Comunicazione
– D’accordo, ciao papà. – riaggancio la cornetta.
Compongo un altro un numero.
Il barista continua a lanciarmi brevi ed ostili occhiate, mentre Marina mi sta dicendo che non riesce ad uscire di casa.
– Chiama i vigili del fuoco, oppure forza la serratura. –
– Si, scherza, scherza… E’ inutile non ci riesco! E’ già mezzogiorno e sono qui che devo ancora lavarmi i capelli, e sono senza shampoo, e… –
– Senti Marina, questa conversazione mi sembra senza sbocco. –
– Hai ragione. – E riaggancia.
Fisso la cornetta, perplesso; a volte è strana; io le voglio bene, ma certe volte questa donna è veramente strana.
Esco dal bar e vengo aggredito da un vento freddo; freddo ma secco. Mi piace.
Adoro questo clima, è una giornata fantastica: limpida come solo le giornate di fine Gennaio sanno esserlo.
E comunque sono incazzato. Senza motivo. Una rabbia assoluta, pura, cristallina come questa luce di mezzogiorno.
Penso che magari potrei andare a trovarla. le compro lo shampoo, sfondo la porta… a lei basta poco per essere contenta; no, troppo vento per arrivare fin là; inoltre la mia rabbia e la sua pseudo-depressione non raggiungerebbero nessun tipo di accordo.
Antonella mi sta dicendo che fra un’ora Federico ed il fratello saranno qui a prendere i mobili.
– Tutti e due!? Ma non posso, ti ho detto che avresti dovuto avvisarmi, per quell ’altro! –
– Ma io, il furgone, ce l’ho solo per oggi! Solo per oggi, capisci? Dopo non potrò più,
mai più! –
– Dai, non essere così definitiva… –
Definitivo. Mi piace. Penso che dovrei cominciare ad usarlo più spesso, quest ’aggettivo.
Continuo a ripetermelo, pronunciandolo internamente: DE-FI-NI-TI-VO. Bello. E’ efficace, fluido; le sillabe scorrono fuori che è un piacere. Definitivo.
Fa molto “minimalista”.
Intanto Antonella sta continuando a parlare; “rientro” in quello che mi sta dicendo, anche se lo so già: mi ripete le stesse cose da oltre dieci minuti, ormai.
– Ma perché sei così definitiva? – le ripeto solo per assaporarne ancora il suono.
Sono soddisfatto; ormai non seguo più la conversazione, penso a come l’aver usato un termine così delizioso possa avermi, di colpo, risollevato il morale.
Apocalittici e Assonnati

Il suono petulante del citofono irrompe, ottuso, nel sogno, dileguandolo.
Imprecando mi alzo dal letto e vado a rispondere.
– Buon giorno, il signor Felici? – Il tono è forzatamente gioviale.
– Si. –
– Bene. Buongiorno, il mio nome è Rossano. –
ROSSANO?!
– Si.- Non so se ridere o piangere.
– Senta, avremo piacere di parlare un po’ con lei. –
– Parlare…. –
– Si, ma non vorremmo disturbarla, forse ha da fare. –
– Dormivo. – Sono le otto di Domenica.
– Oh, mi scusi per il disturbo, però potrebbe concederci dieci minuti per dirci cosa ne pensa della guerra delle malattie della delinquenza della droga dell’ambiente e se crede che dobbiamo rassegnarci oppure ha fiducia in una vita diversa… –
08.00 di Domenica e ROSSANO vuol sapere se ho fiducia in una vita diversa
– Si, insomma, lei crede che possa esserci una possibilità di salvezza per l’uomo, che possa essere felice? –
Potreste cominciare voi, evitando di rompere i coglioni al prossimo specie a quest’ora del mattino!
– Ascolta, Rossano, io stavo dormendo. –
– Ho capito e sono mortificato, ma non potrebbe dirmi se esiste, secondo lei, una possibilità di salvezza… –
– Sto cercando di dirti che non sono abbastanza lucido per affrontare l’argomento.-
– Beh, magari ripassiamo tra qualche giorno… –
– Si. Addio. – Torno a letto.
Ale sbadiglia:
– Chi era? –
– Rossano. –
– Chi? –
– Te l’ho detto: ROSSANO! –
– E chi è Rossano?! –
– Cosa vuoi che ne sappia… –
– Ma insomma, chi era? Che voleva? –
– Una POSSIBILITÀ’ DI SALVEZZA. –
– Cosa? –
– Lascia stare; dormi. –
L’ Olandese e Schopenhauer

Il monumento è tetro. Nonostante sia ben illuminato, trasmette una sensazione angosciosa, però i gradini non sono sporchi, c’ è poca gente nei paraggi ed il vino è ancora fresco.
Stappiamo la seconda bottiglia.
– Questo è un Pinot di Pinot. – annuncia, trionfante, Federico.
– Ottimo. – replico dopo una lunga sorsata. Passo la bottiglia a Marina.
