
Ogni epoca ha la sua fede.
Gli antichi credevano negli dèi, il Medioevo nella salvezza, i moderni nel progresso.
Ma sotto tutti questi nomi si cela una convinzione più profonda: che l’essere possa cessare di essere. È questo il mito ultimo dell’Occidente — la fede nel Nulla.
Appare come libertà dalla superstizione, come trionfo della ragione e della scienza.
Ma è una libertà che nasconde la sua prigione: credere che tutto nasca dal nulla e torni al nulla è credere nel potere dell’annientamento.
È la superstizione suprema — la fede che nega ogni fede.
Farotti la chiama l’ultima religione dell’Occidente: il culto del divenire, dove tutto è provvisorio, sostituibile, relativo.
I suoi templi sono i laboratori e i mercati, i suoi riti l’innovazione e il consumo.
Essere significa durare un istante tra due vuoti.
Ma il Nulla non è solo un concetto: è il respiro invisibile della nostra epoca.
Ogni volta che diciamo “non esiste più”, confessiamo la nostra fede nel potere della scomparsa.
Il nichilismo non è mancanza di fede: è fede nell’assenza.
Eppure, anche questa fede appartiene all’eterno.
È parte del cammino necessario con cui la verità si manifesta.
Perché l’essere, per rivelarsi come eterno, deve apparire anche come negazione di sé.
Alla fine, però, il mito del Nulla si consuma.
Nel suo stesso tentativo di negare l’essere, lo afferma.
Ciò che chiama “morte di Dio” è, in verità, la sua rivelazione più alta: l’eterno non può morire, perché non è una cosa tra le altre, ma è l’essere stesso.
Il mito del Nulla è l’ultimo sogno del tempo — il momento in cui persino l’illusione compie il suo scopo: mostrare che nulla può davvero cessare di essere.