
Lo storico incontro di Anchorage fra Vladimir Putin e Donald J. Trump presenta svariati elementi simbolici e, fra le righe, difficilmente notabili dalla stampa di Sistema, con il suo materialismo, economicismo e storicismo. D’altronde, per chi, come il sottoscritto, abbia una visione non meramente meccanica e positivista della Storia, non tutti i segni sono avvertiti dagli stessi agenti protagonisti.
Innanzitutto, l’Alaska: sarà pure risaputo che la Russia la vendette agli USA, ma meno si comprende che fu il segno, grazie anche all’insistente affarismo americano, che gli USA non osarono sottrarla manu militari alla monarchia russa, in una guerra dall’esito tutt’altro che scontato.
L’applauso di Trump a Putin, che ha imboccato la protocollare guida rossa e tende la mano diversi secondi prima del contatto fisico (e di una stretta davvero cordiale), dà la misura di un incontro fortemente voluto dal presidente USA. Si tenga inoltre presente la nota germofobia del tycoon, per cui le strette di mano non sono particolarmente amate.
L’infilarsi di Putin nell’automobile presidenziale è abbastanza inedito nel protocollo di qualunque visita di Stato e simboleggia il cammino comune dei due statisti, se non del popolo russo accanto a quello americano. Comunque sia, la cordialità degli ospitanti è stata superiore a quella di qualunque altro incontro, e ha fatto imbestialire non solo gli ucraini, ma anche gli europeisti che faticano a nascondere la propria rabbia (che l’ineffabile Calenda invece sfoggia a mezzo social).
La via dell’assetto postbellico, impietosamente, riguarda l’Europa ma non passa per l’Europa. Certamente una forma di coinvolgimento dell’eurocrazia vi sarà, ma più per l’esigenza politica americana di non umiliare troppo l’UE che per una reale necessità negoziale.
D’altronde, ad Anchorage si è arrivati non certo per l’appoggio all’“aggredito contro l’aggressore”, ma piuttosto e semplicemente per l’elezione presidenziale di Trump.
Ma non ci avevano detto che “divisi non si va da nessuna parte”? Ad applaudire Trump, preso atto che per la Russia si è investito troppo poco nel cambio di regime, e che in tre anni e mezzo essa non ha ancora perso la guerra, lo si poteva fare anche fuori dalla UE, come infatti sta facendo la Gran Bretagna.
Infine, la stampa: né Putin né Trump hanno spiccate simpatie per i media mainstream, che li hanno sempre trattati tendenzialmente in modo criminologico il primo e psichiatrico il secondo. Che impressione, vederli fare le proprie comunicazioni l’uno dopo l’altro e non accettare alcuna domanda, neanche da chi proveniva da ore e ore di volo.
Il gesto beffardo di Putin appena atterrato (la mano all’orecchio), anche se, secondo me, sincero per il rombo dei motori di più aerei (enormi), racchiude la profonda crisi di credibilità e autorevolezza dell’informazione.
A. Martino