L’ alcool accelera l ’euforia che mi attraversa le vene; sembriamo usciti da un racconto di Bukowski; lancio un’occhiata ad Antonella: pelliccetta bianca, gonnellina nera, tacchi a spillo… fa niente, lei neanche sa chi sia, C.B.; in compenso mi strappa la bottiglia di mano e tracanna un lungo sorso.
Marina la guarda preoccupata:
– Ti ricordi, vero, di essere astemia? –
– Per stasera farò un’eccezione! – tutta contenta, le gote già arrossate.
– Dobbiamo festeggiare la tua prossima assunzione! – sorridendomi.
– Ma quale assunzione, Antone’! –
Marina insiste:
– Ripensa a quelle rare volte che hai bevuto. –
Federico, al contrario, la incoraggia:
– Dai, che questo l ’ho trafugato dalla cantina di mio padre! – Probabilmente spera di allentarne le “difese”.
Lancio un’occhiata complice a Marina, che mi restituisce un sorriso malizioso.
Antonella comincia a ridacchiare; è difficile rintracciare il senso di quello che dice, perso tra le bollicine del “Pinot”.
La tentazione è veramente forte; mentre Federico prova affettuosi “approcci”, Marina ed io la incalziamo:
– Perché non ci racconti di quella volta che ti sei giocata a carte un ragazzo? –
Il sorriso di Federico è attraversato da una sottile tensione.
Antonella lancia un ‘ occhiata di traverso:
– Marina, glielo hai raccontato tu, vero? – fingendo di rimproverarla.
– Perché, invece, non gli hai detto dell’Olandese? –
– Di chi? – Sardonica, Marina chiede conferma.
– Ma si, non ti ricordi? Come si chiamava… Peter … Soren…boh… comunque era bellissimo. – e giù un altro sorso. – … si, stupendo. –
Il sorriso di Federico si fa sempre più “stretto”.
– Ma dai, raccontaci di quel tipo che ti sei giocata a carte! – la incito di nuovo.
– No, non è interessante. L’Olandese, piuttosto; ti ricordi Mari’: bello come il sole e anche colto; gli piaceva la musica classica. –
M’illumino! Marina mi ha già raccontato l’episodio: non me lo perderei per nulla al mondo:
– Ah, gli piaceva la musica classica, eh, e allora? –
Lei comincia a sghignazzare. Marina, infida e spietata, tace e aspetta.
– …e così ci siamo ritrovati a parlare di musica; io non ci capisco molto, di musica classica, poi; però non potevo sfigurare: quando lui mi chiesto quali autori preferissi ho avuto un attimo di panico, poi mi sono ripresa, gli ho sfoderato un bel sorriso e: “Dunque, Beethoven, Mozart, e…Schopenhauer.” – e comincia a ridere a crepapelle.
Marina mi guarda, soddisfatta; io sono piegato sui gradini a tenermi la pancia; Federico ha una risatina di circostanza.
Antonella continua:
– Ed ero convinta, eh. Poi siamo tornate a casa, ci siamo messe a letto;
dopo un attimo riaccendo la luce sul comodino:
“A Mari’, ma chi era Schopenhauer?” –
Amir

Settimana infinita, mese infinito, giorni lenti e ansiogeni. Devo darmi una calmata.
Amir ha tratti autistici, fa la quarta elementare e, da fuori, sembra tranquillo. Gli piace giocare col computer. Incredibile come, nella scuola italiana , abbia fatto questa frettolosa e caotica irruzione l’informatica. I bambini non sanno ancora tenere la penna in mano, ma conoscono almeno una cinquantina di videogiochi, e sono bravissimi in tutti.
La bidella porta il computer ad Amir, fuori dall’aula, in corridoio. Lui si collega e comincia subito a giocare con una destrezza inverosimile. Dopo una mezz’ora chiedo al bambino se non preferisca fare dei disegni, coi pennarelli colorati; lui semplicemente scuote le testa. Amir è tranquillo, ma in classe ha il vezzo di spintonare i compagni, di gettare per terra ciò che trova sui banchi.
Entro in classe e chiedo alla sua maestra se magari non sarebbe meglio provare….
“ No, lui sta bene lì a giocare al computer; è molto bravo, vedrai”.
Ecco, meglio tenerlo buono col suo portatile, così non dà fastidio.
Montessori docet . SIGH!
Nel frattempo sento le altre maestre sgolarsi: “ Silenzio!” “ State buoni!” “Zitti, fermi!”
“Ora ti metto una nota!” Resa incondizionata di signore giovani e meno giovani, frustrate e al limite dell’isteria.
“Lei trova i miei metodi insani, Capitano?”
“ In realtà, io non….vedo….alcun metodo, signore” ( Da “Apocalypse Now”)
Ecco, nessun metodo. Solo nozioni affastellate, aridi concetti e urla, urla disperate di insegnanti disperate.
