
Prima di capire, parliamo. Prima di pensare, digitiamo. Prima di guardare con gli occhi, scattiamo una foto. Nella saturazione di una comunicazione frenetica e autoreferenziale non ci sono più spazi bianchi. Non ci sono pause. Non c’è ascolto, se non quel tanto che basta a replicare ancora, a pestare rapidamente una tastiera o un display, ad accumulare una documentazione che sostituisce la fruizione diretta degli eventi, delle cose, degli altri. Gli strumenti della comunicazione sono preponderanti, onnipresenti e il solo atto di usarli sembra assorbire e condizionare i contenuti, che viaggiano verso i loro destinatari attraverso una serie di filtri – la scrittura breve, la fretta, la mancanza di una buona riflessione, la distanza, l’esposizione mediatica, il narcisismo – che spesso ne alterano ingannevolmente il senso. La persona, in prima persona, si sta facendo obsoleta e anche quando appare non è più lei e basta: è tutto quello che ha scritto, le foto che ha pubblicato, le parole seminate in giro, inviate di corsa, magari mentre faceva altro, forse al semaforo, per riempire anche quel tempo senza pensare troppo. Un individuo è accompagnato e presentato da tutte queste informazioni, che apparentemente dovrebbero svelarlo senza pietà e invece lo offuscano come una nuvola, lo travisano come un gioco di specchi, e lo separano dal resto. E noi, come siamo fortunati. Noi che tutte le mattine ci sediamo davanti al Gohonzon e lo guardiamo dritto negli occhi, che sono i nostri occhi, e lo vediamo limpido e spiegato, lo osserviamo senza infingimenti, ci specchiamo senza compromessi, gli parliamo con il cuore. E anche quando cerchiamo di costruirci degli alibi e di raccontare un’altra storia il gioco dura poco, e mentre il suono della nostra voce riempie l’aria, sempre più forte, non possiamo che ascoltare, non possiamo che ascoltarci, e poi tendere l’orecchio al mondo fuori e impegnarci a riprendere il filo di un’armonia che scorre sempre sicura sotto il caos e ha bisogno solo di essere riconosciuta. Di essere creduta. Di essere, anche lei, ascoltata: con le orecchie, con la testa, con il cuore.