
Bergson sosteneva che il tempo non è una retta di tanti punti contigui, ma un istante che cresce su se stesso sovrapponendosi agli altri
Bergson contrappone una durata interiore che è accrescimento qualitativo continuo, dunque refrattario ad ogni forma di misurazione. Questa durata ha come tratto essenziale il vissuto affettivo che la caratterizza, e riesce a realizzare l’apparente paradosso del cambiamento continuo nella conservazione.
Permanendo una antitesi fra interiorità ed esteriorità, la coscienza e il mondo sono legati l’una all’altro. Il tentativo di Bergson di andare oltre sia il realismo sia l’idealismo si concretizza nella definizione della percezione come di una forma di coscienza inglobante sia il soggettivo che l’oggettivo. L’immagine si pone come saldatura fra la materia e la memoria.
L’artista riesce ad avere una conoscenza disinteressata di una fetta di realtà proprio in virtù della sua distrazione dalla vita pratica
Notevole la critica ai concetti e alle idee di “nulla” e “disordine”, considerati fra i responsabili dell’incomprensione per la vita così concepita, da parte dell’intelligenza concettuale.
Questo articolo si occupa della concezione del pensiero come flusso di coscienza, che l’intelletto distorce organizzandolo in concetti.
Oltre a questo, Bergson non era un pragmatico —per lui l’”utilità”, lungi dall’essere una verifica della verità, è piuttosto l’inverso, un sinonimo di errore.
L’uomo deve trasformare se stesso, evolversi oltre di sé per scorgere la vetta morale e religiosa.