Oltretutto non si può neanche dar loro la colpa. Devono portare avanti i programmi dettati dal ministero, portarli avanti a qualunque costo…e finirli entro l’anno scolastico. Non vedo alcun metodo, appunto.
Questo delirante sistema di premi e punizioni.
Qui si stanno plasmando anime, formando uomini e donne che dovranno affrontare sfide sempre più complesse, che daranno ordini e ne riceveranno.
Che esseri umani saranno? Forti? Tenaci? Coraggiosi? Spietati? Deboli? Pavidi? Sottomessi? Ma soprattutto: avranno un’etica? Saranno capaci di empatia? Sapranno amare davvero?
Nel frattempo, Amir ha finito anche l’ultimo livello del suo gioco preferito ; è soddisfatto; le insegnanti non hanno dovuto occuparsene e sono soddisfatte; i compagni non sono stati infastiditi da questo ragazzino particolare e sono soddisfatti.
Il mio tempo con lui è terminato, ed io, non so perché, ma non mi sento per nulla soddisfatto.
Io ricordo

Io ricordo.
Ricordo un ‘altra età.
Credevo fosse l’età dell’oro; poche regole, completa autonomia, nessuno a cui rendere conto.
25 anni possono essere il Paradiso o l’Inferno… o entrambi.
C’era la musica, il vino, le donne, le feste, i libri, i discorsi, le notti in bianco; a guardarli da qui sembra letteralmente un’altra era. Né rimpianto né gioia, così doveva essere, così è stato.
C’erano tante “cose”; senza dubbio c’era pochissima consapevolezza. Nessun obiettivo, né materiale né spirituale.
Ora mi sento stanco, ma anche allora ero stanco. E’ una stanchezza diversa. Allora era una stanchezza “di comodo”, ora è la stanchezza di chi ha terminato la giornata con un senso.
Anche l’energia, non è diminuita, è cambiata di qualità; ora so che posso attingerne sempre perché è infinita e si rinnova continuamente.
Quando mi guardo indietro mi piace quel che vedo; non è nostalgia, è la consapevolezza che tutto il Passato mi ha portato a questo punto, ad essere come sono.
Poi, ad un certo punto, un nuovo inizio, una nuova era, tutto è cambiato e mi sono ritrovato, di colpo, ad essere un uomo nuovo, nuovi orizzonti, nuove convinzioni, nuove energie, nuove mete, nuove certezze. Tutto molto concreto. Si.
Non sono più “da solo”. Devo alzarmi dal letto e pensare a NOI, programmare la giornata per NOI, lottare per NOI, “tenere duro” per NOI, continuare per NOI, essere forte per NOI, qualsiasi cosa per NOI.
Consistenza. Uno dei mille doni che hai portato nella mia vita è la CONSISTENZA. Cammino sentendo la forza nelle gambe, la terra sotto i piedi, il mio respiro. Tutto così REALE.
Dicono che la Storia non si fa con i “se”; ma questa non è la Storia e quindi posso dire che se non fossi entrata TU nella mia vita,ora non sarei ciò che sono. Mi piace ciò che sono. Mi piace ciò che siamo.
Abbiamo passato mille difficoltà e ancora ne passeremo, ma la prospettiva è cambiata.
Lo sai, vero, che l’ideogramma Cinese per dire “crisi” e “opportunità” è lo stesso?
Ecco: questa è la prospettiva.
Se mi guardo indietro c’è una cosa che non riesco più a vedere: la mia PAURA.
Mi hai tolto anche quella.
Noi siamo fatti per stare insieme. Non c’è dubbio.
Parcheggio riservato

“ Oh, Sereso, me devi fa’ un favore….”
Ecco, ci siamo; Rino, come al solito, sta per metterci nei guai. E’ matematico: ogni volta che il signorino mi chiede qualcosa che esula dai nostri giri abituali, succede sempre qualcosa di sgradevole.
“ Dobbiamo andare in libreria, perché mi serve il testo per prepararmi agli esami di radioamatore…”
Cristo! Rino, molti anni fa, aveva un baracchino e si divertiva a parlare con altri radioamatori, spacciandosi per Volontario della Protezione Civile….mannaggia a lui e a chi ce l’ha fatto credere.
Ad ogni modo, adesso si è messo in testa di dare gli esami per il patentino di Radioamatore, cosa che non succederà mai, ovviamente.
Entriamo nella libreria, prima di accorgerci che vendono solo libri scolastici: “ No, mi spiace, non abbiamo manuali del genere; potreste provare alla libreria vicino la stazione….”
“ C’è una libreria vicino la stazione??”, chiedo, dubbioso. “Si si, li di fronte” Mah.
Passiamo davanti la stazione, ma di librerie neppure l’ ombra e comunque dobbiamo parcheggiare.
