
Chi ha detto che il nulla è niente? Chi ha detto che il nulla è zero? Basta leggere e rileggere Emil Cioran per comprendere che il nulla è tutto ed è per tutti. Non a caso “Il nulla per tutti. Lettere ai contemporanei”, a cura di Vincenzo Fiore, edito da Mimesis, è l’ultimo gioiello di una delle menti più profonde e autentiche del secolo scorso. Scrivo di autenticità e non di grandezza, poiché aveva ragione Aldo Masullo, quando sosteneva: “Io non amo mai valutare poeti, filosofi, scienziati come ‘grandi’. La vita della mente, o quella che una volta si chiamava vita dello spirito, è qualità, non è quantità. La categoria che amo utilizzare quindi non è la grandezza ma l’autenticità, che vuol dire la serietà dell’esser fedeli al proprio autòs, a quel che dentro ci incalza con una sola, ma decisiva domanda: insomma il non lasciarsi sedurre, fuorviare, dalle domande di moda, senza importanza, che dall’esterno ci raggiungono. L’umanità dell’uomo autentico è l’umanità di Cioran, che perciò è stato un filosofo non grande, ma autentico”.
La stessa autenticità (e grandezza) emerge da queste pagine, da queste lettere, prova di una mania epistolare che mira a raggiungere Beckett e Jünger, Marcel e Schmitt, Wiesel e Yourcenar, Zambrano, De Benoist e tanti altri. Proprio al fondatore del movimento “Nouvelle Droite”, uno degli alfieri di reazionari e conservatori, Cioran scrive il 18 novembre 1979: “La svolta storica alla quale stiamo assistendo è talmente decisiva che le vecchie categorie di destra e sinistra mi sembrano superate. Possiamo ovviamente servircene occasionalmente e per comodità, ma in fondo esse non fanno altro che eludere l’essenziale. Mi ha chiesto perché non mi uccido; potrei a mia volta chiederle perché lei condivide determinate chimere (la parola è sua) sino al punto di proclamarle, di organizzarle in corpo di dottrina. Più penso al futuro, meno capisco come si possa aderire a qualunque cosa”.
Avete letto bene? Il 18 novembre 1979! E da noi, e in giro per il mondo, c’è chi continua stupidamente ad accapigliarsi, nel 2024, su destra e sinistra. La libertà di Cioran e il fuoco ardente che lo divorava non gli consentivano perdite di tempo.
Scrive Fiore, che ha curato magistralmente il testo: “Molte delle lettere qui raccolte sarebbe riduttivo definirle lettere. Siamo di fronte a veri e propri stralci di letteratura, piccoli saggi lirici dove emergono lo stile, la rassegnazione, l’ironia, il cafard e lo scetticismo dissacrante dell’autore romeno. (…) Questo viaggio attraverso la corrispondenza con alcuni dei grandi filosofi, scrittori e artisti del secolo scorso o anche con persone che sono state fondamentali nella vita del pensatore di Rasinari, rischia di generare nel lettore la stessa fascinazione che le epistole di Madame du Deffand suscitavano su Cioran stesso”.
C’è un aforisma, di Werner Helwig, che entrò nel cuore di Cioran: “Non so per quanto tempo farò ancora uso di me stesso”. Nel 1989, sei anni prima di andarsene, scrisse a Vincent La Soudière: “Bisogna guardare le cose in faccia: sono vecchio, e questa è un’umiliazione costante. Niente più progetti, niente più voglia di viaggiare, più niente. È ovviamente saggezza, ma la saggezza è una riduzione e praticamente una sconfitta”.
Ecco di nuovo il niente e il tutto, il niente come tutto. L’esistenza cioraniana, per dirla ancora con Masullo, equivale al tormento. L’individuo è solo. Assolutamente solo. E l’inconveniente di essere nati non è soltanto un magnifico titolo di un libro disperato e struggente, ma è anche e soprattutto il suono di una condanna.