
Era stata licenziata della Scala per aver gridato “Palestina libera” lo scorso 4 maggio durante un concerto organizzato dall’Asian development bank a cui era presente anche Giorgia Meloni. Ora il tribunale di Milano ha condannato il teatro a pagare le mensilità che erano dovute alla maschera fino alla scadenza naturale del contratto, oltre alle spese di lite. Alla lavoratrice dovranno essere versati 809,60 euro per ogni mese, dal licenziamento fino a fine settembre, per un totale di 4 mila euro oltre a 3.500 euro che il teatro dovrà pagare per coprire le spese legali.
Il caso era stato denunciato dal sindacato Cub Informazione & Spettaolo, che aveva accusato la direzione della Scala di aver voluto compiacere il governo, “offrendo la testa del ribelle”, e di contribuire al “restringimento degli spazi democratici”.
A distanza di mesi, ora il tribunale di Milano ha dato ragione alla lavoratrice e ha dichiarato illegittimo quel licenziamento.”Con l’assistenza dell’avvocato Villari la lavoratrice (che aveva un contratto a termine) sarà risarcita di tutte le mensilità che intercorrono dal licenziamento alla scadenza naturale del contratto. Il Teatro dovrà anche coprire le spese di lite — ha annunciato la Cub in una nota —. Lo abbiamo sostenuto fin dall’inizio che gridare ‘Palestina libera’ non è reato, e che i lavoratori non possono essere sanzionati per le loro opinioni politiche”, ha proseguito la confederazione ringraziando i lavoratori che si sono mobilitati e invitando a scioperare il 28 novembre e a partecipare il 29 alla manifestazione nazionale pro-Palestina in programma a Milano. “Ora il teatro le rinnovi il contratto per evitare altre cause”, ha concluso D’Ambrosio.