C’è giusto un parcheggio davanti la Coop, abbastanza ampio dove, però, stanno bivaccando dei Peònes, di incerta etnia; alcuni hanno delle bottiglie di birra in mano e un ‘espressione ben poco amichevole.
Rino ha un permesso per invalidi, e nel parcheggio c’è un posto riservato agli invalidi.
Peccato che il posto sia occupato da un tipo poco raccomandabile, mezzo addormentato, mezzo brillo che non ha alcuna intenzione di sloggiare.
Rino ha già iniziato una sequela di bestemmie, e fa per scendere dall ‘auto; io lo anticipo, sperando di chiudere la vertenza in modo pacifico. Nel frattempo si sono avvicinati tre o quattro Peònes con fare minaccioso: “ Ohi, che volete?! Avete un sacco si spazio per parcheggiare!”
“Ma scusa, non puoi chiedere al tuo amico di spostarsi per un paio di metri”, io, conciliante.
“ Ma no, sta dormendo! Solo perché siamo stranieri non ci potete trattare così!”
Ecco qua: il tipo mi sta dando del razzista…a me!
Siamo ad un passo dalla rissa; mai come ora penso che questo lavoro sia pagato davvero troppo poco.
Con grande fatica, allontano Rino dalla “mischia”, mentre il tizio assonnato, con fare indolente e provocatorio si sposta per farci parcheggiare.
Gli animi , comunque, sono ancora accesi.
Rino:” I chiamo i Carabinieri!”
“E chiamali, dai, vediamo che gli racconti!”
Di forza, trascino il mio assistito fuori dal parcheggio.
Dopo un giro veloce, ci rendiamo conto che non c’è nessuna libreria.
“Le gomme, cazzo, vuoi vedere che quelli ci bucano le gomme??”
Ritorniamo in gran fretta alla macchina e diamo immediatamente un ‘ occhiata alle ruote: fiuuuu, sono
intatte.
Neanche 200 metri dopo, mi accorgo che lo specchietto retrovisore è scomparso. Keppalle!
Il meno possibile

Stasera non mi sarebbe andato di uscire, ma Tommaso ha insistito molto per portarmi a questa festa.
“ C’è una che mi piace molto” si giustifica.
L’ appartamento è grande, arredamento post moderno, stile media borghesia romana.
Luci soffuse, musica “ambient” ( Cristo!); girano un sacco di bicchieri con liquidi dai colori più disparati…..vabbè, stiamo al gioco; sguardi vacui, sorrisi finto amichevoli.
La padrona di casa non si sa bene chi sia: l’amica di un amico di un’amica…..al solito.
Mi faccio largo fino al buffet, mi verso del vino bianco, sperando di sopravvivere a quella che si prospetta una serata non facile: ho trovato un angolo abbastanza nascosto dove mimetizzarmi con la fauna locale; bicchiere in mano, appoggiato alla porta, lo sguardo finto rilassato a spasso per la stanza….e no, caro Davide, l’ atteggiamento “io sono qui, ma totalmente estraneo all’ ambiente” non funziona più.
O forse si. Mi si avvicina una tipa: biondina, occhi chiari, tacchi alti, gonnellina corta, nera, nel bicchiere un liquido verde (Assenzio?) ; “ Ciao” “ Ciao”
“ Tu cosa fai?….nella vita, intendo”
“Io? Il meno possibile….” Bella battuta, folgorante, spiazzante; infatti la tipa (si è presentata ma ho immediatamente rimosso il nome, come da prassi), rimane spiazzata. Un attimo dopo mi rendo conto che ci è rimasta male…..poverina, neanche la conosco, non mi ha fatto nulla, non è il caso di riversare su di lei le mie frustrazioni :” No, in realtà, faccio assistenza domiciliare…..” conciliante. “Ah, quindi lavori….”
“Si, lavoro con persone disabili” “ Che bello, dev’ essere pesante, ma bello, vero?” Il viso le si illumina, non ho mai visto un cambio d’espressione più repentino. “ Beh, in effetti ci sono delle soddisfazioni” “ Certo e poi è un lavoro utile. Io sono logopedista.” “ah, però….” “ Si, e nel tempo libero dipingo…”
Mi rendo conto che è molto partecipe, anche troppo; mi metto a giocherellare con la fede, in modo evidente, troppo evidente ed infatti se ne accorge: “ Beh, ci vediamo…” e si defila.
Dopo neanche dieci minuti vedo arrivare Tommy, scuro in volto: “ Certo che Carla è veramente cretina, una stupida patentata ed anche un po’ stronza! Ce ne andiamo?”
“ Ma come, Tommy, hai fatto ‘sto casino, a me neanche andava di uscire….”
“ Lascia stare, andiamo a bere qualcosa, dai!”
Lasciamo la festa senza neanche salutare.
