
DOBBIAMO DIFENDERE LE VETRINE! “BISOGNA DIFENDERE LA SOCIETA’”
di Lavinia Marchetti
In Italia pare esserci una religione profana che considera intoccabili le vetrine di banche e negozi: il giorno stesso del corteo qualsiasi rottura di vetri scatena immediata ”indignazione a valanga”. Non importa che migliaia di manifestanti pacifici abbiano bloccato autostrade, uffici e porti per solidarietà; quel che conta è “E se la rompessero al tuo negozio?”. Beh si in effetti Lo conferma l’aria di questi giorni: partiti e opinione pubblica riversano tutta la loro ira sui teppistelli (spesso infiltrati sistematicamente, così la Meloni, che mai ha speso parole su decine di migliaia di morti, possa tuonare contro la “sinistra”? Era sinistra poi? O persone a cui non hanno ancora estirpato l’anima?) che hanno fatto danni minimi, derubricando tutto il resto come comodo corollario. È una dinamica da italiano medio: piagnone se chi fa il proprio dovere non risolve subito i problemi, ma ferocemente vendicativo se gli stessi lavoratori manifestano per un obiettivo alto. Siamo la “brava gente” che suole lamentarsi di tutto, è vero… ma non sopporta di vedere qualcuno fare qualcosa (anche in un giorno di sciopero nazionale!) senza avere prima l’ok dei benaltristi di turno. In questa psicologia, le vetrine brillano come un feticcio: difenderle diventa urgente, ben più delle vite altrui.
A Genova 2001 ero una ragazzina. Leggevo, senza capire fino in fondo, delle violenze di Bolzaneto, della Diaz, di anziani e pacifisti massacrati, delle torture nelle celle. Ricordo bene però l’ossessione dell’Italia intera, quella brava gente che si lagna se nessuno fa niente e poi condanna come terrorista chi osa muoversi: le vetrine.
Oggi avrei potuto raccontare delle centinaia di migliaia di persone che il 22 settembre hanno paralizzato il paese intero, riportando in vita due valori che sembravano scomparsi: la piazza e la solidarietà. Da Roma a Bologna, da Torino a Napoli, da Palermo a Trieste: ovunque manifestazioni enormi, pacifiche, oceaniche. decine di migliaia a Roma, Bologna, Napoli, Torino,Trieste, Milano, migliaia a anche a Catania, Pisa e tantissime alte città, più di 80. Numeri che non si vedevano dai cortei contro la guerra in Iraq. Un’Italia che, almeno per un giorno, ha ricordato a sé stessa di non essere solo una somma di individui inerti e benaltristi, ma un corpo collettivo capace di muoversi.
Si poteva parlare di genocidio, di come l’orrore quotidiano di Gaza sia entrato finalmente nelle nostre coscienze, al punto da spingerci in strada. Alcuni lo fanno da mesi, altri hanno trovato il coraggio solo ora. Ma il bilancio, per un paese di ignavi, resta straordinario: ottanta città ferme, blocchi autostradali, porti e stazioni occupati, cortei fitti di giovani e lavoratori.
Eppure, no: le vetrine! Per l’italiano medio che osserva dal divano esiste una religione intoccabile. “E se la rompessero al tuo negozio?” è il suo mantra, più sacro della vita umana. E allora eccolo il bilancio che conta: due vetrine rotte (di multinazionali) e qualche scritta sui muri. A Milano, la vetrata della stazione Centrale. Fine. Il resto è cronaca accessoria: una sessantina di agenti feriti, dieci arrestati, cortei deviati.
Mentre ovunque le autorità hanno scelto il compromesso, lasciando i manifestanti arrivare su superstrade o in prossimità delle stazioni senza incidenti, a Milano, città vetrina per eccellenza, dove la disuguaglianza sociale ha raggiunto livelli da terzo mondo, si è deciso il pugno duro. Guai se un manager perde il treno, guai se un dirigente arriva in ritardo a una riunione. E così si è preferito lo scontro: manganelli, cariche, fermi. I giornali hanno risposto con la solita litania: valanghe di titoli su quelle vetrine, su un paio d’ore di ritardo dei treni (come se non fosse la norma). La “violenza” ridotta a due vetri scheggiati e qualche slogan con la bomboletta (che poi chi lo fa, misteriosamente non viene mai preso) a cui si è risposto con cariche, fumogeni, come se fossimo in un teatro di guerra, per poi lamentare feriti tra gli agenti (ma miracolosamente nessuno tra i manifestanti). Le prime pagine dedicate al vetro infranto, mentre centinaia di migliaia di persone scendevano in strada gridando contro un genocidio. La psicologia dell’italiano medio è questa: si può sopportare la distruzione di un popolo intero, ma non una vetrina di Zara. La religione delle vetrine, il law & order della solita italietta borghese e un po’ mafiosa, è l’unica che questo paese rispetta. Tutto il resto, la piazza, la vita, la giustizia, è materiale di scarto