
Ammetto di avere una simpatia viscerale per Russel Crowe. Mi piace come attore, mi piace come essere umano e credo abbia un carisma che fa deflagrare lo schermo. Ma è anche vero che da anni non trova un ruolo all’altezza del suo magnetico talento. SLEEPING DOGS su Prime, molto visto dal pubblico, è un parziale ritorno alla qualità.
È un noir dal respiro sommesso, in cui il tempo si frantuma e la memoria diventa il vero campo d’indagine. Russell Crowe presta corpo e voce a Roy Freeman, ex detective afflitto da Alzheimer precoce, che viene coinvolto in una vecchia indagine rimasta sospesa: un omicidio archiviato troppo in fretta, una condanna ormai prossima all’esecuzione, e una verità che, forse, è sempre stata lì, solo sepolta nel silenzio.
Il film – tratto dal romanzo The Book of Mirrors di Eugen Chirovici – si muove tra flashback, appunti scarabocchiati, vecchie confessioni e manoscritti inquieti, componendo un mosaico narrativo volutamente frastagliato, dove ogni dettaglio potrebbe essere reale o distorto. La regia di Adam Cooper, al suo esordio, predilige toni spenti, una fotografia grigia e un incedere lento, quasi ipnotico, che si addice alla condizione del protagonista: un uomo che ricostruisce non solo un crimine, ma sé stesso.
Russell Crowe guida il racconto con una presenza solida, trattenuta, consapevole. Il suo Roy è fragile e ostinato, attraversato da sprazzi di intuizione e da un senso profondo di colpa. La sua vulnerabilità non lo rende meno efficace, anzi: lo trasforma in un investigatore più acuto, capace di vedere le cose da un’altra angolazione, proprio perché costretto a rimettere insieme i pezzi. Accanto a lui, Karen Gillan tratteggia una figura enigmatica, forse vittima, forse carnefice, mentre Tommy Flanagan regala qualche guizzo ruvido al suo ex collega dal passato oscuro.
SLEEPING DOGS non cerca il colpo di scena ad effetto, quanto piuttosto un’atmosfera, un ritmo, una progressiva discesa nel dubbio. È un film più contemplativo che incalzante, più interessato al peso della memoria che al clamore del mistero. Le suggestioni ci sono – dai riferimenti letterari alla sensualità trattenuta di certi rapporti ambigui – e anche se non tutto trova la sua piena espressione e a volte appara un po’ sfilacciato; resta il fascino di un’indagine interiore, condotta in uno spazio dove la mente vacilla e la verità, a volte, si manifesta nei vuoti più che nelle parole.