
A CHE CAVOLO SERVE PREGARE?
-Monologo domenicale di JACK FOLLA-
Voi pregate? Io sì. Non sono un baciapile, ritengo la preghiera indispensabile per crearsi una muscolatura spirituale (anche l’anima vuole andare in palestra) ma attenti. Pregare non è elemosinare un aiutino, supplicando il Signore (poi perché il “Signore”? cos’è Lui, uno signorile, uno chic? Allora preferisco il dio padre e madre di noi burini qualsiasi). Dicevo, pregare non è raccattare divina carità, semmai è il duro contrario: donarsi. A chi? Non ha importanza, i nomi del divino sono tanti quanti noi gente sulla terra. Purché, però, si preghi l’altro da noi, e tutto ciò che di puro, immateriale e invisibile esiste oltre il nostro corpo fisico e la vitarella trullallera. In questo sacro fuoco d’amore lo spirito si forgia come una spada.
Pregare mi piace molto perché è lasciarsi vagare fra le stelle. Abbandonarsi e perdersi con la coscienza vigile, accesa, altrimenti vi addormentate e buonanotte. È matematico, funziona, l’ho sperimentato mille volte. A una condizione: il risultato è esatto come una teoria di Einstein se prego per te e non per me stesso. Quello lascia il tempo che trova. A meno che sia lui, il divino, ad avere fede in te. E ti accontenti, perché sa che in fondo non sei un egolatra come quasi tutti, ormai.
Molti commenteranno delusi: che sciocchezze, Jack! Può darsi. Ma anche non credere in niente è un’assoluta fesseria. Credenti e non credenti sono speculari come cacio e pepe. Io sono ateo e credente a giorni alterni, come le targhe nel centro storico. Ma l’intuito mi dice che, quando morirò, troverò me stesso ad aspettarmi dall’altra parte, e che le ultime parole di questa vita saranno le prime dell’altra.
Adesso prova a immaginarti se all’improvviso, per strada, la gente ti gridasse parole di disprezzo. Come ti sentiresti? L’odio non fa piacere a nessuno. Ma se quelle stesse grida non ti giungessero alle orecchie? se fossero solo pensieri di disprezzo della gente che incontri? Dirai: «In quel caso non c’è problema, non sono mica un mago. Non sto nelle teste della gente. Cavoli loro!» Certo, eppure credo che l’odio, questa potente preghiera a rovescio, ti colpirebbe comunque “a tua insaputa”, come sosteneva quel politico che gli era stata comprata una casa con vista sul Colosseo senza che lui ne fosse a conoscenza. Un caso miracoloso di corruzione invisibile.
E ora prova a immaginarti i tuoi affetti più cari, no, meglio ancora, pensa a perfetti sconosciuti raccolti in meditazione nelle loro segrete camerette, che spontaneamente ti rivolgono un profondo, potente, vibrante messaggio di guarigione, di gioia, d’amore. Tu dirai: «Non state a perder tempo, brava gente, tanto io non sento niente. Con me non attacca, non funzionaaa!». Tu, certo, non li hai sentiti pregare per te, consapevolmente almeno. Tuttavia, per tua e nostra fortuna, i centomila miliardi di cellule che ci compongono lo percepiscono eccome quel SMS del cuore, hanno le antennine più sensibili delle tue orecchie e delle mie, come gli elefanti, i lupi, i delfini, e ne ricevono un rigenerante beneficio. Poiché nell’etere i pensieri, maledicenti o benedicenti, viaggiano veloci come Frecciarossa prima che Salvini diventasse ministro dei Trasporti. Simili alle onde radio: tu non le vedi e non le senti, ma basta un clic e nella tua stanza ti raggiunge la voce di un dj di Radio Bora Bora.
Immagino quel che stai pensando: «Ehi Jack, ma invece di pregare per un altro, -ammesso e non concesso che costui ne ricavi un beneficio-, io avrei prima da risolvere alcuni problemini personali. “San Genna’? San Genna’, famme trova’ i soldi pe’ l’affitto, la rata del leasing, e pure per un weekendino a Capri con Pamela!”»
Figurati se non ti capisco, anch’io ne avrei valanghe di cosette da chiedere, ma la mia dogana dei desideri è molto stretta, ne lascio passare al massimo uno all’anno, perché i desideri ci ingombrano come valigie pesanti. Comunque, la ricetta di elisir spirituale rimane sempre la stessa. Modula il tuo pensiero sulle onde dell’amore incondizionato e invialo a lenire il dolore di un bambino di Gaza, per esempio, o prega perché la ferita pungente di un’amica tradita dal marito si trasformi in bene, dimenticandoti di te stesso, di Pamela e di Capri. E pregando metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi, come cantava Bennato in “Un giorno credi”.
Questo puro amore lanciato nell’universo, dopo aver fatto primavera negli inverni degli altri, troverà un modo inaspettato di ritornare da te e, chissà, anche di metterti su un aliscafo che ti porti ai faraglioni.
In tutto questo, c’è rimasta soltanto una piccola cosa che mi lascia perplesso: riguarda il nostro amato papa sofferente che mi auguro guarisca al più presto. Perché mai Francesco, che a me piace molto e rispetto, ci chiede continuamente di pregare per lui? Perché non si rivolge alla Casa Madre invece di appellarsi a noi figli squinternati? Forse Dio non lo ascolta? Sono sicuro di sì. Ma allora di che cosa ha paura? Di morire alla sua età? Non ci posso credere. Anche altri papi lo hanno fatto: “pregate per me”. Perché? Non sanno, forse, di essere immortali e, se sei credente, (se non lo è il santo pontefice, chi altri?) che la morte è uscire da questa stanza buia, da questo modesto inferno quotidiano della vita, solo per entrare in un’altra stanza più luminosa? Francamente non capisco. E poi i padri non chiedono mai ai figli di pregare per loro, o almeno io credo che non dovrebbero. Lasciamo ai figli almeno quest’ultima speranza: che noi padri e madri preghiamo per loro e li sosteniamo fino all’ultimo respiro. È una legge di Madre Natura. Quindi se il santo padre chiede di pregare per lui, ci mancherebbe altro, io lo faccio subito, ma o sono io che non ho capito una cippa di Gesù, oppure sulla preghiera la pensiamo in modo diametralmente opposto.
Pregare non è chiedere, ma dare. Pregare è indossare un altro dentro il nostro sé, avvolgerci il cuore col suo profumo e lenire il suo dolore. Pregare, -come diceva lo slogan di quella vecchia pubblicità maschilista-, è consigliato solo all’uomo (e alla donna) che non deve chiedere mai.