
La realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale”: basterebbe questo breve aforisma a mostrare tutta la profonda attualità de La società dello spettacolo, saggio del filosofo francese Guy Debord pubblicato per la prima volta nel 1967.
Debord, nel suo saggio, lesse in anticipo una tendenza ai suoi tempi sempre più strutturata nelle società ad economia avanzata: il parallelo avanzare della società dei consumi e di una nuova forma di opinione pubblica e intellettuale attivo al tempo stesso massificati e mercificati. In altre parole, la cultura di massa e, con essa, la formazione sociale di idee, costumi, opinioni politiche erano sempre più dipendenti dall’impatto giocato dai media più diffusi, in una fase in cui si andava consolidando la presa del mezzo televisivo.
Prima delle grandi rivoluzioni nella comunicazione dell’età contemporanea Debord colse che, in Francia, in Europa, nel resto dell’Occidente ogni aspetto della vita sociale aveva via via acquisito il carattere “separato” tipico degli spettacoli propriamente detti. Nei cui confronti la reazione dell’opinione pubblica è, chiaramente, più emotiva che razionale.
Debord intuiva la potenzialità che il medium televisivo offriva per irreggimentare dell’opinione pubblica, di canalizzazione del dissenso e del dibattito su questioni periferiche, triviali o su vere e proprie narrazioni, piuttosto che su confronti ideologici e politici.
La società dello spettacolo da lui narrata aveva come cantori i primi intellettuali “militanti”, portavoce del conformismo degli anticonformisti, padri del moderno mainstream progressista.