
– giunse 53 anni fa nelle sale italiche: “A Clockwork Orange – Arancia Meccanica” del visionario Stanely Kubrick, tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burges e pionieristicamente musicato col Moog da Wendy Carlos [Shining, Tron].
Un manifesto (Glam/Psichedelico/Pop-Art) audiovisivo che puntò una sovversiva, e ancora dannatamente attuale, lente su una società futura alienata dalla violenza, dall’apatia e dalla bestialità insite nel genere umano. Risultando ancora universale ed intramontabile nello stile, iconico nei look e nella caratterizzazione dei personaggi, nei dialoghi, nell’immaginario e nei messaggi che veicola.
Esibendo e affrontando le inquietudini giovanili ignorate ed incomprese dai più che si traducono poi nel desiderio carnale, nel possesso, nella volontà di imporsi sugli altri e la ricerca dello sballo.
Fino all’ipocrisia sia di certi ambienti familiari, sia delle istituzioni che promuovono un condizionamento sistematico del pensiero che però non risolve davvero i problemi né aiuta i soggetti che gli vengono sottoposti, poiché annulla il loro libero arbitrio e mette a tacere chi gli si oppone.
Come per lo scrittore inizialmente seviziato assieme alla moglie dal protagonista e i suoi drughi, che una volta scoperta l’identità di costui ormai reso inerme, cerca di sfruttarlo per criticare il sistema e lo tortura per vendetta.
Per poi chiudere in bellezza con lo spiazzante finale dove il protagonista contuso ma nuovamente padrone di sé, si rende conto di poter sfruttare la reintegrazione e l’attenzione mediatica derivata dal suo caso per i propri interessi.