
In uno dei mitici sketch di Antonio Albanese, quando interpreta Cetto La Qualunque, arriva il solito elettore disperato che chiede un favore: “Onorevole, ho un problema… mio figlio è scemo”.
E Cetto, che nella sua infinita munnizza clientelare ha già sistemato figli, nipoti e cognati di mezzo paese, si concentra, fuma quasi dal cervello, poi l’illuminazione:
“Un figlio scemo? Giornalista! Farà il giornalista!”
Credevo fosse satira.
Poi ho letto della vicenda Corriere–Lavrov.
E ho capito che era un tutorial.
Funziona così: il Corriere della Sera chiede un’intervista a Lavrov. Non il contrario, eh: sono loro a cercarlo. Gli mandano le domande scritte. E lui, incredibile ma vero, risponde. Per iscritto. A tutte.
Apriti cielo.
Il Corriere scopre che Lavrov… pensa come Lavrov. Un colpo di scena che nessuno poteva prevedere, tipo scoprire che l’acqua bagna.
Le sue risposte, spiegano, “contengono troppe affermazioni discutibili”.
Ah, certo: intervistare Lavrov e lamentarsi che fa propaganda russa è come intervistare uno chef e scandalizzarsi perché parla bene della sua cucina.
Il giornale allora comunica che non può pubblicare perché mancano il contraddittorio, la contestazione, il fact checking.
Cioè: domande scritte → risposte scritte → “eh no, così non vale, dovevamo correggerti i compiti”.
Lavrov propone: “Fate la versione breve sul cartaceo e la lunga online”.
Risposta: “Rifiutato”.
Perché la libertà di stampa è sacra. Specie quando si censura.
Risultato?
L’intervista l’ha pubblicata Lavrov sul web.
Un assist trasformato in un gol a porta vuota, col portiere del Corriere che guarda il pallone e chiede il VAR per verificare se la realtà è ammessa o meno.
La Russia, è noto, non brilla per libertà d’informazione.
Ma anche qui, quando vogliamo, sappiamo farci riconoscere.
Basta un figlio scemo. E qualcuno che gli faccia fare il giornalista.
di Gabriele Mariani