
“Acuto e impegnato analista della società, al centro del suo lavoro vi è sempre la dimensione etica e la dignità della persona umana .
In particolar modo, Baumann concentra la sua riflessione sul tema della globalizzazione: scrive di un mondo divenuto oramai irrimediabilmente “liquido”…ma che significa questo?
Significa che, mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente.
Dunque, nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire ingabbiati; le influenze non mancano anche nel mondo politico: difatti ora non si cerca più di costruire il “mondo perfetto”, seguendo un rigido e predeterminato sistema politico, forte di una consolidata ideologia, come era nel passato…
A quanto sembra, Bauman condivide la tesi di Lyotard circa la caduta delle metanarrazioni, anzi la utilizza in certo qual modo come nucleo del suo sistema, in quanto è proprio a causa della scomparsa delle “grandi narrazioni metafisiche” che ora si ha la “liquidità” come essenza stessa dell’attuale. Tuttavia, è importante rilevare che Bauman, a differenza di altri autori, rifiuta il termine “postmoderno” a favore di “modernità liquida”, proprio per indicare la labilità di qualsiasi costruzione in questa nostra epoca…
Infatti, alla prima fase della modernità, vale a dire quella solida”, apparteneva il tentativo di circoscrivere la posizione dell’individuo all’interno di leggi definenti la razionalità umana e inglobarle conseguentemente nel corpo dello Stato. Parallelamente, in questa fase, si assiste al tentativo di ripartire il Tutto entro un ordine misurabile…come dimenticare Galileo?
Attualmente, tuttavia, si assiste ad una progressiva crescita del processo di individualizzazione (punto cardine della fase “liquida”) che si pone in un rapporto dialettico con le strutture e la visione del mondo caratteristiche della fase “solida”…individualizzazione che si ricollega al processo di globalizzazione, di cui si parlerà tra poco.
Se, però, la modernità è “liquida”, esiste comunque, per il filosofo, qualcosa che rimane stabile, vale a dire il socialismo, che non sarebbe un modello alternativo di società, bensì “un coltello affilato premuto contro le eclatanti ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l’autoadorazione dei dominanti”, come Bauman dirà in un’intervista di Serena Zoli per il Corriere della Sera del 13 ottobre 1990.
A proposito di “globalizzazione”, la tesi di Bauman è che essa genera sostanzialmente delle differenze, esaspera quelle già esistenti col risultato di polarizzare ulteriormente la natura umana.
Il filosofo muove da un’indagine del legame tra la natura dello spazio-tempo e le organizzazioni sociali, per giungere all’analisi degli effetti che la compressione spazio-temporale produce sulla società contemporanea e sulle persone.
Non esiste più lo spazio, bensì il luogo, che è lo spazio capace di dare significato all’esperienza, definendo in particolare ambiti e dimensioni locali;quando lo spazio cessa di essere significante cessa conseguentemente di essere luogo, non definisce più, dunque, né ambiti né dimensioni locali, diventando mero spazio.
Come dice Bauman, la globalizzazione mina alla base la coesione sociale su scala locale, portando alla creazione di una “élite della mobilità” in grado di annullare lo spazio, di dare significati allo spazio, e capaci soprattutto di rendere lo spazio significante per se stessi…quasi che parte dell’umanità potesse attraversare il mondo e l’altra parte se lo vedesse passare davanti.
La coesistenza di questi due mondi, di queste due modalità di essere (delineate da Bauman nelle figure del “turista” e del “vagabondo”) trasforma il territorio urbano in una sorta di campo di battaglia per lo spazio.
Questa situazione è definita da Bauman “guerre spaziali”, le quali rischiano di diventare foriere di pericolose conseguenze a causa della disintegrazione delle reti protettive.
In particolare, nell’opera “Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone” (2001), il filosofo sviluppa la dialettica “globale/locale” che si è venuta ormai a creare attualmente…i “globali” fissano le regole del gioco.
Nel processo in atto, infatti, se la finanza e l’informazione da un lato uniformano il globo, dall’altro lato promuovono la differenziazione delle condizioni di vita di intere popolazioni; la globalizzazione, dunque come un “Giano bifronte”, che nel, momento stesso in cui unisce, divide e localizza, annullando le possibilità di azione di ampi strati sociali. Nel saggio, inoltre, il pensatore polacco identifica nella mobilità come il valore più grande della post-modernità…mobilità che, come detto poc’anzi, diviene anche un fattore di prestigio sociale.
