
Si chiamava Sergei Krikalev.
Quando lasciò la Terra nel 1991, lo fece da cittadino sovietico.
Ma quando tornò, la nazione che l’aveva mandato nello spazio non esisteva più.
Era decollato dal cosmodromo di Baikonur verso la stazione orbitante Mir, il fiore all’occhiello dell’ingegneria sovietica.
Una missione prevista per cinque mesi.
Ma mentre fluttuava sopra il pianeta, il mondo sotto di lui si disgregava.
Mosca era attraversata da rivolte e tumulti.
Le repubbliche proclamavano l’indipendenza.
Un giorno, da Terra, gli arrivò il messaggio più assurdo che un cosmonauta potesse ricevere:
“Il paese che ti ha mandato lassù non esiste più. E non abbiamo più i fondi per riportarti indietro.”
Sospeso nello spazio, Sergei diventò, suo malgrado, l’ultimo cittadino dell’Unione Sovietica.
Mentre orbitava sopra un pianeta che stava riscrivendo i propri confini, il suo corpo si indeboliva: le ossa perdevano calcio, la solitudine pesava, la radiazione aumentava il rischio di cancro.
Avrebbe potuto fuggire. C’era una capsula di salvataggio.
Ma l’avrebbe fatto lasciando la stazione Mir a precipitare sulla Terra.
Così scelse di restare.
Solo.
A vegliare su un fantasma di nazione.
Nel frattempo, la nuova Russia, in crisi, cominciava a vendere posti nelle missioni spaziali a paesi come Giappone, Austria e Germania, per mantenere in vita la stazione Mir e recuperare fondi.
Lo spazio era diventato un mercato.
E Sergei, il suo custode silenzioso.
Passarono 311 giorni.
Quando finalmente atterrò, il 25 marzo 1992, lo fece sulle steppe del Kazakistan — che non era più Unione Sovietica.
Dalla capsula uscì barcollando un uomo con una tuta su cui si leggeva ancora “CCCP”, stringendo tra le mani una bandiera che rappresentava un impero dissolto.
La sua città natale, Leningrado, ora si chiamava San Pietroburgo.
Il suo stipendio, 600 rubli, bastava appena per un chilo di salsicce.
Il mondo era cambiato.
Ma lui no.
Disciplinato. Calmo. Leale fino all’ultimo respiro.
Due anni dopo fu nominato Eroe di Russia.
Volò con la NASA.
Fu il primo uomo a raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale.
Fu l’ultimo a lasciare la Mir.
L’ultimo a portare sul petto le lettere di un impero scomparso.
L’ultimo a incarnare un sogno svanito tra le stelle.
E forse il solo che mantenne davvero la promessa fino alla fine.