
La chiave, il registro fondamentale dell’AMLETO di Franco Zeffirelli, sta in una spiegazione, sintetica e chiarissima che lo stesso regista ha dato: «Questa tragedia è stata spesso presentata come la summa dell’esistenzialismo, gravandola di complicazioni filosofiche.
Volevo tornare alle origini: GELOSIA e VENDETTA.
Shakespeare aveva scritto un dramma storico, ricco ed emozionante: l’assassinio di un re per mano di suo fratello con la complicità della regina, poi scoperto dal figlio della vittima.
Era una tragedia di vendetta, una saga famigliare raccontata come una grande storia epica, piena di fatti e di azioni.
Per il modello Amleto maestro Zeffirelli conosceva alla perfezione la performance di Laurence Olivier nell’edizione, storica, del 1948.
Colse, nella perfezione filologica, accademica, del grande inglese, qualcosa di assoluto, ma sorpassato.
Pensò a un carattere opposto, un giovane ambizioso e intelligente, educato per essere il migliore in tutto, sempre in competizione dunque sempre sul filo dei nervi e dell’aggressività. E dunque si impegnò su un protagonista del tutto diverso, un uomo di cinema, addirittura d’azione, impensabile per chiunque: Mel GIBSON.
L’attore australiano era noto per ruoli d’azione alla Mad Max, davvero lontani da Amleto.
Il grande regista racconta che non dovette neppure faticare molto a convincerlo, stimolandolo in una sfida tanto difficile.
E la sfida fu vinta, Gibson se la cavò benissimo.
Inoltre, portò al cinema un grandissimo numero di spettatori giovani che andò a vedere l’Amleto di Shakespeare, perché a farlo c’era “Mad Max”.