Riguardo alla sfera politica, è da rilevare il fatto che essa continua a muoversi entro gli schemi delineati nella prima fase della modernità, vale a dire entro idee di dominio e controllo dello spazio fisico, di uno spazio ben definito e delineato, mentre l’economia, la “new economy” è in grado di spostarsi con velocità nettamente superiori grazie all’ausilio delle reti telematiche…il suo terreno è il cyberspazio.
Qual è il risultato? Mentre nella prima modernità vi era un rapporto di dipendenza reciproca tra capitale e lavoro, oggi invece il capitale è sempre meno legato ad un territorio.
L’azienda della fase “liquido-moderna”, a differenza della fabbrica fordista, proprio a causa della natura del capitale nell’era attuale, perde qualsiasi interesse nella tutela dei dipendenti, non avendo bisogno di uno spazio fisico ma essendo anzi svincolata da esso in special modo per quanto riguarda gli investimenti: può investire difatti ove si presentino le condizioni migliori, anche se a farne le spese, è necessario e doveroso sottolinearlo, sono i lavoratori stessi!
Nell’attuale mondo “liquido” vi è un ingresso ma nessuna via d’uscita, nel senso che chi è escluso lo resterà per sempre, e sarà condannato a vivere una realtà dove sono sospesi lo stato di diritto e tutto il complesso delle procedure previste dal welfare state.
Ancora, ricollegandoci a quanto si diceva circa l’orientamento politico attuale, c’è da rilevare come logica conseguenza, che lo stato-nazione ha aumentato le sue risorse al fine di garantire la sicurezza dei pochi privilegiati ammessi alla tavola dello sviluppo economico.
In conseguenza di ciò, si rileva tutta una serie di interventi militari fatti dalle potenze egemoni( o sarebbe forse meglio dire LA potenza egemone..?) allo scopo di respingere “oltre frontiera” le migrazioni dalle aree povere verso quelle più ricche…gli stati-nazione privilegiati si danno attualmente molto da fare non solo nell’ambito della “produzione di rifiuti”, bensì anche per quel che concerne il loro “smaltimento”…quali rifiuti?
Quelli prodotti dalla globalizzazione! Difatti per Bauman la distinzione tra politica interna e politica internazionale è una mera convenzione volta a legittimare (o mascherare?) le scelte dei governi locali e delle organizzazioni internazionali per smaltire questi rifiuti…non è un caso, come osserva argutamente il filosofo, che gli interventi militari nei Paesi esteri hanno alquanto il carattere di azioni di polizia, cosa confermabile appieno anche nella più recente attualità, del resto.
E dunque, per Bauman, il quale fa riferimento alle riflessioni di Agamben, tutta la massa dei diseredati, dei rifugiati, degli immigrati, dei “rifiuti” forma uno stato d’eccezione che in certo qual modo riempie il vuoto creato dalla crisi della prima modernità così bene descritta da Foucault come “società disciplinare”, volta cioè al totale controllo delle masse.
Che fare dunque? Per il pensatore polacco, la soluzione al problema non può che essere un ripensamento della politica del welfare-state, orientata su scala globale…però è doveroso tener conto che, se si vuole intervenire in questo “stato d’eccezione” si deve dare la parola, prima di tutto, a coloro che sono stati etichettati come “scarti umani”, cosa quanto mai lesiva nei confronti della dignità umana che ricorda troppo da vicino quanto fatto dai nazisti con gli ebrei.
In particolar modo, le nuove funzioni riguardano la gestione dei “campi di permanenza temporanei” (luoghi pensati per far fronte all’emergenza immigrazione) ma anche l’amministrazione del mercato del lavoro in base al principio della flessibilità o, per meglio dire, della precarietà.
Unitamente a ciò, lo Stato si occupa di creare specifiche politiche di pervasivo controllo sociale.
Ad ogni modo, Bauman, nei suoi testi, non fornisce ricette: si limita soltanto ad analizzare la situazione lucidamente e criticamente, mosso principalmente dalla speranza di informare. Anzi, formula un suo vivo desiderio, ossia quello che si costruisca una “comunità” di individui mossi da un’etica comune e, soprattutto, responsabilizzata
Impresa tuttavia molto difficile, visto l’attuale stato di cose…