
Jürgen Habermas, nato a Gummersbach (Germania) nel 1929, fu assistente di Adorno presso l’ Institut für Sozialforschung di Francoforte; fu professore universitario ad Heidelberg dal 1961 al 1964 e poi passò all’università di Francoforte, fino al 1971. Dal 1971 al 1982 diresse il Max Planck Institut e dal 1983 tornò ad insegnare all’università di Francoforte. Nella prima fase del suo pensiero le sue fonti di ispirazione sono state prevalentemente Hegel e Marx, nell’interpretazione data dalla scuola di Francoforte. In svariati saggi, raccolti in Teoria e prassi (1963), oltrechè in Storia e critica dell’opinione pubblica (1962) e Sulla logica delle scienze sociali (1968), Habermas si domanda con insistenza che cosa significhi prassi , cioè l’agire politico nelle democrazie della seconda metà del Novecento, in cui il problema della pubblicità politica (Öffentlichkeit) si è trasformato in un’organizzazione del consenso coatto attraverso la manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa. Tale principio è nato nell’era novecentesca e intende il pubblico come depositario dell’opinione pubblica, cui è attribuita una funzione critica, anche nei confronti del potere in vigore: il suo strumento e veicolo è la pubblica argomentazione razionale. Nella società novecentesca, tuttavia, il pubblico è diventato un puro e semplice consumatore di cultura, le opinioni sono manipolate e strumentalizzate attraverso i mass-media e si assiste pertanto ad un tramonto della sfera pubblica. Ecco perché Habermas condivide la drammatica diagnosi negativa (effettuata dalla Scuola di Francoforte) della moderna società amministrativa, ma non condivide affatto l’avversione di Benjamin e di Adorno nei confronti della nozione comunicativa della verità come costruzione che ha luogo attraverso l’interazione sociale: questo è il compito della sfera pubblica, che però ha perso nel Novecento (secondo Habermas) la sua funzione originaria. Chiedendosi quali siano le condizioni di possibilità della prassi in questa situazione è indispensabile (e anzi viene come conseguenza) fare riferimento al concetto di emancipazione rispetto all’assetto esistente, ad un interesse per tale emancipazione e ad una nozione di ragione consapevole di tale interesse. Solo così diventa possibile elaborare una teoria dell’emancipazione adatta alla specifica situazione storica del presente e, quindi, realizzare le condizioni di possibilità di un rapporto adatto fra teoria e prassi; per questo motivo e in vista di questo obiettivo, Habermas distingue radicalmente tra agire strumentale e agire comunicativo , sottolineando come l’agire strumentale sia basato su un sapere empirico, sia organizzato secondo regole tecniche e abbia il suo compito specifico di realizzazione nel lavoro: esso è razionale nella misura in cui realizza scopi definiti in condizioni date mediante mezzi adeguati a quei fini