
Il 19 Giugno del 1998 è stata annunciata la morte di Carlos Castaneda. Il mito diventa, così, leggenda.
Difficile inquadrare il personaggio, impossibile definire lo scrittore.
Un imbonitore, un antropologo sui generis, un ciarlatano, uno sciamano, un grande scrittore….l’hanno etichettato in mille modi.
La realtà è che troppo pochi hanno letto i suoi libri con un minimo di distacco. Impresa difficilissima, peraltro. Io stesso, dopo aver letto”Viaggio a Ixtlan”, stavo per partire alla volta del Messico.
Osteggiato e spesso disprezzato dalla “casta” dell’antropologia mondiale, quella “seria”, quella “scientifica”, quella che conta, Castaneda ha avuto un successo di pubblico enorme, soprattutto negli anni ’70, quando gli allucinogeni erano usati come mezzo per approfondire “conoscenza” e “consapevolezza”.
Inizialmente, il giovane antropologo dell’università della California, parte per il Messico per raccogliere informazioni sulle piante medicinali usate dagli indio Yaqui. Durante uno di questi viaggi incontra Don Juan, stregone, “brujo”, “uomo di conoscenza”, molto preparato su ogni tipo di pianta, soprattutto il pejote. Un incontro che sconvolgerà letteralmente l’esistenza di Carlos.
Castaneda diventerà l’apprendista di don Juan e farà esperienze inimmaginabili, gli si aprirà un vero e proprio universo parallelo dove i consueti riferimenti logico-cognitivi semplicemente non avranno più senso.
Solo in pochi hanno avuto il buon senso di “leggere” l’opera di Castaneda come una grande ALLEGORIA.
“Vivere come un guerriero” è un modo di porsi, un atteggiamento verso la vita, verso il quotidiano. Essere sempre “consapevoli” e “pronti” in ogni momento di questa nostra insondabile e incerta esistenza è semplicemente l’unica cosa saggia da fare.
Con uno stile semplice e concreto, Castaneda ci trascina in un mondo fantastico e terrificante……MAGICO.
I suoi detrattori sono stati tanti (come da copione).
Insigni studiosi che hanno totalmente trascurato un fattore poco trascurabile: il linguaggio.
Il linguaggio “costruisce” il mondo e determina le strutture logico-cognitive con le quali noi lo percepiamo.
Castaneda, da ottimo antropologo, è entrato TOTALMENTE nel mondo degli stregoni Yaqui, cercando di afferrarne la logica interna, lontanissima dalla nostra e difficile da comprendere…per lo meno con i normali mezzi percettivi.
La nostra cultura e il nostro linguaggio rendono difficile accettare come “reali” le esperienze raccontate nei diari-romanzi dell’ Autore, ma lo stesso termine “reale” ha valenze molto differenti a seconda della cultura in cui è usato.
In questi ultimi anni il movimento “New Age” sta generando molta confusione. Con “New Age” spesso intendiamo un gran calderone che contiene discipline diversissime tra loro, dallo Yoga alla floriterapia, dallo Zen allo shatsu e chi più ne ha più ne metta.
“A scuola dallo stregone” è uscito nel 1968, ventisei anni prima de: ”La profezia di Celestino”.
“E’ stato affermato che l’Occidente non ha mai prodotto nessuna via di conoscenza spirituale paragonabile al grande sistema dell’Oriente, ed è per questo che i libri di Castaneda hanno il valore di una vera e propria rivelazione.”
La Rizzoli ha ripubblicato tutta l’opera. Cominciate dall’inizio:
“A scuola dallo stregone”; “Una realtà separata”; “Viaggio a Ixtlan”

Al signor William Gibson dobbiamo tutti qualcosa.
Esistono autori che scrivono bei libri, alcuni che ci hanno dato capolavori, con personaggi entrati nel lessico quotidiano, a distanza di secoli. Poi ci sono alcuni che inventano, letteralmente, “mondi”, con regole proprie, personaggi propri, atmosfere proprie.
A Gibson dobbiamo termini quali cyberspazio, hacker, rete, microsoft (ebbene si!).
In un periodo in cui la fantascienza languiva, proponendoci logori duelli tra grandi astronavi, Imperi in procinto di crollare (al momento giusto), alieni insettiformi, ecco apparire “Neuromante”……e tutto cambia!
Niente alieni né viaggi interstellari. La vera guerra si combatte qui, sul nostro pianeta, in un futuro prossimo. L’arma, micidiale, che ci ritroviamo tutti tra le mani, è il PC, il campo di battaglia, la Rete.
Gli eroi di turno sono gli hackers, pirati informatici giovani, veloci, brillanti “cowboys” della consolle che riescono a violare qualsiasi database.
I “cattivi” vengono rappresentati dalle multinazionali con le loro agguerrite difese elettroniche.
I.C.E. sta per Intrusion Countermeasure Electronics ed è il peggior nemico dei cowboys.
Tra pochi anni collegarsi in Rete sarà un’esperienza omnisensoriale. Con un paio di cavetti da attaccarsi alle tempie saremo dentro di essa, nell’enorme flusso di informazioni, con tutto il nostro essere. Realtà Virtuale dunque, anche se tutto ciò che succede nel cyberspazio avrà effetti Reali nel fisico. Un ice può letteralmente bruciare il cervello dell’intruso.
