, perché se riusciamo a bypassare il punto di vista dell’ego, saremo sempre consapevoli della divinità e della perfezione di ogni cosa che partecipa all’uno in maniera olografica.
Egemonia Culturale

L’egemonia culturale è un concetto che indica le varie forme di «dominio» culturale e/o di «direzione intellettuale e morale» da parte di un gruppo o di una classe che sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo.
l’egemonia culturale viene raggiunta con l’organizzazione del consenso tramite strutture ideologiche e istituzioni come la scuola, i partiti, la Chiesa ecc. In questo caso il potere non si esprime con la forza ma attraverso la persuasione razionale e l’influenza sentimentale, modificando il pensiero e il modo di vivere dei subordinati.
Il consenso della maggioranza diviene così essenziale per il mantenimento del potere politico e per questo si accrescono artificiosamente sempre più strumenti che formino l’opinione pubblica tanto che nello stato moderno «la categoria degli intellettuali […] si è ampliata in modo inaudito».
Gli intellettuali organici sono divenuti così il maggior sostegno dello stato moderno.
Gli intellettuali organici, quelli collegati organicamente alla classe dominante offrono a questa «funzioni organizzative e connettive», tali da permetterle la guida ideologica e culturale. Sono al servizio del principe e ne giustificano ed esaltano il potere a cui essi si sentono associati e di cui godono i vantaggi.
Scienziati

Il punto debole…. anzi no, il dramma degli scienziati è che quando hanno in mente una tesi, durante la ricerca tendono, automaticamente e, spesso, inconsciamente, a raccogliere ed avallare, tutte le prove ed indizi che portano in quella direzione; altresì, tendono, sempre automaticamente, a scartare tutte le prove ed indizi che tendono a confutarla.
Questo è quanto. Molto semplice