
Short Story (Jerry e il cane)
la storia di Jerry e del cane! ( in modo naturale). quello che sto per raccontarle ha qualcosa a che vedere con il fatto che a volte è necessario allontanarsi di parecchio dalla propria strada per coprire una breve distanza in modo corretto; o magari sono solo io a credere che ci abbia a che fare. ma è la ragione per cui oggi sono andato allo zoo, e ho camminato verso nord… o, piuttosto, convenzionalmente a nord…fino ad arrivare qui. va bene. il cane, credo d’averlo già detto, è una bestia di mostro nero; una testa fuori misura, delle orecchiette minuscole e occhi…iniettati di sangue, magari per via di un’infezione; e un corpo di cui si possono contare le costole attraverso la pelle. il cane è nero, tutto nero; tranne che per gli occhi iniettati di sangue e…si…e una piaga aperta sulla…zampa anteriore destra; anche quella rossa. e, oh certo; il povero mostro, per quanto io credo che sia vecchio come cane…e sia stato di sicuro maltrattato…è quasi sempre in erezione di riff o di raff. ed è rossa pure quella. e…che altro?…ah, si; c’è un certo colore tra il grigio, il bianco e il giallognolo quando sfodera i denti. così: grrrrrrr! che è stata la prima cosa che ha fatto quando mi ha visto…il giorno del mio trasloco. quell’animale mi ha messo in pensiero fin dal primo momento che l’ho incontrato. diciamo pure che gli animali non mi trattano come san francesco, che aveva sempre uccelli appollaiati dalle sue parti. voglio solo dire che gli sono indifferente…come alla gente (sorride appena)…il più delle volte. ma questo cane non era indifferente. fin dall’inizio mi ringhiava e poi si catapultava per azzannarmi una gamba. non come un cane rabbioso, m’intenda; inciampava sempre, ma non era neanche un somaro. aveva una bella corsa con l’inciampo; e io riuscivo a farla franca. una volta mi ha strappato un pezzo di stoffa dei pantaloni, lo vede, proprio qui dove c’è il rammendo; il suo trofeo del secondo giorno che abitavo lì; ma ho scalciato alla meglio e sono salito di sopra veloce ed è finita lì. (perplesso). a tutt’oggi non ho capito come se la cavassero gli altri inquilini, ma lo sa che penso: io penso che ce l’avesse solo con me. strano. così. comunque, la cosa andò avanti per più di una settimana, ogni volta che rientravo; ma mai quando uscivo. è curioso. o meglio, era strano. fosse dipeso da lui, avrei potuto fare i bagagli e vivere per la strada.
beh, un giorno in camera mia ci ho pensato, una di quelle volte in cui l’avevo appena scampata, e ci ho visto chiaro.
mi decisi: primo, lo farò schiattare di gentilezze, e se non funziona…lo farò semplicemente schiattare.
(Peter sbatte le palpebre). non reagisca, Peter; mi ascolti solamente. così il giorno dopo uscii e comprai un pacco di hamburgers, al sangue, senza né cipolla, né ketchup; e sulla via di casa buttai tutti i panini e conservai solo la carne.
(il brano che segue dovrebbe forse essere accompagnato da azione).
quando rientrai a casa il cane mi stava aspettando. socchiusi la porta che conduceva nel vestibolo ed eccolo lì, in agguato. si preparava. entrai, con grande cautela, avevo gli hamburgers, se lo ricordi; aprii il pacco e posai giù la carne, a circa tre metri dal punto in cui il cane mi stava già ringhiando. così! quello prima ringhia poi smette di ringhiare; annusa; avanza lentamente; poi più svelto, sempre più svelto verso la carne. beh, quando ci arriva si ferma e mi guarda. io sorrido, in via sperimentale, capisce. lui si volta con il muso verso gli hamburgers, fiuta, sniffa ancora un pò e poi…rrraaaaggggghhhh…li sbrana e via. come se non avesse mai mangiato in vita sua nient’altro che mondezza.
il che poteva pure essere. non credo che la padrona di casa mangi niente di diverso dalla mondezza. ma. si sbafò tutti gli hamburgers, con una botta sola, emettendo suoni gutturali come una donna. poi, finita la carne, gli hamburgers, e dopo aver cercato di mangiarsi anche la carta, si mette seduto e sorride. io credo che sorrida; so che i gatti lo fanno. È un momento di grande gratificazione. poi, bam, ringhia e parte al mio inseguimento. non mi prese nemmeno quella volta. così, quando arrivo di sopra, mi sdraio sul letto e ricomincio a pensare al cane. ad essere sincero, ero offeso, e pure un bel o’ incazzato. erano sei hamburgers, perfettamente freschi, senza quel sovrappiù di lardo che li rende disgustosi. mi sentivo offeso. ma, dopo un po’ decisi che avrei tentato per qualche giorno ancora. a pensarci bene, questo cane aveva davvero accumulato una bella dose di antipatia verso di me, veramente. e mi domandavo se non sarei stato capace di vincerla.. così tentai per altri cinque giorni, ma era sempre la stessa musica: ringhio, annusamento, avvicinamento, più rapido; sguardo; inghiottimento; raaggghhh; sorriso; ringhio; bam.
a questo punto Columbus avenue era disseminata di panini da hamburger e io ero più disgustato che offeso.
così decisi di ammazzare il cane.