
Viviamo in tempi in cui è diventato
quasi di moda dare del narcisista
a chi ci fa soffrire.
È come se bastasse quella
parola a salvarci dal sentire,
dal guardarci dentro,
dal prenderci la responsabilità della nostra parte.
“Lui è narcisista, non è colpa mia se soffro.”
E così ci illudiamo di avere
una spiegazione, una scappatoia,
una diagnosi emotiva.
Ma se il nostro cammino è davvero
un cammino di risveglio,
allora qualcosa non torna.
Punto uno:
Perché proprio io ho attratto
questa persona?
Cosa sta toccando in me
che era nascosto da tempo?
Punto due:
Finché do colpa all’altro,
continuo a nutrire la mia commiserazione.
E divento schiavo dei miei
stessi automatismi.
Punto tre:
Ogni incontro è una
risposta dell’universo.
Non un errore. Ma una porta.
Punto quattro:
Narciso è un mito che vive in ognuno di noi.
Un archetipo. Un frammento dell’anima che si specchia per conoscersi.
E punto sacro:
Sul sentiero del risveglio,
le etichette si tolgono.
Non si usano come
pietre per colpire gli altri.
Allora mi chiedo…
“Dare del narcisista a qualcuno
è crescita… o è solo un nuovo
modo per non sentire la mia ferita?”
Chiedo per un amico
Ma all’ego piace tanto
affibiare etichette e desposabilizzarsi.
Ed è evidente che ormai si fanno video,
si scrivono libri, si pubblicano post su come smascherare un narcisista.
Ma davvero vogliamo continuare
a puntare il dito fuori?
Finiamola.
La vera domanda è: quale parte
di me attira certi incontri?
Quale frammento inascoltato
della mia anima li ha chiamati
per mostrarmi qualcosa?
Ma si sa…
Va molto più di moda accusare,
fare views e like…
che sedersi in silenzio
e compiere un autentico,
scomodo, meraviglioso
viaggio dentro di sé.
~ Alessandro D’Adamo ~