AMBIGUITA’

Ambiguità
– Possibile che con te non si possa mai fare un discorso serio? –
Ridacchiando, getto un’ occhiata al bicchiere della mia Harp strong, dimezzato; mi schernisco:
– Ma non è vero, Sandra, tu ed io non abbiamo avuto molte occasioni per parlare, così, a quattr’ occhi, e poi, con questo casino, che discorsi seri vuoi fare? –
Il pub, effettivamente, è affollato: militari rumorosamente in cerca di compagnia, Inglesine con la stessa intenzione, ma più discrete, Irlandesi ubriachi lerci.
– Guarda che sei stato tu a dirmi “ ti porto in un pub carinissimo dove spillano la birra più buona di Roma “ –
– Ma infatti. Perché, non ti piace questa birra? – non riesco a non ridere.
– Stupido! Ecco, lo vedi? –
– D’ accordo, d’ accordo. Parliamo seriamente. Parlami di te. – trattenendo a stento il riso con i denti.
Lei comincia a parlare, intermezzando disavventure sentimentali a lunghe sorsate di birra.
Io mi accendo una sigaretta, distratto.
Va bene che a Roma non c’é quasi più nessuno, che alla TV non c’ era un film accettabile, che avevo una sete impellente, ma proprio questa idiota dovevo chiamare? Che caspita ci faccio io, qui, adesso?
E mi chiede pure di essere serio!
Beh, ormai la cazzata l’ ho fatta, stiamo al gioco.
Sandra continua a parlare, la voce sempre più “strascicata”, le pause sempre più lunghe; poi, con un’ espressione maliziosa:
– Però, lo sai che non è affatto male, questa birra! – e giù a ridere a crepapelle,
così, all’ improvviso; come davanti ad una smorfia di Toto’.
Io mi guardo intorno, un po’ imbarazzato.
– Ehi, tutto bene? – avvicinandomi.
– Si si. Sai, avevi ragione, questa birra è proprio … – e giù un’ altra risata.
Solo adesso mi accorgo che della sua “media doppio malto” non ne è rimasto che un dito.
– Va bene, adesso andiamo, su… – aiutandola ad alzarsi.
– Si andiamo… – con gli occhi lucidi e ammiccanti: – Guidi tu? –
Puoi giurarci!
– Si, non preoccuparti. – Devo sorreggerla per quanto barcolla.
Lasciamo il locale tra mille occhi divertiti.
– Senti, ma tu mi trovi ambigua? –
L’ auto è parcheggiata in una viuzza tranquilla, al riparo da sguardi indiscreti.
Sandra sembra aver smaltito la sbornia.
– Ambigua? –
– Si, mi trovi un tipo ambiguo, che so, negli atteggiamenti, o… –
Meglio sbronza: se non altro aveva l’ alibi di uno stato di coscienza alterato; ma come fa ad infilare tante idiozie una dietro l’ altra?!
– Qualcuno ti ha detto che hai degli atteggiamenti ambigui? –
– Si, il dentista. –
Il dentista?!
– Il tuo dentista? –
– Si; durante una seduta, qualche giorno fa. –
Durante una seduta?!
Ma quanto può essere ambiguo, un premolare?!
– Sai, ha cominciato ha fare strani discorsi, su certi miei atteggiamenti… –
Terrificante! Davanti a delle ganasce spalancate, con il gorgoglio del tubicino che risucchiava saliva, gengive sanguinanti, quell’ uomo riusciva a pensare agli “atteggiamenti ambigui” di questa cretina!
Un eroe!
Lei continua a raccontare, ( annichilendo Stephen King ), mentre, con una mossa ben studiata, ruota su se stessa, appoggiando la schiena allo sportello, mettendomisi di fronte, alzando appena la gonna, già corta.
Il mio disagio è ormai evidente.
– Ma cos’ hai, sei nervoso? –
– No, sai, i dentisti mi mettono sempre in agitazione… –
– Su, piantala… vieni qui. – mi prende per le spalle e, con agilità sorprendente
allarga le gambe, mi adagia sul sedile e comincia a massaggiarmi il collo.
– Dio quanto sei teso! –
Altro che teso! La situazione è ad un punto di non ritorno e io, che oltretutto non sono più neanche brillo, non ho nessuna intenzione di arrivare al solito, naturale epilogo di ogni circostanza simile.
Capisco che devo dare fondo a tutte le mie risorse; torno a sedere al mio posto, la guardo tenero e serissimo:
– Sandra, ti ho mai raccontato quello che mi è successo a Beirut? –
– Beirut?! Quando sei stato a Beirut? –
– Nel momento peggiore… – qui mancava solo un “baby” alla fine ed era perfetto.
– Sai, tra l’ ottantadue e l’ ottantaquattro sceglievano alcuni militari di leva,
a caso, e li mandavano in Libano. –
Ma che sto dicendo, questa non sa neanche dove sia, il Libano.
– Nel Libano a fare che? –
E infatti! Ma con chi diavolo sono uscito, con una ragazzina di “non è la rai” ?
Cerco di mantenermi calmo.
