
Nel 2008 un ministro di statura minuta, ma di ego smisurato dichiarò guerra ai “fannulloni”.
Li accusò di rubare lo stipendio, li mise alla gogna pubblica, inventò circolari e controlli che trattavano i lavoratori come imputati in libertà vigilata.
Chi aveva la febbre diventava sospetto, chi si assentava era un parassita.
Un’Italia spaccata in due: da una parte il ministro col dito puntato, dall’altra migliaia di persone umiliate nel nome dell’efficienza.
Oggi, quello stesso omino si auto-conferma nel ruolo di protagonista del suo stesso circo.
Non per un’idea, non per un atto di servizio, ma per un aumento: da 250 a 310 mila euro l’anno.
Un gesto di “coerenza” in un Paese dove i salari arrancano, le tutele spariscono e la dignità del lavoro è un ricordo lontano.
C’è una regola non scritta nella politica italiana: più ti indigni con i poveri, più ti senti autorizzato a premiare te stesso.
E così il palcoscenico resta lo stesso: il tendone è logoro, i riflettori fiacchi, ma lo spettacolo continua.
Sul palco la casta sempre più tronfia, e gli italiani a guardare uno spettacolo sempre più indecente, triste, ributtante.