
«Il cavallo che usai nel Gladiatore si chiamava George. Molti anni dopo, durante le riprese di Robin Hood, l’ho incontrato di nuovo. Anche se in quel film mi era stato assegnato un altro cavallo, ho avuto l’occasione di passare del tempo con il mio vecchio compagno.»
Crowe racconta che quell’incontro gli fece tornare alla mente una frase di Liam Neeson: ci si può chiedere se un cavallo, dopo anni, ricordi davvero chi ha lavorato con lui. «Io credo di sì. Gli animali hanno una memoria straordinaria. È come quando torni a casa e il tuo cane ti riconosce subito: con i cavalli è lo stesso, con loro crei un legame che non si spezza.»
Il Gladiatore (2000) e Robin Hood (2010) erano passati dieci anni. «Quando mi sono avvicinato a George, l’ho salutato con un “Ciao George”. Lui ha abbassato la testa, si è avvicinato lentamente e ha appoggiato il suo corpo contro il mio petto, come se mi stesse riconoscendo. È stato un momento unico. Allora gli ho detto: “Abbiamo vinto un Oscar”. E vi assicuro che la sua reazione fu così calda, così genuina… come se avesse capito davvero.»
Secondo Crowe, i cavalli sono in grado di leggere le emozioni umane come nessun altro animale: dal tono della voce ai gesti, fino allo sguardo.