– Senti, hai presente la Bosnia? –
– Certo! Dove credi che viva, sulla luna? –
Ora la picchio!!
– Beh, stessa cosa: dieci anni fa, nel Libano c’ era lo stesso casino; a dire la
verità il casino c’ è ancora, ma tra i giornalisti è passato di moda.
Comunque: il nostro Governo decise di mandare un contingente di pace;
così sono partito anch’ io: tre mesi a Beirut … – lo sguardo perso nei ricordi:
– … e lì c’ era la guerra, quella vera! – Bogart sarebbe fiero di me.
– Davvero?! –
Presa! Ormai nulla potrebbe distrarla o farla dubitare del racconto.
Libero ogni freno:
– Beh, è chiaro che non eravamo in prima linea; siamo andati come supporto
ai “caschi blu”, te l’ ho detto; comunque, le bombe ti assicuro che le sentivamo.
Un giorno… un brutto giorno eravamo in perlustrazione, un po’ distanti dal
Campo; io mi sono allontanato per qualche metro e ad un tratto…
… l’ esplosione! Il proiettile del mortaio sarà caduto ad una decina di metri; ricordo solo un fischio, un bagliore accecante… poi il buio. –
Sandra sta trattenendo il fiato, non riesce più neanche a fare domande.
Così posso continuare, serissimo:
– Ho perso conoscenza per un paio d’ ore. All’ ospedale del Campo, i medici
mi hanno visitato a lungo, hanno fatto tutti i controlli possibili: nulla; non mi
sono fatto neanche un graffio. –
– Fiuuu… meno male… – riesce a sussurrare.
– Aspetta a dirlo… – qualche secondo di suspense è d’ obbligo.
– Quando sono tornato, finito il militare, mi sono fatto visitare dal mio medico:
era tutto normale… tutto tranne… –
– Cosa?! Dài, non tenermi così! Cosa!? –
– Beh sai, all’ inizio pensavo fosse ancora lo shoc, ma dopo qualche mese ho
cominciato a preoccuparmi… –
– Piantala! Vuoi dirmi che cos’ hai? –
Un profondo sospiro, le sfodero il mio sguardo più vittimistico, e:
– Da allora non riesco più ad avere un’ erezione! –
– Oddio! – e si copre il viso con le mani.
Ho un istante di rimorso; forse ho esagerato… no! Se lo merita!
Lei mi sta guardando, amorevolmente imbarazzata:
– Mi dispiace, mi dispiace veramente; non pensavo… –
– Che vuoi farci. Ho provato di tutto, farmaci, psicoterapia… niente, non
c’è niente da fare.
Comunque, poco tempo fa, mi sono rivolto ad un bravissimo neurologo che
mi ha dato qualche speranza; sto facendo una terapia… vedremo.
Senti Sandra, mi accompagneresti a casa? –
– Certo, tesoro. –
Mette in moto e partiamo.
ORDINE COSTITUITO

Il poliziotto in borghese mi fa segno di fermarmi, agitando insensatamente la paletta.
Cazzo! Ho percorso più di trecento chilometri, di cui dieci a passo d’ uomo grazie ad un imbecille di camionista che ha rovesciato il suo TIR carico di farina,
sono ore che sto in macchina, sono stanco e affamato; pioviggina ed è buio da tempo. Ho appena passato il casello: solo venti chilometri mi separano da Casalnuovo e la DIGOS deve rompermi le palle proprio adesso; mannaggia a quando ho preso questa Uno bianca!
Il poliziotto si guarda bene dal venire subito vicino al finestrino; gira attorno alla macchina, si ferma dietro, consultandosi con il collega. Se pensa di innervosirmi
con questi stupidi giochetti, beh… ci sta riuscendo.
Alfine si decide a venire dalla mia parte. Gli dico “Buonasera”, lui mi risponde:
– Documenti. – Così, NATURALMENTE, come ci si può chiedere “come stai”;
quel “documenti” gli esce fuori che è un piacere, da attore consumato.
Che vuol dire “documenti”?, quali documenti, i miei, quelli della macchina, la licenza di pesca?
L’ ultima volta che mi hanno fermato erano due Carabinieri, in divisa; mi hanno salutato e mi hanno chiesto: – Patente e libretto, per favore. -.
E poi le barzellette le inventano su di loro!
Sono tentato di dargli il tesserino della mensa universitaria, poi penso che questa gente non ha il senso dell’ umorismo e gli allungo la patente ed il libretto.
Il poliziotto si allontana ed un istante dopo arriva il collega che mi chiede di scendere.
– Allora, Felici, dove abita? – con un buon accento napoletano.
Pronuncia quel “Felici” con soddisfazione voluttuaria, per farmi capire di quale preziosa INFORMAZIONE sia venuto a conoscenza così rapidamente.
– Mi sono trasferito da poco; ad Assisi. –
– Si ma dove ABITA? –
Cristo santo!!
