
Pier Paolo Pasolini, 50 anni dopo
Tra il 1° e il 2 novembre del 1975, in una notte di violenza assurda, si spegneva una delle voci più lucide e profetiche del Novecento italiano.
A poche ore dalla sua morte, in un’intervista che oggi suona come un testamento, Pasolini aveva già intravisto il mondo che viviamo: il “neocapitalismo” che si trasforma in globalizzazione, l’uniformità dei consumi, la scomparsa delle differenze, l’omologazione dei linguaggi e dei desideri.
Allora erano le fabbriche, oggi sono le Big Tech e gli algoritmi a regolare la nostra quotidianità.
Ma il suo richiamo ai paesaggi, ai gesti antichi, alle differenze locali non era nostalgia: era consapevolezza.
Un mondo senza radici è un mondo povero, anche se ricco di tecnologia.
È proprio da questa intuizione che nasce il senso di Radici e Algoritmi, scritto in comunione di intenti con mia sorella Milena: raccontare come il futuro possa avere senso solo se tiene insieme la spinta dell’innovazione con la forza delle nostre storie, dei luoghi e delle culture che ci hanno formati.
Perché il vero rischio non è il progresso, ma l’omologazione.
E la vera sfida è far convivere memoria e futuro, radici e algoritmi.
Fonte dell’intervista:
Pier Paolo Pasolini, intervista di Peter Dragadze, Gente, 17 novembre 1975, pp. 25, 26, 29, 31, 32, 35.