
“Correva l’anno 1982. Hamas non esisteva. Hezbollah nemmeno. E Israele vantava già trent’anni di crimini documentati.”
Non è uno slogan, né una provocazione: è una frase che pesa come pietra. L’ha scritta Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, ed è destinata a restare impressa come una lapide nel cuore di chi ha ancora il coraggio di guardare in faccia la storia. Non quella raccontata nei salotti televisivi o nei titoli anestetizzati dei quotidiani, ma quella vera, quella sporca, quella che ci riguarda tutti.
Nel 1982, il mondo assisteva all’invasione israeliana del Libano. A Sabra e Shatila, campi profughi palestinesi alla periferia di Beirut, centinaia, forse migliaia di civili furono massacrati in pochi giorni. Donne, bambini, anziani. Nessun Hamas. Nessun Hezbollah. Nessun pretesto utile da spendere nei talk show. Solo sangue, solo terrore. Solo una verità che in troppi hanno tentato di coprire con le solite parole: autodifesa, sicurezza, legittimità. Ma chi ha memoria, chi ha occhi per vedere, sa che non si può giustificare l’ingiustificabile.
Albanese ha dedicato le sue parole a tre categorie ben precise: ai politici dalla memoria corta, ai giornalisti stipendiati dalla propaganda, e a quei connazionali che accendono l’etica solo quando conviene. Non c’è spazio per l’equidistanza quando a parlare è il corpo martoriato della verità. La storia non è un campo neutro. Non lo è mai stato. E chi finge di non sapere, oggi come ieri, è complice.
Israele è nato nel 1948. Trent’anni dopo, aveva già costruito una fitta rete di colonie, leggi razziali, espulsioni, demolizioni, blocchi economici e punizioni collettive. Nessun movimento islamista poteva ancora essere usato come capro espiatorio. Eppure i crimini si moltiplicavano, documentati da rapporti ufficiali, da testimonianze, da immagini che urlavano più di qualsiasi editoriale.
La verità è che il progetto coloniale non ha mai avuto bisogno di un nemico esterno per esistere. È bastata la volontà di cancellare un popolo, la sua identità, la sua terra. Come in quelle parabole antiche in cui i profeti gridavano nel deserto e nessuno voleva ascoltarli, anche oggi le voci fuori dal coro vengono ignorate o demonizzate. Ma sono proprio quelle voci, come quella di Francesca Albanese, a ricordarci che la dignità non è un privilegio da concedere, ma un diritto che non si può calpestare impunemente.
Non basta più parlare di conflitto. Non basta invocare la pace senza denunciare l’occupazione. Non basta piangere i morti se non si riconoscono i carnefici. In un mondo dove le menzogne si travestono da diplomazia, la memoria diventa l’unica arma che abbiamo per non essere complici.
Correva l’anno 1982. E oggi, nel 2025, quelle parole suonano come una condanna, ma anche come un appello. A non dimenticare. A non fingere. A non voltarsi più dall’altra parte.
Paolo Consiglio
Nota editoriale
Questo testo è una riflessione personale e argomentata, ispirata a dichiarazioni pubbliche e fonti storiche documentate. L’autore esercita il diritto alla libertà di espressione previsto dalla Costituzione italiana (art. 21). Il contenuto non intende offendere alcuna comunità o religione, ma promuovere un dibattito consapevole su temi di interesse pubblico e umanitario.