– Sono di Roma, ma da un paio di mesi mi sono trasferito ad Assisi. –
Nel frattempo l’ altro poliziotto sta dando uno sguardo ai miei bagagli, gettati nel sedile posteriore, un po’ alla rinfusa.
– Professione? –
Diavolo d’un uomo! Se gli dico che sono disoccupato andremmo avanti con questa brillante conversazione tutta la notte.
– Studente. –
– Studente? – con un’ espressione stavolta indecifrabile.
Si avvicina il collega e mi chiede di aprire il portabagagli.
E’ finita! Ancora devo levare dei libri e l’ argenteria che sono lì dal trasloco.
Mentre apro il portellone penso a cosa succederà una volta che i due poliziotti
vedranno quei sacchetti neri della spazzatura buttati lì.
Trattengo il fiato, aspettandomi reazioni scomposte e battute demenziali; invece
nulla: i due tutori dell’ “ordine costituito” (chi l’avrà costituito, poi, quest’ ordine? ) si limitano a dare un’ occhiata e dirmi di aprire i sacchetti, cosa che non faccio assolutamente spiegando loro che si tratta di roba vecchia che non so dove mettere nella casa nuova.
Il primo poliziotto mi restituisce la patente, (naturalmente, fuori dalla custodia), e
mi saluta.
Salgo in macchina mentre la pioggia si infittisce, parto e, con le ultime gocce di energia rimastemi, mi concentro sulle indicazioni in “blu” per Casalnuovo, cercando di non pensare al fatto che, alla nostra sicurezza, sono preposti simili SOGGETTI.
MEDICI

La tangenziale è ormai alle nostre spalle; la strada che percorriamo è costellata di ragazzi che vendono sigarette di contrabbando. Anna mi chiede di controllare il foglietto dove si è appuntata le indicazione per raggiungere Villa Valeria, dove abbiamo (ho) appuntamento con il neurologo.
Dopo un paio di indicazioni fuorvianti, forniteci dagli indigeni, raggiungiamo la zona; ci infiliamo in un vicolo largo 50 cm più della macchina; sporgendosi dal finestrino, Anna chiede della Villa ad una signora seduta davanti ad un negozio;
la tipa esibisce un repertorio di smorfie da far impallidire Jerry Lewis, poi:
– Mai sentita, signo’! –
Dopo neanche dieci metri ci troviamo di fronte alla clinica, la scritta “Villa Valeria” è di dimensioni impressionanti.
Suoniamo al citofono.
– Ma avete un appuntamento? – la voce femminile ha un tono ostile.
– Si, con il Dottor Russo. –
– Dottore? (F.C.) Dice la signora di avere un appuntamento con lei, è vero? –
Mi chiedo se siamo in un centro diurno per handicappati, come ci avevano informato, o davanti ad una base del Pentagono.
– Va bene, entrate… – il tono ancora sospettoso.
Il “tono sospettoso” assume le sembianze di un ‘ infermiera sulla sessantina, con zoccoli bianchi e atteggiamento marziale ma gentile:
– Accomodatevi che il Dottore arriva subito. –
Nel cortile assolato transita un tipo dall ‘età indefinibile, lo sguardo vuoto, mormora una litania tra sé e sé ripetendo di continuo un gesto rituale; osservandolo, mi convinco che l ‘aver lasciato l ‘ “assistenza domiciliare” è stata una scelta saggia.
L’ infermiera ci viene incontro:
– Venite, vi accompagno dal Dottore. –
La stanza è grande, fredda, spoglia: squallida. Un tipo sui “quaranta”, radi capelli ricci,
camice sbottonato, è seduto dietro una scrivania che sembra una banco preso in prestito da un istituto tecnico industriale; quando entriamo, alza appena lo sguardo:
– Buongiorno, ha avuto difficoltà a trovare la strada? – rivolgendosi ad Anna.
– No, nessun problema, come sta? –
– Bene, grazie. –
– Beh… questo è Marco. –
La reazione del medico è inesistente. Anna esce dalla stanza.
Mi siedo mentre il tipo continua a fissarmi con occhi assenti, l’ atteggiamento finto-rilassato.
– Bene, qual ‘ è il problema? –
Cazzo! Mi vengono in mente almeno sette battute “da film” contemporaneamente, prima fra tutte: “ è lei il dottore! ”. Invece rispondo:
– L ‘ ansia. – come se fosse il sintomo la causa e la cura in una volta.
– E QUANDO è ansioso? –
Adesso senz ‘ altro, coglione!
– Mah… sempre… –
– E PERCHE’ è ansioso ? –
Ora mi alzo e me ne vado!! –
– Beh… non saprei… –
Soltanto adesso il dottore comincia a pronunciare frasi oltre una proposizione di
primo grado… e mi chiede della mia infanzia!
