
Anzi tre canzoni.
Il secondo lato di Abbey Road è un lungo medley. L’idea, ovviamente, è stata di Paul McCartney. Avevano tante canzoni incompiute e un disco da finire, in una sorta di grande operazione di riciclo pensò che si potevano unire insieme, farle sfumare l’una nell’altra. Senza questa magia Abbey Road non sarebbe mai nato o comunque non sarebbe il grande album che è diventato.
Questo terzetto però è un’eccezione. O meglio Golden Slumbers e Carry that weight lo sono. Perché Paul McCartney le scrive immaginandole da subito come un medley. La prima parte nasce da un brano tradizionale del 1600. Una ninna nanna scritta da Thomas Dekker per un’opera teatrale. Lo spartito stava vicino al pianoforte di famiglia (il padre di McCartney era un musicista) ma, ha raccontato Paul, lui non sapeva leggerlo, quindi aveva “rubato” un pezzo del testo e si era inventato una musica nuova.
Il resto – l’orchestra di 30 elementi e la partitura scritta da George Martin – ne fa un classico dei Beatles. Se Golden Slumbers è stata scritta da Paul tornando a casa dal padre per disintossicarsi dalle tensioni del gruppo, anche Carry that weight è figlia degli stessi tormenti. L’idea del fardello da portare potrebbe anche venire dalla canzone della Band, The Weight, uscita l’anno prima, ma si tratta di un peso tutt’altro che metaforico, sono le liti all’interno del gruppo, il disastro della Apple e tutto quanto. È la fine che si avvicina e, col senno di poi, forse anche il peso dell’essere stato uno dei Beatles, con cui tutti e quattro dovranno fare i conti a lungo, durante le loro carriere soliste. La voce di Ringo Starr è dominante nel coro, al quale si aggiunge anche Lennon, che non suona niente perché ancora convalescente dopo un incidente in moto. Compaiono anche – perfetti per l’idea del “long medley” – due citazioni di You never give me your money, prima traccia del lungo collage di canzoni.
L’ultima canzone di questo terzetto viene aggiunta dopo. Il titolo originale era Ending, diventerà The End: l’ultima canzone dell’ultimo album dei Beatles (Let it be verrà assemblato “postumo” con canzoni incise prima di Abbey Road). Riff e poi il primo e unico assolo di batteria eseguito da Ringo. Ispirato, più o meno consapevolmente, a quello di Ron Bushy degli Iron Butterfly in In-A-Gadda-Da-Vida, Ringo – che odia gli assoli – si fa convincere solo dopo una lunga insistenza. Il punto è che i quattro stanno sostanzialmente registrando il loro addio: è l’equivalente dell’inchino finale al pubblico. Dopo Ringo, tocca infatti a Paul, George e John, che in quest’ordine si esibiscono a turno in un assolo di chitarra. Il gran finale è di nuovo di Paul (e di George Martin, che realizza la partitura) con il verso che chiude idealmente la storia dei Beatles.