
Scrive Debord: “Lo spettatore più contempla meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio”. Il marchio Ferragnez è la più riuscita delle profezie di Andy Warhol e Guy Debord. Il “fenomeno Ferragni” è la vittoria simbolica del nulla, dell’assoluta mercificazione del corpo e delle emozioni, che si riflette nel nulla collettivo. La vacuità degli occhi azzurri dell’influencer e la vacuità degli occhi multicolori dei milioni di follower che la venerano e la arricchiscono, si riconoscono come parte di uno stesso fenomeno: il raffinato frutto delle vette più alte del neoliberismo e del processo di decerebrazione in atto da un secolo. “Ciò in cui non è riuscito il fascismo – diceva Pasolini – e’ riuscito il consumismo”. Warhol girava con la macchina fotografica davanti agli occhi (era il filtro per guardare il futuro) e profetizzava un mondo fatto di immagini, ripetizioni e di non-vita. Il problema odierno – che ha investito l’influencer italiana – non è il pandoro e neppure l’uovo di cioccolato (che sono puntine dell’iceberg) ma lo strumento di propaganda delle merci che miete milioni di giovani vittime (XYZ) senza strumenti critici. È la morbosità del pubblico imbelle alla ricerca di identità che ambisce a somigliarle: una dea immortale e irraggiungibile senza sangue e senza pensiero critico. Ma lei indossa brand inarrivabili tra oggetti di lusso in ambienti profumati e ricchi e, oggetto tra gli oggetti, dispensa anche lezioni di femminismo. L’ondata di odio che la travolge oggi è l’altra faccia dell’adulazione. Personalmente credo sia una vittima del meccanismo che lei stessa ha messo in piedi. “Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso” ancora Debord. L’umanità ha scelto irrevocabilmente di vivere un mondo inesistente privo di vita separandosi per sempre da sé stessa e dalla terra.