
La realtà mi piomba addosso con ritmi più rapidi. Il multitasking si è impadronito della mia mente e dei miei movimenti. Non riesco a dare una priorità alle cose: peso male impegni, avvenimenti e (ahimè) sentimenti. Dipenderà dal fatto che io sono io e Windows è Windows?
Consumo tutto ciò che mi passa davanti velocemente e con noncuranza. La memoria mi tradisce? Che importa, il Tablet è in tasca.
Senza il mio I Phone mi sento nudo e un po’ perso. Un’intera giornata senza connessione mi fa sentire “fuori dal mondo”, non so cosa sta accadendo e mi sento tagliato fuori. Assurdo! Mi basta aprire gli occhi per vederlo, il mondo: il mondo reale.
Quante volte sentiamo ripetere:” Dobbiamo farlo per i nostri figli”? Ecco, bene, cominciamo da loro
I bambini imparano in fretta; ma chi può dire quale danno ricavino dal dover diventare degli adulti a tappe forzate, specialmente al livello della creatività e dell’affettività?
Gli anziani, invece, sono esposti a un vero e proprio tracollo nervoso: è come se il mondo cambiasse più in fretta di quanto essi possano tollerare; come se qualcuno li costringesse a spostarsi su di un tappeto mobile che viaggia troppo velocemente. Chi non sa usufruire della tecnica, anche nelle cose più semplici, si trova tagliato fuori o è costretto a ricorrere continuamente all’aiuto di altre persone, perdendo la fiducia in sé stesso e sentendosi sempre più impotente ed inutile.
Non si dovrebbero sottovalutare gli effetti negativi di un tale stato di cose per tutti, né gli esiti discriminatori nei confronti di alcune categorie di persone: gli anziani e i malati in primo luogo; ma anche tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, stentano a tenere questo ritmo e ad assimilare le nuove pratiche tecnologiche.
Si dirà che questo è il costo del progresso, e che è inevitabile che la società evolva sempre più in fretta; e, inoltre, che quanti non sono in grado di adattarsi alle nuove situazioni, prima o poi scompariranno, come sono scomparsi gli animali e le piante del passato allorché non seppero adattarsi ai mutamenti climatici e geologici. Si dirà che, se così non fosse, non vi sarebbe progresso, e la civiltà si fermerebbe. Vi prego di non equivocare il Progresso con l’avanzamento tecnologico.
Parole diverse per concetti diversi per “cose” diverse.
Il progresso, cari miei, è l’innalzamento della media della qualità della vita di tutti.
Gira e rigira, si ricade sempre lì: nel darwinismo sociale. La vita è una lotta.
Chi sostiene questo tipo di ragionamento afferma, in buona o cattiva fede, un determinismo sociale di matrice biologica, di una vera e propria «naturalizzazione» dei fenomeni sociali. Dimenticando o ignorando, però, che non è affatto un «destino» quello che spinge la società in una determinata direzione piuttosto che in un’altra, bensì il risultato di un insieme di meccanismi economici e di scelte politiche.
La logica del «progresso» è subalterna all’idea dello sviluppo illimitato, ossia alla follia più tipica della modernità: la persuasione che tutto si possa incrementare all’infinito: la produzione, il consumo, il profitto, perfino il sapere; e che il risultato di questa crescita esponenziale debba essere, chissà mai per quale trucco da prestigiatore, un aumento (illimitato anch’esso) del benessere e, chissà, magari anche della felicità.