Il mondo sarà diviso tra chi possiede informazioni e chi no. La merce più preziosa (ma a questo punto già ci siamo arrivati) è, appunto, l’ Informazione.
Gli eroi di Gibson sono mercenari al soldo ora dell’una ora dell’altra Compagnia, a seconda delle necessità. A volta il committente è la Yakuza, la potente mafia giapponese.
Quando non è collegato in Rete, il nostro cowboy è depresso e si muove in “agglomerati” metropolitani, dove l’atmosfera è sempre un po’ cupa, umida di smog, alla “Blade Runner”. Passa le serate in fumosi pub dove si ritrovano i “veterani” e si possono scoltare le loro incredibili imprese, alcune leggendarie.
In realtà Gibson non sta “inventando” proprio nulla, ma sta “semplicemente accelerando la linea di sviluppo del nostro presente, non riconoscendolo più come tale ma come passato prossimo”
Secondo Marshall McLuhan è il modo di comunicare che determina i cambiamenti epocali. La definizione “post industriale” non è più soddisfacente, ormai siamo entrati nell’era informatica e Gibson ne è il “cantore” più autorevole.
Tra entusiasti ed acritici apologeti come Nicolas Negrophonte e Cassandre apocalittiche come Neil Postman, il “nostro” è un sereno osservatore che ci dice: “Signori, questo è ciò che ci aspetta, prendetene atto e preparate le contromosse.”.
William Gibson è nato nel 1948 e vive a Vancouver.
Il suo primo romanzo “Neuromante” è il manifesto cyberpunk, ha vinto il premio Hugo e Nebula, pubblicato dalla “Nord”.
Nella Mondadori potete trovare la raccolta di racconti ”La notte che bruciammo Chrome” (da Johnny Mnemonic è stato tratto un film).
“Giù nel cyberspazio” , “Monna Lisa Cyberpunk”, “Luce virtuale”, “Idoru”, “American Acropolis”.
BUK

Cosa non si è detto di Charles Bukowski? Tutto ed il suo contrario.
Leggo da una quarta di copertina:”Pubblicò giovanissimo il suo primo racconto, ma fu talmente amareggiato dall’infinita serie di rifiuti che seguirono da divenire alcolista.”
Assurdo! Buk beveva perché gli piaceva. Se mai è esistito qualcuno che se ne sia sempre veramente fregato dei giochini e delle mafiette editoriali, questo era lui.
Un vero outsider, coerente con sé stesso, lui scriveva “di” come viveva, semplicemente. Non ha mai ostentato nessun atteggiamento “bohemienne”, al contrario di tanti altri.
Non a caso, quando si parla di “beat generation”, il suo nome non compare mai.
E giustamente.
Senza nulla togliere ai grandi Keruack, Ginsberg, Ferlighetti etc., Bukowski era semplicemente un uomo che lottava ogni giorno per la sopravvivenza, tra bar malfamati e stanze di quart’ordine in affitto.
Scrivere della VITA, la vita REALE, gli veniva facile, per sua stessa ammissione
Ho amato Henry Chinaski ( lo pseudonimo di ogni racconto).
Ho amato lo scrittore, così autentico, nelle descrizioni, così “nudo e crudo”.
Ho amato un UOMO con un’anima immensa, di una sensibilità oltre ogni confine.
E’ stato tacciato di misoginia. Il solito equivoco di qualche critico impotente, o di qualche femminista analfabeta.
Lui AMAVA le donne come pochissimi uomini sanno fare. Le amava con dedizione e trasporto, con la passione che lo ha sempre contraddistinto; una passione tanto più VERA perché “fisica”.
E’ stato detto del suo scarso impegno politico-sociale.
Tutta la sua opera è centrata sugli emarginati, quelli reali; i tanti, troppi clochards che si barcamenano nelle metropoli. Lui ERA uno di loro e con loro condivideva difficoltà, sofferenza, emarginazione. Più di una volta si è lasciato andare a considerazioni sulla “condizione del genere umano” e, da buon individualista, ne ha tratto le logiche conseguenze: nessun “riscatto collettivo”, uno “status quo” solido e ben difeso, l’umana idiozia al fondo di tutto.
C.B. nacque ad Andernach (Germania) nel 1920, ci rimase fino all’età di tre anni, poi l’America.
“Storie di ordinaria follia”, “Compagno di sbronze”, “Taccuino di un vecchio porco”,
“Musica per organi caldi”, “Panino al prosciutto”, sono alcune raccolte di racconti che hanno scandalizzato tanti ed entusiasmato moltissimi, soprattutto in Europa.
“Post office”, “Factotum”, “Donne”, alcuni dei romanzi.
Da segnalare “Hollywood”, nel quale Buk “…non parla di sesso ed è pacificato, ma non per questo è meno abrasivo nel suo orrore per l’ingiustizia e la violenza…..” parole di fernanda Pivano alla quale dobbiamo la “scoperta italiana” del grande scrittore.
A tutto ciò vanno aggiunte le numerosissime raccolte di poesie.
Bukowski è morto nel marzo del 1994.