
Lucia inciampò correndo, cadde sull’erba e si sbucciò il ginocchio. Il pianto le uscì subito, acuto, e io mi chinai per consolarla, pronto a dirle che non era niente. Ma la madre arrivò di corsa, come se ci avesse spiati da lontano. La rimproverò con voce dura, le disse che non doveva dare confidenza a me, che certe cadute erano il segno di una cattiva educazione. Poi si voltò verso di me, con gli occhi stretti, e disse: “Tu sei figlio della servitù, e non dimenticarlo mai. Puoi correre quanto vuoi, puoi ridere quanto vuoi, ma resterai sempre quello che porta la polvere sotto le scarpe. Non sarai mai invitato alla nostra tavola, neanche se un giorno ti troverai davanti alla porta con la fame negli occhi. La tua amicizia non vale nulla, e se lei ti cerca è solo perché non ha ancora imparato a distinguere chi conta da chi non conta.”
Quelle parole mi entrarono dentro come un marchio, più lunghe e più pesanti di qualsiasi rimprovero. Non le dimenticherò più.