
Achille e la Tartaruga. Il paradosso che sfida il tempo
Davanti a lui, una tartaruga avanza lenta, ma con un piccolo vantaggio.
Ogni volta che l’eroe greco riduce la distanza, la tartaruga è già un passo più avanti.
Così, nel pensiero di Zenone di Elea, Achille non la raggiungerà mai.
Un paradosso nato duemilacinquecento anni fa, eppure così profondo da mettere in crisi filosofi, matematici e scienziati fino all’età moderna. Perché, in fondo, dietro questa corsa immaginaria si nasconde una domanda ancora più grande:
il tempo è continuo o fatto di istanti separati?
Contesto storico e filosofico
Zenone visse nel V secolo a.C., nella colonia greca di Elea, nell’Italia meridionale. Fu allievo e difensore del filosofo Parmenide, il quale sosteneva che il movimento è solo un’illusione dei sensi. Per dimostrare che il “divenire” è impossibile, Zenone inventò una serie di paradossi logici: Achille e la tartaruga, la freccia immobile, lo stadio, la dicotomia. Non voleva ingannare, ma provocare. Costringere la mente a riflettere sui limiti della percezione umana.
Il cuore del paradosso
Immagina Achille e una tartaruga che partono in corsa.
La tartaruga ha 10 metri di vantaggio.
Quando Achille percorre quei 10 metri, la tartaruga ne ha già fatti uno.
Quando Achille percorre quell’uno, la tartaruga è avanti di un decimo… e così via, all’infinito.
Ogni volta che Achille raggiunge la posizione della tartaruga, lei non è più lì.
Quindi, dice Zenone, Achille non la raggiungerà mai.
È un argomento perfetto, logico, ma paradossale.
La corsa sembra infinita, eppure nella realtà Achille la supera in pochi istanti.
La spiegazione moderna
Bisognerà attendere oltre duemila anni per risolvere l’enigma. Saranno i matematici del Seicento, come Newton e Leibniz, a introdurre il calcolo infinitesimale, mostrando che la somma di infiniti intervalli può essere finita. La corsa di Achille è davvero composta da infiniti segmenti sempre più piccoli, ma il loro totale converge a una distanza finita. Il mistero era nella matematica dell’infinito, non nel movimento.
Eppure, anche risolto, il paradosso di Zenone conserva un fascino unico. Perché tocca il cuore del nostro modo di percepire il tempo, lo spazio, il pensiero stesso. Forse Achille e la tartaruga non corrono soltanto su una pista: corrono dentro di noi. Uno rappresenta la ragione che avanza, l’altra la mente che si allontana sempre un po’ più in là, in un inseguimento eterno tra logica e mistero.
Così, da 25 secoli, il filosofo di Elea continua a ricordarci che il mondo che vediamo non è sempre quello che è. E che, a volte, anche per raggiungere la verità, bisogna correre all’infinito.