
Riusciva a leggere due pagine alla volta — una con un occhio, l’altra con l’altro. Memorizzò 12.000 libri parola per parola. I medici vollero rinchiuderlo in un istituto. Suo padre disse di no — e quel “cervello rotto” ispirò Rain Man.
Quando Kim Peek nacque, l’11 novembre 1951, i dottori osservarono il suo cranio e formularono un verdetto terribile. La sua testa era troppo grande. Le scansioni cerebrali mostrarono anomalie gravi: a lui mancava il corpo calloso — quel fascio di circa 200 milioni di fibre nervose che collega i due emisferi cerebrali. Senza di esso, dissero, non avrebbe mai potuto camminare, parlare, né vivere da solo. Sarebbe rimasto «un vegetale». Consigliarono: «Istituzionalizzatelo subito».
Ma suo padre, Fran Peek, guardò quel neonato e disse: “No”. Lo riportò a casa. E presto capì che quel cervello “diverso” era capace di cose che nessuna mente “normale” avrebbe potuto fare.
Già a tre anni, mentre altri bambini imparavano a contare fino a dieci, Kim — ascoltando qualcuno leggere un libro — lo memorizzava parola per parola. Non solo la trama: ogni singola parola, ogni numero di pagina, ogni virgola. Suo padre gli leggeva la sera; la mattina dopo Kim recitava il libro per intero, avanti e indietro, senza un solo errore.
Col tempo, le sue capacità divennero straordinarie. Leggeva un libro in circa un’ora: un occhio a sinistra, uno a destra — due pagine, due letture simultanee, processate come un’unica informazione. Conservava il 98% di ciò che leggeva. Nell’arco della sua vita memorizzò circa 12.000 libri: storia, letteratura, geografia, musica, sport, statistiche, enciclopedie. Ogni dato immagazzinato con precisione impressionante.
Chiedigli di cosa si parlava il 15 marzo 1847 e ti saprà dire: che giorno era, gli eventi accaduti, il meteo, i giornali. Vuoi sapere cosa significa un codice postale o la popolazione di una città? Te lo dà. Il suo cervello era come un supercomputer umano: vasto, veloce, affidabile. E nessun computer poteva competere con lui.
Gli scienziati lo studiarono profondamente, cercando di capire: come può un cervello senza corpo calloso funzionare, e persino raggiungere livelli sovrumani? Una teoria suggeriva che, senza quella barriera, le informazioni scorressero liberamente, creando connessioni neurali uniche, una memoria finissima, reti cerebrali fuori dal comune. Ma la sua mente restò un enigma. Un miracolo inspiegabile.
Kim non amava essere studiato. A lui interessava connettersi con le persone.
Nel 1984, lo sceneggiatore Barry Morrow lo incontrò a una conferenza: volevano mostrargli un caso sorprendente, ma quello che videro fu qualcosa di più profondo. Kim rispose a domande su date, eventi storici, numeri, con la rapidità e la precisione di una macchina. Barry capì che non era solo un talento, ma una voce capace di umanità, curiosità, calore. Quel racconto divenne il film Rain Man, uscito nel 1988, che vinse quattro Oscar. Per molti, fu la prima volta che sentirono parlare della sindrome del savant. Ma dietro Raymond Babbitt c’era Kim Peek: un uomo “diverso”, con un cervello fuori schema… e un cuore enorme.
Dopo il film, Kim e suo padre viaggiarono molto: scuole, ospedali, conferenze. Molti lo vedevano come un’attrazione curiosa. Ma chi si avvicinava scoppiava in lacrime o in sorrisi. Non trovava un “numero”, ma una persona che ascoltava, che ricordava i nomi, che ti consigliava un libro, che ti faceva sentire visto.
Kim morì il 19 dicembre 2009, a 58 anni, per un infarto. Il mondo perse una delle menti più straordinarie mai studiate. Ma chi l’aveva incontrato perse qualcosa di ancora più grande: la capacità di credere che diversità significa ricchezza, che un cervello “diverso” può diventare dono, che la normalità non è tutto ciò che conta.
Il suo cervello fu donato alla scienza. Gli studi continuarono. Ancora oggi, cercano di comprendere come una mente senza struttura “classica” abbia potuto avere un potenziale così vasto. Hanno scoperto qualche indizio: aree di memoria ultra-sviluppate, connessioni neurali multiple, un’architettura cerebrale inedita. Ma non basta. Kim rimane un miracolo vivente, una sfida all’idea che solo la normalità sia possibile.
Kim Peek ha provato che disabilità e genio possono convivere. Che chi è considerato “rotto” può essere un prodigio. Che diverso non significa inferiore. Che le menti più straordinarie possono nascere dove meno te lo aspetti.
I medici dissero: «Non vivrà da solo, non parlerà, non camminerà». Lui, in 58 anni, lesse più libri di quanti una persona comune leggerà in dieci vite. Dimostrò che un cervello spezzato può essere semplicemente diverso.