
Sant’Antonio Abate (251-356, Egitto), detto Lu Nemico de Lu Demonio, che è un santo un po’ sfortunato, perché è stato palesemente copiato nove secoli dopo da San Francesco, che ne ha sbiadito un po’ la fama.
Sant’Antonio è il fondatore non dei frati, ma degli abati.
Arrivava da una famiglia agiata anche lui, ha dato via i suoi averi anche lui, ha avuto un rapporto speciale con gli animali anche lui.
L’unica differenza è che San Francesco andava a predicare, mentre Sant’Antonio non voleva gente molesta e appiccicosa tra i piedi, così andava a fare l’eremita, per raggiungere la perfezione.
Più Sant’Antonio perseverava nella vita solitaria, più si rendeva conto che poteva renderla ancora più estrema, e giustamente chi lo conosceva lo fomentava: dai, dai, ancora di più!
Così un giorno Sant’Antonio si è rinchiuso con le sue mani dentro una tomba di pietra, dove si narra che sia stato tentato e aggredito dal suo acerrimo nemico, il Demonio. Una lotta durissima, il Demonio lo percuoteva, ma più probabilmente era lui che si menava da solo.
Forse gli mancava qualche rotella, sì, ma la battaglia contro il Demonio per Sant’Antonio era una cosa seria, ha tenuto duro fino alla fine, perché a lui non la si fa.
Ovviamente a una certa Sant’Antonio è svenuto (tra l’altro, la località si chiamava Coma), e se non fosse venuto qualcuno a tirarlo fuori da quel loculo ci saremmo giocati subito il founder del monachesimo.
Fallito il primo progetto da eremita, Sant’Antonio pensò di allontanarsi ancora di più dalla gente: dalle parti del Mar Rosso, sul monte Pispir, c’era una bella fortezza abbandonata, scomoda, inaccessibile, un postaccio. Era perfetta.
Si stabilì nella fortezza e ci rimase vent’anni, un periodo bellissimo di silenzio e solitudine. Usciva solo per concedersi delle grandiose partite a padel contro il Demonio.
Giusto una volta l’anno qualcuno gli portava un po’ di pane, ma doveva faticare per avvicinarsi, c’erano le mura, gli ostacoli.
La casa ideale, proprio.
Poteva durare? No, ovviamente.
La fama de Lu Nemico De Lu Demonio si sparse e arrivarono i pellegrini, che pur di stare con il santo buttarono giù le mura della fortezza e lo tirarono fuori.
Maestro, guidaci, dicevano loro. Ma io volevo fare l’eremita, gli rispondeva lui. Niente, quelli volevano le benedizioni, le guarigioni, i corsi di yoga. Ci voleva la famosa pazienza dei santi.
Si formarono addirittura delle comunità di eremiti, nonostante Sant’Antonio gli avesse fatto notare che, secondo una complessa equazione, da due in su non è più eremitismo: è una comune hippie.
Tutto inutile: quelli non sapevano contare.
Alla fine, con l’età, Sant’Antonio si ammorbidì.
Verso i 60 anni tornò tra la gente, si stabilì ad Alessandria d’Egitto per dare una mano alla Chiesa contro le eresie e contro le persecuzioni. Magari sarebbe anche rimasto, avrebbe fatto carriera, ma poi l’imperatore Costantino dette la libertà religiosa a tutto l’impero, all’improvviso i problemi erano risolti, e quindi che si fa?
Ma ovviamente altri 40 anni nel deserto!
Sant’Antonio alla fine è vissuto 105 anni, dimostrando che una dieta ipocalorica, una regolare attività aerobica per combattere Satana, e una pulizia contatti fatta bene, possono davvero allungare la vita.
Oggi il culto di Sant’Antonio, molto caro ad allevatori e agricoltori, è il principale responsabile del riscaldamento globale, perché ogni 17 gennaio nelle campagne è tradizione accendere degli insensati fuochi giganteschi, per propiziare l’arrivo della primavera.
Questa cosa si fa ormai da diversi secoli, in tantissime località grandi, piccole, piccolissime, ovunque. Non so se vi rendete conto della quantità di legna sprecata e della CO2 prodotta, e ovviamente si fa ancora oggi.
La gente è scema, sì, per questo Sant’Antonio preferiva il deserto, o la compagnia dei maiali.
Dargli torto.