
di Pino Arlacchi
Tra le false narrative dei fatti del mondo che imperversano in Occidente, quella sul Venezuela è la più oltraggiosa. Non credete a una parola di ciò che i padroni dei mezzi globali d’informazione dicono sul paese.
Gli eventi smentiscono le menzogne che tentano di coprire una guerra di rapina e sopraffazione coloniale condotta da una potenza giunta all’ultima tappa del suo declino. Il Venezuela è un un paese forte, stabile, e deciso a non piegarsi. Un paese che vincerà, pur pagando duramente il prezzo della sua sovranità. La sconfitta Usa sarà la 65ª dall’inizio della Guerra fredda (la 66ª è in dirittura di arrivo, in Ucraina). E ciò avverrà sulla scia di quanto accaduto a quasi tutte le loro guerre, invasioni e tentativi di cambio di regime.
La domanda giusta da porsi, allora, non è quella su quanto durerà Maduro, ma quella su quanto durerà Trump. L’aggressione è un’ulteriore tacca anti-Trump che il deep state ha segnato sulla cintura. Pentagono e intelligence s’oppongono a questa pantomima dello sbarco in Normandia voluta da Rubio e sottoscritta dal presidente. Il deep state, vero padrone dell’America, subisce, abbozza, di fronte a una mossa di politica estera sconsiderata, contraria all’interesse nazionale e decisa da un presidente eletto, per giunta, con il mandato di porre fine alle guerre (e alle sconfitte) infinite. Non c’è un solo dirigente dell’apparato militare, poliziesco e dei servizi di sicurezza che si sia pronunciato a favore dell’attacco. Ci sono invece le dimissioni dell’ammiraglio Hollsey, comandante delle operazioni militari in America Latina e Caraibi. C’è il dissenso fatto filtrare da decine di militari d’ogni grado, tra cui gli avvocati del Pentagono. E c’è la clamorosa notizia, minimizzata dai media, della dissociazione delle forze armate del Regno Unito da una operazione definita illegale perché portatrice di responsabilità personali per i suoi esecutori. Tradotto in linguaggio comune: l’esecuzione senza processo di sospetti trafficanti di narcotici è un assassinio, come lo è quello di una autorità politica straniera accusata senza la minima prova di compiere o di favorire le stesse attività. Per non parlare dell’aggressione armata a un intero paese senza solide evidenze di minacce alla propria sicurezza nazionale. Quasi tutte fattispecie punibili da tribunali ordinari, in parallelo agli organi della giustizia internazionale.
L’unico successo finora ottenuto dall’aggressione al Venezuela è la sua sostanziale approvazione da parte del circo mediatico-politico dominante in Europa. Quello che da decenni ci somministra dosi da cavallo di disinformazione su Maduro e il Venezuela. E che non si scomoda a inviare osservatori indipendenti sul terreno né a dare spazio a voci fuori dal coro. Proprio come nel caso di Ucraina, Russia e Cina, demonizzate senza ritegno e senza rispetto della decenza.
Dal 1999 i tentativi di destabilizzazione sono stati eclatanti insuccessi, culminati con quello d’abbattere il chavismo tramite soggetti ultra-eversivi e controproducenti come Guaidó e Machado. Personaggi che sembrano studiati per far vincere Maduro e le cui azioni hanno finito col mettere fuori gioco l’opposizione costituzionale e rafforzare il governo: dal 2015 in poi i chavisti hanno vinto tutte le elezioni, incluse comunali e regionali di quest’anno, alle quali nessuno in Occidente ha prestato attenzione perché la disinformazione è rimasta concentrata sulle Presidenziali dell’anno scorso, vinte da Maduro nonostante l’establishment atlantico avesse deciso di far vincere Machado.
Dal 1999 in poi i chavisti hanno prevalso in 25 tornate elettorali su 29. E continuano a vincere per la semplice ragione che i poveri del Venezuela votano per chi li rappresenta meglio, cioè per chi distribuisce all’interno i proventi del petrolio invece di trasformarli in depositi privati presso le banche di Miami…