
Durante un mio soggiorno in Giappone una cosa mi ha lasciato molto sorpreso.
Un giorno, parlando con il professor Yamamoto, mio collega, gli chiesi:
— Quando celebrate qui la Giornata dell’Insegnante?
Lui mi guardò con un sorriso gentile, quasi divertito dalla mia domanda, e rispose con calma:
— Qui in Giappone non abbiamo un giorno speciale per questo.
All’inizio rimasi perplesso. Mi sembrava strano che un Paese così avanzato nella scienza, nella tecnologia e soprattutto nell’istruzione non avesse pensato a dedicare una giornata agli insegnanti.
Col tempo, però, ho capito.
In Giappone il rispetto per i maestri non si concentra in una data sul calendario. Si vive. Ogni giorno.
Ricordo un pomeriggio in metropolitana, all’ora di punta. Io e Yamamoto eravamo schiacciati nella folla. A un certo punto, un anziano si alzò e mi offrì il posto. Esitai, sorpreso. Più tardi chiesi a Yamamoto perché fosse accaduto.
— Forse ha notato il tuo tesserino da insegnante — mi disse. — Qui la figura del maestro è molto rispettata.
Non era solo cortesia. Era cultura.
Non era un gesto di educazione. Era una forma di reverenza.
Un altro giorno, mentre cercavo un regalo per la famiglia di Yamamoto, mi portò in una semplice libreria. Al momento di pagare, mostrò la sua tessera da insegnante e ricevette uno sconto. Nessuna pubblicità, nessuna frase ad effetto. Solo un riconoscimento naturale e silenzioso.
In Giappone, gli insegnanti non hanno bisogno di essere chiamati sul palco una volta l’anno per ricevere applausi o fiori.
Hanno qualcosa di molto più prezioso: il rispetto quotidiano di un’intera società.
Diventare insegnante lì è considerato un traguardo tra i più onorevoli. La selezione è rigorosa, gli standard sono altissimi, l’etica è imprescindibile. Non tutti ci riescono, non tutti ci provano.
E forse è proprio per questo che in Giappone non esiste la Giornata dell’Insegnante.
Perché in un Paese dove il maestro è onorato ogni giorno, un giorno soltanto sarebbe troppo poco.
Anzi, quasi superfluo.