
Le radici dell’odio? Per Freud l’odio è paura dell’altro, oggettivazione di una insicurezza primordiale nei confronti del “perturbante”, di ciò che può mettere in pericolo la propria condizione, il relativo privilegio, la cortina con cui l’umano si proteggere da trauma, angoscia, pulsioni che non sa gestire.
Salvini addita “giovanotti palestrati” con la pelle nera, suggerendo che siano loro gli stupratori. Anche se la gran parte degli abusi sessuali si compie, in Italia, nella sfera della famiglia e degli affetti. Nel Mein Kampf, “l’altro” è l’ebreo. Debole per natura secondo Hitler, e che per questo mente, manipola, cerca di controllare il mondo. In modo simmetrico, Netanyahu pretende che ogni palestinese metta in pericolo la sicurezza di Israele. E che chiunque non sia d’accordo -persiani, europei, nazioni unite- sia antisemita. Per Charlie Kirk, vittima d’odio, il privilegio bianco era “menzogna razzista”. E tutto quello che detestava -omosessuali, transessuali, aborto, migranti- un’arma scagliata dalla “cultura marxista” contro l’America. Per Putin, democrazia e tolleranza sarebbero il virus che porta l’Europa al declino e il brodo di coltura dei “nazisti” per i quali l’Ucraina non sarebbe russa.
Per Giorgia Meloni è vero l’opposto. La sinistra odia. Odia famiglia, patria, religione. Con disprezzo chiama “fascista” chi non se la senta di condannare i neofascisti degli ani ‘70, responsabili -secondo tante sentenze- di orribili stragi. Eppure, dal settecento, la sinistra sostiene valori universali. Che gli uomini siano uguali, le razze un’invenzione, che tutti abbiano diritto alle cure, allo studio, al rispetto del proprio corpo e della dignità; anche in carcere. Però Meloni replica che la sinistra e Odifreddi facciano differenza tra le vittime d’odio. Per cui Martin Luther King sarebbe un martire mentre Charlie Kirk se la sarebbe cercata.
Io penso che le vittime d’odio meritino uguale rispetto. I bambini di Gaza come gli ostaggi di Hamas. I fratelli Mattei come Duccio Galimberti. Charlie Kirk come Rudi Dutschke Ma che le idee non siano niente affatto simili. Il comunismo minacciava la proprietà, ma predicava l’uguaglianza degli uomini. Il nazismo arricchiva i Krupp, ma sterminava ebrei, rom, avversari politici. Alexandra Ocasio Cortez, o il candidato sindaco a New York, Mandani, denunciano il potere degli oligarchi alla tavola di Trump -Jeff Bezos, Mark Zukerberg, Sandor Pichai, Sam Altman, Patrick Soon-Shiong- ma difendono i giovani che si sono dovuti indebitare per studiare, i migranti sfruttati, le minoranze razziali e sessuali. Netanyahu viola il diritto internazionale -di Libano, Iraq, Yemen, Siria, Iran, Qatar- e il diritto dei palestinesi a vivere liberi nella loro terra. Guterres e Sanchez difendono il diritto degli Stati. Anche Xi Jinping dice di difenderlo.
Dunque, se è giusto provare pietà per Mussolini e Petacci appesi a testa in giù, per Maria Antonietta mandata alla ghigliottina, per le innumerevoli vittime di Stalin, non possiamo che dividerci sulle idee. Perché talune giustificano l’odio, lo usano come arma. Altre provano a eliminarne le radici, riconoscendo a ogni uomo la stessa umanità. Però è vero che l’odio prevale a volte anche tra chi lo condanna a parole. Ricordo uno slogan odioso dei miei 20 anni: “Faremo più rosse le nostre bandiere col sangue delle camice nere”. Che idiozia. Molti dei fascisti, miei coetanei, erano anch’essi vittime della violenza e del furore ideologico. Ricordo Francesco Mangiameli. Cominciò provando trasformare la protesta degli studenti in movimento corporativo, divenne picchiatore davanti alle scuole, finì nel buco nero dei neofascisti reclutati per la “strategia della tensione” e pare sia stato ucciso dai suoi stessi camerati. Il suo sangue era rosso come il mio, come quello dei partigiani e dei giovani che si fecero “repubblichini” in odio al tradimento del Re Imperatore.
Quando scrivo che la sinistra deve accettare “la sfida della guerra civile”, la sfida portata al mondo, al diritto e alla pace, dal montare in America di una “rivoluzione reazionaria”, o di un “fascismo libertario” come lo chiama Slavoy Zizek, affermo che è necessario rifiutare l’odio per i migranti, per chi difende i palestinesi, per le minoranze etniche e razziali, per chi si spende per i poveri, per il diritto alla cura, contro la pena di morte, la tortura e la libera circolazione di armi da guerra. E che per farlo bisogna punire il “free speach”, quando si trasformi in crimine come nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 202 e nel tentativo di colpo di stato in Brasile, costato a Jair Bolsonaro una condanna a 27 anni. Bisogna gridare che è giusto difendere il Tribunale Penale Internazionale, che ha inquisito il serbo Milosevic e messo in carcere il kossovaro Taçhi, che ha chiesto l’arresto per “crimini di guerra e contro l’umanità” di Netanyahu e di Putin.
Sia chiaro, non escludo che possa venire il momento di difendersi e difendere la libertà dalla violenza della guerra civile ordita dalle destre. Come venne per i partigiani. Ma il fine non sia mai rispondere all’odio con l’odio. E il mezzo non sia il terrore, né la strage di innocenti né l’assassinio del simbolo.
Il terrorismo di Stato, in primis quello di Israele, non si vince sparando nel mucchio e neppure “colpendone uno per educarne 100, come dicevano le Brigate Rosse. Lasciate questo orrore a Trump, che la eliminato Soleimani, a Netanyahu, a Musk che vorrebbe usare il controllo dello spazio come arma preventiva, alla Minority Report. Quell’osceno contemporaneo si combatte in terra, con un’idea più forte dell’Intelligenza Artificiale, la verità!