L ‘ uomo che mi sta di fronte è giovane, intelligente, dinamico eppure sta dicendo una serie di idiozie che pensavo sepolte con Pavlov. Sembra che gli ultimi quarant ‘ anni di ricerche psichiatriche, neurologiche e, soprattutto, psicologiche, gli siano scivolati addosso senza scalfirlo.
Provo a intromettermi dicendo che forse, la bioenergetica….
Scansa l’ argomento come un insetto fastidioso, mettendo Lowen alla stessa stregua del Vudù haitiano.
Squilla il telefono. Dev ‘ essere un collega, cominciano a parlare di AUTOMOBILI!
Lui è entusiasta di un recente acquisto, l’ ultimo modello di non so cosa!
Io non sono snob, non molto perlomeno, ma Cristo: automobili!!
Se non fosse che sono qui perché ho dei problemi reali, mi starei divertendo parecchio.
Riaggancia.
– Lei è depresso. – conclude, lapidario.
Mi consiglia un ‘ analisi Junghiana e mi prescrive degli antidepressivi.
Mi accompagna alla porta mentre Anna ci viene incontro; non vuole assolutamente essere pagato. “ e ci mancherebbe!! “ penso, mentre insisto debolmente.
– Com ‘è andata? – mi chiede Anna
– Bene. – mento io.
La farmacista legge la ricetta con attenzione, cerca tra gli scaffali, mi restituisce ricetta e una scatola verde e bianca:
– Quarantottomila. –
La Vera Medicina, l’ unica Medicina: la Medicina Ufficiale!
Quarantottomila.
MANSIONI

La lancetta del serbatoio è al di sotto del “rosso”; lo faccio notare a Giulia, che non si preoccupa più di tanto:
– Una volta, in queste condizioni, ho fatto trenta chilometri. –
Appoggio, sconsolato, la testa al finestrino:
– See… –
Sono le nove di sera, la strada che percorriamo è costellata di distributori, ma gli unici “24 ORE” sono sull’ altra carreggiata.
Dopo un’inversione ad “U” al limite del ritiro della patente, affianchiamo la pompa di benzina.
Il ragazzo dalla pelle scura si avvicina sorridente, lei gli porge le chiavi:
– Diecimila. –
Il tipo “armeggia” con il tappo del serbatoio: è decisamente in difficoltà:
Lo faccio notare a Giulia:
– Dici sempre che è difettoso, perché non scendi a dargli una mano? –
– Ma stai scherzando? E’ il suo lavoro! –
IL SUO LAVORO!?
Sono decisamente perplesso.
– Ma, poverino, cosa vuoi che ne sappia? –
Niente. Lei è assolutamente convinta che la cosa sia di sua competenza.
Il ragazzo riesce ad aprire, fa benzina e tenta di riavvitare il tappo che proprio non ne vuol sapere; dopo un po’ sollecito Giulia a scendere per dargli una mano.
La scena è desolante: lei forza, con rabbia, il tappo del serbatoio, la chiave è incastrata, l’extracomunitario la guarda con un sorriso imbarazzato; lei è ormai imbestialita, suda e impreca all’indirizzo del tappo.
Il ragazzo non ha dismesso quella maschera un po’ tesa e sorridente che ha dall’inizio della vicenda.
Scendo, lancio un’occhiata rassicurante al ragazzo e provo a richiudere il maledetto tappo del serbatoio: niente da fare.
Comincio ad innervosirmi anch’io; poi, Giulia mi spintona via indelicatamente, infila il tappo con decisione, lo chiude e risale in auto.
Sorrido. Allungo mille lire al ragazzo di colore che le afferra come qualcosa alla quale aveva ormai rinunciato.
Lo saluto ed entro in macchina, chiedendomi come si sentirebbe, lui, in uno studio da commercialista.
Giulia parte, un po’ alterata:
– Non capisco come possano essere così incompetenti! E poi, perché gli hai dato la mancia? –
Il dubbio, che prima mi aveva solo sfiorato, è ormai una certezza!
Voglio solo una conferma:
– Con che cosa credi che campi? –
– Ma come?! Con lo stipendio, no? –
La fisso un lungo istante: non c’è un’ombra di incertezza in quello sguardo.
– Ma quale stipendio?! – E comincio a ridere.
– Lo stipendio che gli dà il benzinaio per stare lì la notte. –
Sto soffocando dalle risate, è troppo divertente per fermarla.:
– Il benzinaio, eh? –
– Certo. –
– E perché diavolo il benzinaio dovrebbe pagarlo? –
– Perché c’è un sacco di gente che rinuncia ad usare i self-service, perché non è capace o non ne ha voglia… –
E’ assolutamente irresistibile; sono piegato in due.
– Ma che hai tanto da ridere? –
Tra le lacrime cerco di spiegarle il reale meccanismo della faccenda.
– Ma dai, veramente? Io ho sempre creduto…. –
– Guarda che è verde. – indicandole il semaforo.
Ingrana la prima e ripartiamo.