
Dargen D’Amico e Ghali fanno parte di una generazione profondamente impolitica, poiché cresciuta in una società progressivamente sempre più spoliticizzata e riempita di consumismo e di spettacolo, ed abituata a concepire la politica soprattutto quale ambito di rivendicazione e garanzia di diritti civili e libertà individuali. È una generazione che non coltiva la cultura dello scontro con il potere (quello vero al giorno d’oggi, s’intende: non certo quello dei preti e dei “bacchettoni”, per intendersi), proprio perché chi tira i fili del sistema capitalistico occidentale ha oggi costruito intorno ai giovani una meravigliosa gabbia dorata fatta di consumo e intrattenimento.
Chissà se sono consapevoli, fino in fondo, della profondità, del peso e delle implicazioni per il loro futuro personale delle parole pro-Palestina sul palco della principale manifestazione musicale, seguita da decine di milioni di italiani, di una delle principali colonie statunitensi nonché di uno dei Paesi su cui la presa dell’oligarchia israeliana è fortissima. È questo uno dei momenti in cui la “leggerezza” degli artisti contemporanei più giovani, spesso alla ricerca di consensi facili nel pubblico per accrescere la propria visibilità personale (non voglio dire che sia questo il caso: voglio dire che questa è la mentalità oggi diffusa tra gli artisti-influencers), gioca a favore delle forze del cambiamento politico.
P.S. A volte, se non ci ricordassimo che viviamo nel “Paese di musichette, mentre fuori c’è la morte” (cit. Boris), bisognerebbe essere increduli di fronte ad un sistema mediatico che, dopo le giuste tiritere sull’atrocità della banalità del male dei nazisti che non si deve ripetere mai più, passa al messaggio che la visibilità non deve essere utilizzata per sensibilizzare le persone su questioni politiche importanti. “Sisì, laggiù stanno morendo 30.000 persone sotto le bombe, ma non ci dobbiamo pensare”
P.P.S. Ghali e D’Amico sono artisti, e oltre alla sensibilizzazione del pubblico non gli si può chiedere molto di più. Dovrà essere l’organizzazione politica a dare una bella scossa al mefitico sistema di potere esistente in Italia, in cui la lobby israeliana occupa posti di rilievo ed è quindi in grado di controllare e influenzare l’operato di rappresentanti istituzionali, politici e lavoratori del settore mediatico (nonché controllare e influenzare la selezione del personale politico, istituzionale e giornalistico che raggiunge le posizioni di potere). A Ghali e D‘Amico, e ai tanti giovani che li seguono, deve andare la promessa che arriverà il giorno in cui la lobby israelo-statunitense non sarà più in grado di determinare il destino dell’Italia, a braccetto con quell’èlite italiana che sostiene (e ne riceve laute ricompense in cambio) l’imperialismo Usa e che, tra le altre cose, è la cabina di regia di Sanremo. Ne va della democrazia e della libertà politica nel nostro Paese; è in gioco il nostro futuro.