
Se ascoltate le principali radio commerciali italiane, vi accorgerete senz’altro che alcune canzoni vengono trasmesse con una cadenza pressoché matematica, a volte anche una volta all’ora. È quindi evidente che la programmazione musicale ha poco a che fare con una linea editoriale di carattere artistico ma ha molto a che fare con dettami di natura economica: paghi, ti passo il pezzo, il pezzo viene assimilato dalla massa, diventa una hit e tu guadagni.
È lo stesso principio che si applica con la pubblicità. Non importa se lo spot sia bello o brutto, l’importante è che rimanga in mente e che passi frequentemente. Più lo spot passa frequentemente più la pubblicità funziona. Sono meccanismi sociologici elementari, che possiamo capire tutti ma di cui tutti siamo in qualche modo vittime, condizionati nelle nostre scelte, negli acquisti e, alla fine, anche nel nostro modo di pensare.
Se appena accendi la televisione o la radio senti parlare di guerra, costantemente, sistematicamente, il primo effetto che ricevi è la percezione della paura, di un pericolo incombente. Se poi questo parlare mostra un’unica interpretazione, un’unica analisi, sarà quell’analisi a diventare la tua, a diventare quindi l’analisi condivisa dalla maggioranza della popolazione.